Rimboccarsi le maniche è un gesto semplice e autoresponsabilizzante. Trasmette ai vicini la consapevolezza di un problema imminente da affrontare, ma al tempo stesso indica che il momento dell’impegno si sposta inevitabilmente su una dimensione pragmatica. Un’azione così naturale da potersi svolgere in un qualunque contesto, perfino su un campo di calcio. Ben oltre mezzo secolo fa, c’è stato qualcuno che nel compiere tale movimento, diventava una sorta di direttore d’orchestra e, in circa un intervallo d’un quarto d’ora, riusciva a far cambiare la musica di una partita. Le maniche che si tirava su erano di colore granata, e il suo nome era Valentino. Valentino Mazzola. Il calciatore italiano forse più rappresentativo di tutti i tempi. Il papà di Ferruccio e di Sandro, anch’essi futuri giocatori, sebbene segnati da due carriere profondamente diverse. Accomunati dallo stesso cognome. Quello di Valentino Mazzola, che rese leggendario il Grande Torino. Che con la sua versatilità sul terreno di gioco, con la sua capacità di suonare la carica ai compagni, rese celebre l’espressione ‘il quarto d’ora granata’. Quell’arco temporale appena menzionato, durante il quale reagire alle avversità sportive e riprendere in mano le redini della gara.

E proprio l’impatto del trauma e la conseguente risposta, dettata dalla coesione, sono due elementi presenti nel film ‘La notte non fa più paura’, diretto da Marco Cassini. Nell’opera, ambientata nel contesto del terremoto in Emilia del 2012, c’è spazio anche per un breve richiamo alla bellezza del Grande Torino. Un omaggio da parte del regista nei confronti di una squadra che negli anni Quaranta ha dominato il campionato italiano, fornito giocatori stabilmente alla Nazionale, e nutrito i sogni sportivi dell’immaginario collettivo, prima del suo feroce epilogo, in seguito alla tragedia aerea di Superga. Una sequenza del film riprende il sogno del personaggio interpretato da Giorgio Colangeli. In un’atmosfera onirica, egli vede se stesso bambino che corre su un campo di calcio con addosso la storica maglia gramata. In un’altra scena, c’è ancora il personaggio di Colangeli, alle prese con un dialogo in cucina con suo figlio, impersonato dall’attore Stefano Muroni. Alle loro spalle, attaccato su una facciata del frigorifero sembra spuntare un poster del Grande Torino. Una formazione che per molti tifosi è un tatuaggio sotto pelle. Bacigalupo-Ballarin-Maroso-Grezar-Rigamonti-Castigliano-Menti-Loik-Gabetto-Mazzola-Ossola. L’ultima di quel ciclo leggendario che, a sentirla ripetere, conserva il suono delle poesie imparate a memoria a scuola. Dolore e ricostruzione.

Nella storia del Torino, prossimo avversario della Spal nella penultima giornata d’andata del campionato, c’è posto sia per il dolore che per la ricostruzione. Negli anni successivi a Superga, un talento che si affaccia nell’universo del Toro è l’imprevedibile ala destra Luigi Meroni. Le sue serpentine sono un’arma in più per la squadra, della quale è presto una pedina preziosa. Il soprannome che si guadagna è ‘farfalla granata’. Eppure la sua parabola si arresta bruscamente a causa di un incidente stradale dalle conseguenze mortali. Siamo nel 1967. Ci vorranno otto anni per arrivare a conquistare il settimo e ultimo scudetto. Ci vorranno gli assist di Claudio Sala per i gemelli del gol Paolino Pulici e Ciccio Graziani. Seguiranno anni tribolati, caratterizzati da retrocessioni e promozioni. La maglia granata muterà di qualche dettaglio, di stagione in stagione, ma verrà indossata anche da campioni stranieri come Leo Júnior, Martín Vázquez, Scifo, Francescoli e Abedi Pelé. Ci saranno giocatori che brilleranno per poco, come Alvise Zago, giovanissimo trequartista che vedrà compromettere la sua carriera per uno scontro di gioco con il blucerchiato Víctor nel 1989. O come, per certi versi, Gianluigi Lentini, che in seguito al passaggio al Milan e a un incidente automobilistico, vedrà pesantemente condizionato il proprio successivo rendimento in campo. Oggi il Torino è nella massima serie dopo l’ultima promozione conquistata nel 2012. I suoi obiettivi non sono gli stessi di quelli di quasi settant’anni fa, quando per tutti era il Grande Torino. Eppure la sua maglia granata continua a esercitare un notevole fascino anche nelle generazioni più giovani. Peraltro sono diversi i giocatori spallini ad averla indossata. Dal portiere Alfred Gomis al centrocampista Pasquale Schiattarella, fino all’attaccante Mirco Antenucci. Percorso opposto, invece, per il centrale Kevin Bonifazi, che è tornato a militare nella compagine piemontese dopo essere stato fra i protagonisti della promozione ferrarese dello scorso anno. Se si guarda al passato, poi, da Bondeno ecco l’ex centrocampista Fabrizio Poletti, che non vestì mai la casacca biancazzurra ma giocò con addosso quella granata, ai tempi proprio di Gigi Meroni. Il tempo, dunque, mette di fronte due squadre dal passato importante. E l’impressione è che, durante la gara, ciascuno dei ventidue in campo probabilmente si rimboccherà le maniche.

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