«Fuori i secondi!», è la battuta cinematografica più ricorrente per dare il via a un match di pugilato. Non c’è il quadrato di un ring e neppure il suono di un gong, invece, a fare da cornice all’imminente sfida fra Spal e Verona. Eppure, la rivalità fra le tifoserie, la lotta per la salvezza e i punti in classifica in questo delicato momento del campionato, sembrano richiamare proprio un incontro di boxe. Uno scontro a viso aperto per non rimanere impigliati nel gorgo della zona retrocessione. Fuori i secondi, appunto. Turno casalingo per gli spallini, con indosso la storica casacca azzurra con maniche bianche. Stadio ‘Paolo Mazza’ per gli scaligeri, che quindi giocano fuori casa. Fuori, una parola che si presta a diverse espressioni, da un contesto più serio a uno più leggero. Fuori strada, fuori luogo, fuori tempo, fuori come un balcone. Proviamo a giocare con ciascuna di loro, ruotando intorno alla città di Verona e alla sua squadra di calcio. A giocare con le atmosfere di luoghi, come il balcone di Giulietta Capuleti, dove il potere della suggestione è tale da rendere più ravvicinato il ponte fra realtà e fantasia. Come fantasiosi furono gli studenti del liceo classico ‘Scipione Maffei’ che, sospinti dal proprio insegnante di greco Decio Corubolo, fondarono nel 1903 l’Associazione Calcio Hellas. Il primo mattone dell’odierno Hellas Verona era impregnato di richiami all’antica Ellade, seppure la città veneta non fosse bagnata né dal mar Ionio, né dal mar Egeo. Fuori strada, dunque, chi si fosse trovato a cercare in quel Verona, una sorta di distaccamento di una squadra di calciatori del Peloponneso.

Fuori di testa, invece, sarebbe stato etichettato un tifoso della compagine gialloblù, convinto della conquista dello scudetto, nel settembre del 1984. Un’annata, quella targata 1984/85, che invece consegnerà alla città il suo unico trionfo nella massima serie. In quel gruppo guidato da Osvaldo Bagnoli, peraltro ex calciatore spallino, c’erano Garella e Fanna, Di Gennaro e Galderisi, Briegel, Tricella ed Elkjær, che in una partita contro la Juve rimane senza scarpa e segna. Un gol con un piede fuori dallo scarpino.

In quella rosa non c’è più il brasiliano Dirceu, che due anni prima dà il proprio contributo alla squadra scaligera fino al raggiungimento del quarto posto in campionato, e della finale di Coppa Italia. Un calciatore tanto talentuoso quanto sfortunato, Dirceu, che scompare in un incidente stradale nel 1995, a Rio de Janeiro. Ma veste la maglia della sua Nazionale in tre Olimpiadi come fuori quota, e in tre Mondiali. Gioca anche nel Brasile stellare del 1982, con Zico, Júnior, Sócrates, Cerezo e Falcão, che verrà schiacciato dall’Italia e dal suo bulldozer ‘Pablito’ Rossi. Classe e umiltà, un binomio difficile da rintracciare, che lo porterà prima a Napoli, poi ad Ascoli, Como e Avellino. Realtà di provincia dove, senza farlo mai pesare, forse si sentirà un pesce fuor d’acqua.

Un altro campione giunto a Verona, probabilmente nel momento temporale sbagliato della sua carriera, è stato il trequartista serbo Dragan Stojkovic. Prima delle guerre che divisero il territorio jugoslavo, insieme a Dejan Savicevic e Robert Prosinecki, nella Stella Rossa Belgrado forma un trio delle meraviglie balcanico, che peraltro dà filo da torcere al Milan lunare di Arrigo Sacchi in un quarto di finale di Coppa dei campioni, nella stagione 1988/89. Un pregevole Mondiale disputato nel 1990, terminato ai rigori contro l’Argentina di Diego Armando Maradona. Poi, il passaggio all’Olympique Marsiglia e un infortunio al ginocchio che lo allontanerà dai campi per lungo periodo. C’è il tempo per una finale di Coppa dei campioni persa ai calci di rigori contro la sua ex squadra, la Stella Rossa. E una vinta, senza giocare, ai danni dei rossoneri allenati da Fabio Capello. Da fuori, appunto. Come fuori sincrono, è stata l’esperienza italiana con l’Hellas Verona. Sprazzi di bel gioco, alternati a prestazioni poco brillanti, in una stagione caratterizzata da diciannove presenze e una rete. Ma soprattutto dalla retrocessione della squadra gialloblù, che chiude il campionato al sedicesimo posto. Fuori dalla massima serie.

Il rischio di sentirsi con un piede fuori, di perdere qualcosa di conquistato, e il desiderio di ricacciare via con forza e determinazione tale rischio, dunque, come pungolo per superare gli avversari. Questo evoca la sfida che si consumerà fra spallini e scaligeri. Fra due dirette concorrenti che non appartengono allo stesso luogo geografico, ma sembrano suggerire l’atmosfera di un derby dove sarà venduta cara la pelle. Come pugili che non vogliono finir fuori, dopo l’ultima ripresa.

Illustrazione di Alberto Lunghini

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