Il tempo che passa offre piccole e grandi occasioni. Fra le prime, c’è quella di saldare i debiti con la propria infanzia e adolescenza. E nell’immaginario sportivo della mia infanzia e adolescenza, lo spazio era riservato a una pluralità di nomi. In mezzo a un bomber di provincia come Vincenzo Onorato e a un artista internazionale come Diego Armando Maradona, c’era una squadra che giocava sotto una lanterna. La sua storia era il frutto di una fusione, fra Sampierdarenese e Andrea Doria, e la sua maglia era blucerchiata. Eppure, a rendere bella ai miei occhi la Sampdoria, prossima rivale spallina in campionato, era il suo allenatore. Un ex calciatore proveniente dalla Jugoslavia, che in passato giocò anche nella compagine ligure, e che si chiamava Vujadin Boškov. Un nome che ancora oggi, a distanza di più di tre anni dalla sua scomparsa, continua a essere evocativo nei confronti dei cultori del calcio. Forse per quelle frasi condite di ironia, semplici e taglienti allo stesso tempo, con le quali si limitava ad analizzare le prestazioni della sua squadra. «Un grande giocatore vede autostrade dove altri vedono solo sentieri» è l’elogio di coloro che abbondano di visione di gioco, e sembra coniata su misura per un futuro campione come Andrea Pirlo. «Meglio perdere una partita 6 a 0, che sei partite 1 a 0» è invece un inno al pragmatismo «scabro ed essenziale», per rubare una citazione al poeta Eugenio Montale, al quale può essere accomunato attraverso l’amata città di Genova. E poi è il turno di «Rigore è quando arbitro fischia», probabilmente la più ripetuta delle sue esternazioni. Che serve a esortare ogni atleta a mettere al bando qualunque forma di vittimismo, a non cercare alibi quando si è giocato male, nonostante un arbitraggio fazioso. Ecco, Boškov viene ricordato soprattutto per avere inciso sul piano del linguaggio del calcio, aiutando più volte a stemperare le tensioni. Tuttavia non va tralasciato il suo ruolo di allenatore, o forse sarebbe meglio definirlo navigante.

Lui, nato a una quindicina di chilometri da Novi Sad, nell’attuale Serbia, riuscì con pazienza a traghettare le sue squadre verso obiettivi non sempre di facile portata. Dopo il primo scudetto, conquistato in patria con la sua Vojvodina, arriva anche un titolo nazionale allenando il Real Madrid. Ma è l’esperienza italiana che forse caratterizza in maniera marcata la propria carriera. Ascoli, Sampdoria, Roma, dove lancerà un esordiente Francesco Totti, Napoli e Perugia sono i colori per i quali lavora dagli anni Ottanta alla fine del secolo scorso. Infine ci sarà posto per un’ultima parentesi come commissario tecnico della sua Nazionale. Quella Jugoslavia dilaniata da conflitti secessionisti, che non giocò gli Europei del 1992, vinti dalla ripescata Danimarca, e che dopo fu anche oggetto di incursioni aeree. Come minuscolo contraltare dell’orrore della guerra, penso agli schemi di Boškov, improntati all’armonia. Penso all’evoluzione della squadra blucerchiata, che con lui in panchina, riesce a vincere due Coppe Italia, una Supercoppa italiana e una Coppa delle coppe. Senza dimenticare due finali perse, in Coppa delle coppe e in Coppa dei campioni, sempre contro il Barcellona di Johan Cruijff.

Ma con estrema sicurezza, il titolo al quale è stato più affezionato è lo scudetto della stagione 1990/91. Una formazione senza ombra di dubbio talentuosa e dotata di forti personalità. Dal portiere Gianluca Pagliuca al difensore Pietro Vierchowod, agli attaccanti Gianluca Vialli e Roberto Mancini. Osservarli giocare insieme, però, dà l’idea di una rara fluidità di movimento. Lì c’è il tocco dello zio Vuja, maestro nel compattare il gruppo e nel valorizzare le qualità dei singoli. Da Moreno Mannini a Toninho Cerezo, poi palla sulla fascia destra ad Attilio Lombardo che crossa verso i gemelli del gol. Un ciclo stellare, del quale hanno fatto parte anche diversi biancazzurri. Come il mediano Fausto Pari, che giocò nella Spal nel 1997/98. O come le riserve Giovanni Dall’Igna e Michele Mignani, che indossarono i colori spallini rispettivamente nelle annate 1992/93 e 1991/93. Un ulteriore legame fra le due squadre, inoltre, è rappresentato da Giulio Nuciari, portiere panchinaro della Samp scudettata, e nipote di Antonio, estremo difensore biancazzurro, sul finire degli anni Quaranta. Un ciclo, appunto, tenuto insieme da Vujadin Boškov. Che, alla stregua di un abile chimico, ha trasmesso armonia a un gruppo, trasformandone l’entropia in un elemento di forza contro gli avversari. Che, da buono stratega, ha saputo attendere la crescita qualitativa dei suoi giocatori. Il tempo e la sua ossessione, una variabile impazzita soprattutto nel calcio moderno. Intuizione ed equilibrio, spirito d’attesa e coesione, accompagnati da ironiche perle di saggezza tanto semplici quanto realistiche. Frammenti per ricostruire la statura sportiva di un uomo, con il quale spero di avere saldato il mio debito di riconoscenza.

1 Commento

  1. vinny scrive:

    Bravissimo come sempre!

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