Il fruscio di sottofondo era un piccolo ostacolo da superare. Lui gracchiava mentre cercavo il segnale più pulito della stazione radio. Appena lo trovavo, mi sentivo un piccolo mezzofondista che correva i 3000 metri siepi, dopo avere eseguito l’ultimo salto. La strada finalmente libera, la ricezione limpida, e la voce nasale di Enrico Ameri e quella roca di Sandro Ciotti, a portata di timpano. Una delicata e preziosa certezza, in un’era remota senza diritti televisivi e tv a pagamento. Se le telecronache moderne ci raccontano tutto della partita, da ogni angolazione, dagli spogliatoi al tunnel che conduce sul terreno di gioco, allora l’antenna delle radioline degli anni Ottanta, era una tenera quanto rudimentale calamita di suggestioni. Per coloro che non erano allo stadio, non c’erano altri appigli che restituissero il senso di una partita nel suo svolgimento, rispetto alle espressioni che giungevano dai radiocronisti di riferimento. Poi, nel tardo pomeriggio, a sfide ormai concluse, sarebbero arrivate le immagini delle gare a delineare quello che le orecchie dei tifosi aveva solo potuto intuire. Le radiocronache, quindi, avevano paradossalmente poco di cronaca, e molto di inventiva. Epici gli interventi di Ezio Luzzi, che interrompeva i collegamenti dai campi di serie A per sottolineare con enfasi le azioni di gioco delle squadre cadette. Quasi ad accompagnare per mano l’ascoltatore alle imprese di chi anelava al paradiso della massima serie. Rovesciate, discese sulla fascia e salvataggi sulla linea erano lì, dietro un muro, privi di tridimensionalità. E allora venivano in soccorso le radiocronache che tentavano di disegnarne i tratti su quella tela bianca che era l’immaginazione degli ascoltatori. E in ognuno l’inchiostro si asciugava in modo personale. Secondo la propria sensibilità, percezione e, perché no, fantasia. Un effetto simile, lo suscitano ancora oggi le illustrazioni a mano delle partite. Forse perché agiscono su un piano bidimensionale, e ricordano in parte i primi videogiochi sul calcio. Eppure riescono a catturare un frammento di un flusso in movimento. Senza rappresentarlo nella sua interezza. Ma lasciandolo soltanto immaginare. Un sussurro invece di un urlo. E il serbatoio immaginifico si riempie da sé. Se poi la partita è un derby, di quelli dove può succedere di tutto, chissà quanto un’illustrazione può tenere viva la fonte di fantasia di ogni tifoso. A giocare su questa bizzarra riflessione, c’è con noi Alberto Lunghini, illustratore e tifoso della Spal, che si appresta a vivere la prossima sfida, contro i rossoblù del Bologna.

Che emozioni ti suscita una partita come questo derby?

«Per un tifoso spallino è ‘la’ partita. Io ringrazio la società per il traguardo della serie A che è riuscita a raggiungere. E non mi arrabbio per nessuna sconfitta in questo campionato. Perdere un derby con il Bologna, però, confesso che mi metterebbe di cattivo umore».

A livello artistico, come sei arrivato a disegnarlo?

«Ho cercato di inserire una pari quantità di elementi biancazzurri e rossoblù. Per equilibrare l’illustrazione, quindi, ci sono portiere e difensore del Bologna, e due attaccanti spallini».

Delle sfide con il Bologna, quale immagini conservi di più nella memoria?

«Il gol su punizione di Zamuner sotto l’incrocio dei pali. Finì 2 a 0 per noi, in quella partita dei playoff del 1994».

Un calciatore spallino che ha reso memorabile un derby che hai seguito?

«Non vorrei ripetermi, ma Giorgio Zamuner ha reso speciale quella trasferta a Bologna. Ricordo ancora la sua esultanza. Fece il giro fino ad arrivare sotto la curva ospiti. Una gioia immensa».

E uno del Bologna che te l’ha reso più amaro?

«Non ricordo una partita in particolare, eppure mi viene in mente un calciatore biondo degli anni Novanta che si chiama Luca Cecconi. Oltre a un gol da lontano dell’ex Davide Olivares, nella stagione 1994/95».

C’è una partita della Spal del passato che avresti voluto raccontare ai più giovani attraverso un’illustrazione?

«Mi piacerebbe raccontare attraverso le immagini, alcuni derby con il Modena. Una società con la quale esiste una storica rivalità, e che adesso sta vivendo un difficile momento finanziario».

E un calciatore spallino di oggi che sarebbe un soggetto interessante da rappresentare?

«Beh, il capitano. Luca Mora è un calciatore ricco di dettagli da disegnare, dai tratti somatici fino alle movenze in campo, che lo rendono riconoscibile ai tifosi».

‘Old football illustrations’ è una pagina dove realizzi illustrazioni di un calcio che fu. Come è nata l’idea di questo progetto?

«La mia passione per la Spal, e per il calcio in generale, mi è stata trasmessa da mio papà, che ha iniziato a portarmi in curva quando avevo otto anni. Poi, ho cominciato a realizzare qualche illustrazione sulla mia pagina personale. A quel punto ho pensato fosse interessante creare uno spazio dedicato al calcio del passato, e alla squadra spallina. Così, ho iniziato ispirandomi al film ‘Fuga per la vittoria’, per proseguire di settimana in settimana, in funzione dell’avversaria di campionato della Spal. A seguire la pagina sono persone diverse, donne e uomini, giovani e meno giovani. Ci sono anche coloro che non si definiscono veri e propri tifosi, ma apprezzano le illustrazioni che riguardano il passato».

La tecnica che usi è mista. Penna Bic e acquerello su carta, fissata dopo su una tavola di legno, con una vernice finale come protezione. Quanto tempo occorre per ogni illustrazione?

«C’è dietro un lavoro di documentazione legato al periodo storico da rappresentare. Ai particolari delle maglie, o dei palloni dell’epoca. Mi piace pescare in vecchi archivi fotografici, anche oltre l’Italia, per cercare di essere preciso il più possibile. Il calcio inglese, per esempio, è molto interessante. Per una singola illustrazione, comunque, impiego circa una giornata».

Facciamo un salto oltre i colori biancazzuri. C’è un campione del calcio, del quale ti piacerebbe realizzare un’illustrazione?

«Rimaniamo nel calcio britannico. Ti dico George Best, un calciatore di una classe innata. Sia quando indossava la maglia rossa del Manchester, con lo storico numero 7, che quando vestiva la casacca verde della Nazionale nordirlandese».

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