“La mia vita senza te non è così diversa
io lo canto per non piangere e non piangerò”.

Per un attimo mi ripiomba addosso quel delirio egocentrico adolescenziale un po’ da film, per cui, quando sei ad un concerto e il cantante si gira nella tua direzione, sei convinto che stia guardando te. Di più, che stia cantando per te, perché sa.

E’ un attimo, poi mi ricordo che non ho più quindici anni, che Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti canta con una maschera, per cui è pressoché impossibile stabilire dove stia guardando, e che ho letto in un’intervista che quella canzone l’ha scritta per la morte di suo padre, quindi non per me.

Un duro colpo, ma per quell’attimo, il miracolo della musica che ti proietta in una dimensione fantastica, si compie.

Questo è l’inizio del concerto dei TARM al De Micheli di Copparo, in una special edition che li vede accompagnati dall’Abbey Town Jazz Orchestra, che rende un po’ tutto cinematografico, le atmosfere, le musiche, i pensieri. 

E questa è la fine: “Che bella voce”. “Ha cantato bene!”. “Bella idea”. “E’ stato bravo a non perdersi in mezzo a tutte quelle persone e quegli strumenti”. Sono tutti piacevolmente sorpresi all’uscita.

In mezzo c’è che in realtà il pubblico non sapeva bene cosa aspettarsi da “Quando eravamo swing”: un’orchestra jazz di venti elementi con un repertorio anni ’40-’50, assieme ad uno dei più noti gruppi indie rock del Nord Est italiano. Un salto nel buio che poteva essere un salto nel vuoto, e invece è stato “come saltare sui tappeti elastici”. E’ così che Toffolo ha descritto la sensazione di cantare con tutta la compagine dei musicisti alle spalle.

I fan dei TARM sono vivaci, a volte persino molesti quando parlano forte sopra alle canzoni, ma anche molto fedeli e si presentano all’appuntamento con la maschera di ordinanza, quella che il gruppo porta per non concedere la propria immagine ai media, e che fa mettere anche a tutta l’orchestra che si è prestata divertita, adattandola a seconda delle esigenze dello strumento. Sono fedeli anche perché seguono il loro gruppo in tutte queste varie incursioni di generi, più ironici che scettici, come è poi la filosofia dei TARM.

E visto che di questa nuova avventura swing nessuno pare sapere molto, siamo andati a farcela raccontare proprio dal protagonista.

L’idea della collaborazione  – racconta Toffolo – nasce un anno fa su proposta dell’orchestra. Li conoscevo di fama perché, pur venendo da tutto il Triveneto, la loro base è Sesto al Reghena, un paese con un’abbazia, che si trova vicino a Pordenone, da dove veniamo anche noi. Un territorio molto attivo musicalmente dove fanno pure un festival unplugged che ospita artisti come Anthony and the Johnson. La ATJO è anche orchestra residente del Summer Jamboree di Senigallia (AN), il più grande festival internazionale di musica e cultura dell’America degli anni ’40 e ’50. Ci hanno chiesto se volevamo trovare un filo tra la musica indipendente e un’orchestra che ripropone una modalità musicale d’altri tempi. Io mi sono subito eccitato e quando li ho visti dal vivo, è stato ancora più emozionante. L’incontro con così tante persone, che non sono professionisti, ma amatori anche se di alto livello, per me e per il gruppo, risponde all’idea sociale della musica. In questo momento di crisi, la musica è un collante sociale come forse lo è stato nell’America degli anni ’30. In questo momento sto facendo alcuni esperimenti di incontro sociale attraverso l’arte, uno è proprio questo.

Foto di Stefania Andreotti

Lo swing del primo periodo era connotato proprio dalle big band, ma anche da una predominanza della sezione ritmica. Anche voi avete fatto questa scelta?

Tutta l’orchestra ha una forte dimensione ritmica, anche i fiati, che sono 15 e suonano con una dimensione ritmica eccezionale. Poi ovviamente sono basso, chitarra, contrabbasso, batteria e pianoforte ad avere un ruolo importante.

Avete un repertorio ventennale, come avete scelto i brani per questo featuring?

Cercando i brani più belli e ricchi come scrittura. Altri li abbiamo scelti per sfida come quelli con ritmiche reggae. Sono stati tutti individuati per motivi diversi. Per esempio ci sono anche i pezzi più vecchi registrati con Giorgio Canali in modo molto punk, ma con una scrittura piuttosto articolata.

Alla fine sono più di dieci i brani che abbiamo selezionato: La mia vita senza te, Occhi bassi, La faccia della luna, Il mondo prima, Signorina Primavolta, Prova a star con me un altro inverno a Pordenone, Volo sulla mia città, per citarne alcuni. Ognuno è stato riarrangiato dagli stessi componenti dell’orchestra, loro hanno gusto retrò, e in fondo anche le nostre canzoni hanno una scrittura che ricorda il rock’n’roll, le canzoni semplici degli anni ’50, ma i testi sono contemporanei, e questa cosa contribuisce a  rendere l’incontro abbastanza particolare.

Quello di Copparo è stato un evento unico o ne seguiranno altri?

Avevamo già fatto dei concerti, ma per la particolare formazione lo spettacolo è ancora da rodare, quindi anche Copparo è un’occasione speciale.

Abbiamo concepito il concerto come un viaggio intellettuale, una parabola ironica della musica che comincia con l’orchestra, alla quale si aggiungono due cantanti, poi si somma il gruppo con Enrico Molteni e Luca Masseroni, poi l’orchestra sparisce e il gruppo rimane da solo. Vengono progressivamente abbandonati gli strumenti, poi resta solo il canto, infine, ce ne andiamo attaccando le casse ad un lettore che rimanda la musica di un dj. E’ un po’ come ripercorrere la recente storia della musica.

Ci piacerebbe fare altre date con l’orchestra, ma i problemi sono gli stessi di quando eravamo swing, negli anni ’50, cioè è drammatico trovare i posti dove suonare: sia perché le serate costano per via dei diritti e dei cachet dei locali, sia perché chiudono per la crisi, sia per ragioni di ordine pubblico. Questo rende più difficile godere della gioia della musica, per noi e per il pubblico.

Per il momento dunque proseguiamo per tutto aprile con il nostro tour unplugged, poi si vedrà, ci piacerebbe riprendere con l’orchestra per un tour estivo.

Ci sarà anche un disco swing?

La registrazione è quasi finita, uscirà presto. E’ stata una registrazione particolare, fatta vicino a casa, in un teatro, dal direttore Bruno Cestelli e finalizzata con Paolo Baldini. La qualità degli arrangiamenti e la sensazione della musica, che è la nostra, rock indipendente, assumono un senso nuovo, uno deve capire cos’è la musica indipendente ascoltando questo disco, capirà che è musica buona.

Riguardo al nome, lo stiamo ancora cercando, ci sono varie possibilità, a me piace il titolo dello spettacolo.

Un’ultima domanda sul rapporto che avete con Ferrara, qual è?

E’ un rapporto che esiste da lungo tempo. La Tempesta (etichetta discografica fondata dai TARM che produce musica indipendente italiana, ndr) è nata proprio dall’incontro con alcuni artisti ferraresi all’Head Quarter, lo studio di registrazione di Manuele Fusaroli. E’ lì che abbiamo conosciuto, per esempio, Giorgio Canali, che poi ha collaborato con noi. Ed è da lì che sono passati Le luci della centrale elettrica e i Management del Dolore Post-Operatorio (entrambi prodotti dalla Tempesta, ndr). Siamo molto legati emotivamente alla città, anche perché uno del gruppo, Enrico Molteni, ha la mamma e i nonni di Ferrara. Spero di tornare presto a far festa.

La musica finisce, le luci si accendono.

“Ciao Copparo, ci vediamo al prossimo concerto, intanto imparate a ballare”, ammonisce Toffolo, che durante lo spettacolo aveva invano invitato il pubblico ad alzarsi e a unirsi alle danze swing sotto il palco. “La vita è cattiva, ma non l’ho inventata io, il concerto è finito”, saluta e il pubblico risponde… beh se non lo sapete, andate a scoprirlo al prossimo concerto.

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