Prima che inizi la partita, un ragazzo del Gruppo d’Azione con la sciarpa sul viso, rivolto al pubblico lucchese comunica con il megafono che da Ferrara sono ritornati per spaccargli il culo e devastargli la loro stronza città di merda. Parte un boato a seicento voci, “razza toscana, figli di puttana”, ripetuto per un minuto intero. L’atmosfera è elettrica e spettrale. Lo stadio è ammutolito, poi mormora e inveisce. Gli sbirri, in forze, si avventano contro quello col megafono e cominciano a trascinarlo via. I ragazzi si avventano contro gli sbirri per riprendersi il loro compare. Nel settore della gradinata occupato dai tifosi della SPAL si apre il vuoto, al centro del quale i ragazzi del Gruppo d’Azione a calci, pugni e cinture fronteggiano i manganelli e le bandoliere degli sbirri. Uno scontro violento ma rapido e quello che rischiava di essere arrestato viene liberato. Gli sbirri capiscono una volta di più che sarà una giornata difficile.

Quanti in città si ricordano del Gruppo d’azione? In tanti, a giudicare dal consenso che in questi giorni sta guadagnando la pagina Facebook del progetto editoriale avviato da Filippo Landini e Alessandro Casolari. I due – che all’epoca avevano rispettivamente sedici e diciannove anni – vissero quella controversa stagione da protagonisti e oggi, a quasi trent’anni di distanza, hanno deciso di scrivere un libro per raccontare cosa significò per loro e tanti altri ragazzi come loro essere parte dell’ala militante della Spal. Ciò che hanno realizzato è un romanzo biografico collettivo, un testo dove – benché ogni parola faccia riferimento a dei fatti reali – la storia non si trasforma semplicemente in documento, diventa narrazione. Un romanzo che, come sottolinea nella prefazione il giornalista spallino Enrico Testa, vicedirettore di Rai Sport, descrive senza pudore l’Italia ruvida e contraddittoria di quegli anni. Perché ciò che accadeva a Ferrara accadeva in qualsiasi altro piccolo capoluogo di provincia, e le vicende del Gruppo d’Azione sono le vicende di una generazione.

Lo sport è il contorno, di locale c’è poco, di calcio ancora meno. Ecco, a colpire è la mancanza di filtri, la testa alta proprio come in quegli anni nell’andare contro un giudizio che, se superficiale, diventerà banale, pieno di stereotipi. La testa alta, vale la pena ribadire, che trasudano queste tante righe fatte di racconti e fatti ed episodi e sciagure. Sociologia pura. Cronaca vera. Autocritica sincera. Forte, viva, tosta. Chi scrive, da ragazzino, di queste trasferte così bene raccontate ne ha fatte qualcuna e di questi personaggi ne ha conosciuti diversi.

Listone Mag ha incontrato i due autori per sapere qualcosa di più del loro lavoro, che non comprende solo memoria e racconto ma anche un interessante apparato di materiale d’archivio, fotografie e articoli tratti dai giornali dell’epoca.

Perché avete deciso di tornare su fatti – non sempre comodi – di così tanti anni fa? Cosa vi ha spinto?

Il libro è nato perché ci sentivamo inadempienti, era un po’di tempo che volevamo farlo ma l’idea, abbozzata un paio di anni fa, era rimasta sospesa. Volevamo spiegare la storia di quel movimento, che era tutt’altro che un movimento di curva. Ci sembrava una lacuna da colmare e siamo stati spinti dalla curiosità di tante persone.

A chi vi rivolgete? Chi credete che leggerà il libro? 

Ci rivolgiamo innanzitutto agli appassionati di tifoseria militante, ma la sfida sarà portare il libro ad un altro pubblico. Ci piacerebbe che trovasse diffusione tra le nuove generazioni, perché abbiano una testimonianza diretta di un fenomeno veicolato solitamente dai mass media, quindi in modo molto parziale. L’opinione pubblica spesso ha travisato o guardato in modo acritico alla marginalità giovanile che si è espressa attraverso l’aggressività da stadio.

Per chi non ha vissuto quella stagione è interessante poterla affrontare adottando la prospettiva dei ragazzi del Gruppo. Il loro sguardo ha poco a che vedere con ciò che la televisione ci ha abituati a pensare degli anni Ottanta… 

Tutto il libro va a sbattere contro la mera realtà di quegli anni, l’arrivo di tonnellate di eroina per rincoglionire milioni di giovani, gli stadi come luogo di controllo e sfogo sociale, per sostituire le strade degli anni Settanta. Non è un caso che molte tifoserie adottassero simbologie legate ai precedenti movimenti estremisti. Ci fu della strategia, panem et circenses. Tant’è che a noi, come a tanti altri ragazzi irrequieti, la curva stava stretta. Ci riprendevamo lo spazio urbano, le piazze.

Courtesy Filippo Landini

Nel vostro libro raccontate una Ferrara che non c’è più, una città di provincia popolata di personaggi che ora si fatica a immaginare percorrere le stesse vie che tutti i giorni attraversiamo. L’ambiente malavitoso di via Volte, con i ricettatori e le prostitute, gli spacciatori di piazza Verdi, le personalità bizzarre che frequentavano il Magic Pub di piazzetta Gusmaria. Colpiscono molto gli articoli dei giornali dell’epoca, soprattutto quelli che trattano la delinquenza vicino alla stazione. Usano gli stessi toni allarmistici dei quotidiani che leggiamo oggi ma allora il problema era squisitamente autoctono. I ferraresi non hanno memoria?

Tutte le storie della Ferrara di quegli anni sono finite nel tritacarne, non c’è memoria storica, nessuno ci tiene ad averla. Il passato è utilizzato solo in funzione del profitto, quando c’è da organizzare la mostra di un pittore prestigioso serve a darsi un tono, per questioni di facciata. Ma non è un problema solo nostro: abitiamo in un Paese completamente privo di critica, nei  confronti di sé stesso e della propria storia. Nel 1992 gli articoli sul degrado in zona Gad erano uguali a quelli di oggi, il malessere era tutto made in Ferrara, ma la società non ha coscienza, ognuno balla con sua nonna.

Avete incontrato difficoltà nella stesura? Che metodo avete usato?

Per dei mesi ci siamo incontrati tutti i giorni, confrontando i nostri reciproci ricordi e mettendoli per iscritto. La ricostruzione cronologica, la costruzione di un testo organico è venuta dopo. Per i documenti ci siamo fatti aiutare da diversi tifosi e fotografi professionisti che avevano conservato immagini e articoli, altri li abbiamo cercati nell’archivio della Biblioteca Ariostea.  Le difficoltà che abbiamo incontrato sono state diverse, quella di coordinare bene certi episodi ma soprattutto quella di mantenere il realismo e l’onestà della scrittura, senza sfociare nell’apologia. Abbiamo cercato di trattare l’antagonismo tra le curve e le forze dell’ordine nel modo più oggettivo possibile, l’inserimento degli articoli serve anche a questo, a dare un punto di vista esterno. Sicuramente non abbiamo cercato un libro Acab (acronimo di All Cops Are Bastards, ndr). È stato soprattutto un lavoro di grande autocritica, moltissime cose ora le disconosciamo – ci sono cose che puoi fare solo a vent’anni – ma è stato utile questo scavo, utile per capirci, per riconoscerci, per soppesare a distanza di decenni la consistenza dei rapporti tra le persone. C’è stata una certa sofferenza nel ricordare tutto, anche entusiasmo, perché delle amicizie i ricordi sono ottimi, delle conseguenze sono pessimi. Detto un po’alla Tondelli, si può considerare questo libro come la testimonianza del vissuto di una tribù metropolitana, per noi quella piccolissima frazione di tempo andò così.

Che rapporto legava i componenti del Gruppo d’Azione?

I ragazzi del gruppo erano legati da un sentimento di fratellanza che nasceva dalla frequentazione quotidiana, sette giorni su sette, più che dalla passione calcistica. A ripensarci dopo tanti anni ne puoi cogliere la bontà. Non era un rapporto di dare e avere, era quasi naif, ingenuo. Anche nelle stronzate che facevamo eravamo molto ingenui, un po’animalhouse, non eravamo consapevoli di quello che facevamo. Questo non lo diciamo per evitare la responsabilità, ma proprio perché c’era sempre una sorta di demenzialità nelle nostre azioni. Le curve negli anni Ottanta erano un bacino di violenza inaudita nelle grandi città, e avere sempre a fianco degli amici fedeli costituiva una tutela. La nascita del Gruppo è avvenuta per questo, era una sorta di servizio d’ordine per le trasferte, dove c’erano più pericoli. Lo striscione ad esempio veniva appeso solo fuori casa, mai al Paolo Mazza. Nel 1983 i modenesi devastarono completamente un pullman di spallini. Furono proprio i più giovani – Alessandro all’epoca aveva sedici anni, ndr – a dire: questo non succederà mai più. In un paio di anni si creò il Gruppo. Comunque quella volta pure a Ferrara c’erano delle zone non proprio garbate e comode. Se la gente sapeva che eri uno di noi non ti rompeva i coglioni, semmai avveniva il contrario, nella logica stradaiola degli adolescenti. Nella giungla l’unione fa la forza, succede anche adesso che le community sono molto più virtuali che fisiche.

Quando avete conosciuto Enrico Testa?

L’abbiamo conosciuto in quegli anni. Ha sempre avuto una grande passione per la Spal e per la vita della curva, era ed è attento e curioso. Lo ringraziamo per la prefazione. Sicuramente Enrico è la persona più adeguata a introdurre il libro. Ci conosce in prima persona, fa parte del mondo che raccontiamo, l’ha vissuto.

Quando uscirà la pubblicazione?

Speriamo presto, siamo in contattato con diverse case editrici. Attualmente stiamo valutando varie proposte per capire quale potrebbe essere la migliore. La pagina Facebook, per chi fosse interessato, verrà aggiornata con tutte le novità.

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