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PIATTI DEL RE
INAUGURA VENERDI’ 22 APRILE ALLE ORE 17.30, NELLA GALLERIA DEL LICEO
ARTISTICO DOSSO DOSSI DI FERRARA, IN VIA BERSAGLIERI DEL PO 25,
LA MOSTRA DEDICATA AI “PIATTI DEL RE” DI FRANCO MORELLI.
LA MOSTRA, CURATA DAL PROF. GIANNI CERIOLI, RIMARRA’ APERTA FINO A
DOMENICA 8 MAGGIO, RISPETTANDO I SEGUENTI ORARI: 10-12.30, 16.30-19.30.
Franco Morelli (Ferrara 1925-2004) frequenta per un solo anno l’istituto d’arte Dosso Dossi.
Ragioni di forza maggiore (la morte del padre prima e successivamente del nonno) lasciano lui e il
fratello minore senza aiuti finanziari e i due ragazzi debbono trovarsi un lavoro per mantenersi.
Nell’ottobre del 1945 fonda a Ferrara un Circolo Artisti Dilettanti al fine di garantire una visibilità a
tutti quei “non professionisti” che, come lui, non hanno potuto avere un’istruzione artistica regolare.
Per il CAD allestisce periodiche mostre collettive e conferenze. Nel 1946 crea una sezione a Cento
(Ferrara). Solo nel 1951 organizza una sua mostra personale. Determinato nelle scelte, si mette in
contrasto con il sistema delle arti vigente in quel momento nella città estense e, dalla fine degli anni
Cinquanta, decide di non fare vedere più nulla di quanto produce. Coltiva in privato l’illustrazione,
la pittura e la letteratura. Sino alla morte crea oli, tempere e, soprattutto, tavole disegnate con la
penna biro. La Divina Commedia è l’opera sulla quale è tornato a lavorare in maniera continuativa
per oltre un trentennio. Solo dopo la sua morte la vedova dell’artista Anna Luisa Bianchi Morelli, su
indicazione di don Franco Patruno, inizia a promuovere la conoscenza dell’enorme patrimonio
inedito.
I PIATTI DEL RE tra segni celesti ed eventi terreni.
di Gianni Cerioli
La produzione grafica di Franco Morelli, connotata dalla forza creativa davvero fantastica
delle otto serie dedicate alle cantiche della Divina Commedia, non smette mai di rivelare delle
sorprese. All’interno del complesso, per la maggior parte ancora inedito, dei suoi lavori di illustatore
si trova un gruppo di otto tavole, datate 1987-1988, intitolato I piatti del Re che sembra costituire
una produzione a se stante, autonoma e, ad una prima lettura, palesemente al di fuori di quella linea
dantesca che il nostro autore sembra privilegiare.
Eppure le ragioni dell’evidenza non stanno proprio come suggerisce la prima impressione.
Se il riguardante si lascia prendere solo dalla magia delle chine colorate giapponesi che Morelli
scopre i quegli anni, e dall’uso sapiente che ne sa fare, non può cogliere tutto il senso affabulatorio
di una narrazione particolarmente precisa e coinvolgente. L’artista, che non espone più da anni la
sua produzione, non è per questo meno attento a quanto avviene in città. Dal primo ottobre 1988
allla fine di marzo del 1989 si tiene nel Castello estense l’esposizione A tavola con il principe.
Materiali per una mostra su alimentazione e cultura nella Ferrara degli Estensi. Il tema era
evidentemente nell’aria tanto che Morelli lo precede di un anno. Con la presente esposizione si
vuole togliere dal silenzio proprio queste otto tavole e ricostruirne il contesto.
La cronologia generale delle opere testimonia come in quel bienno della fine degli anni
Ottanta la mano dell’artista sia particolarmente sollecita al fare. È un periodo felice di creazione. La
tavola del grande piatto da portata del servizio da pesce reca un’annotazione che ci interessa: è stato
un suggerimento del fratello minore a dargli lo spunto della serie. È probabilmente questa nota a
datare la prima delle tavole create. Era questa una delle tante piccole “sfide” che venivano giocate
tra lui e i suoi stretti familiari: la moglie Luisa, Alberto e la cognata Mariella, lasciando a lui la
totale autonomia nella realizzazione. Franco era al centro dell’attenzione del suo gruppo familiare,
coccolato e amato per la sua creatività, saggezza e umanità.
Nel biennio 1987 – 1988 Morelli è dunque in pieno fermento. Nel ’87 fiorisce la settima serie
della Divina Commedia, la più bella a mio avviso. Un’opera a penna biro nera su carta che era
iniziata alla fine dell’anno precedente e che durerà, rallentata da altre produzioni con variazioni e
riletture, sino al 1993. Nasce per questo motivo la cartella dei “Fuori misura”. È la raccolta dei
frammenti delle tavole sostituite e dai quali l’autore non ha il coraggio di separarsi. Alcuni
riguardano le figure o parte delle anatomie altri sono dei tratteggi. Proprio sul tratteggio l’artista ha
fondato una sua teoria per “figurare” gli spiriti che compaiono nelle tre cantiche.
Di quello stesso anno è il corposo dattiloscritto Illustrazione della Divina Commedia.
Commento dell’autore. Morelli, che è anche uno scrittore capace, diventa il critico di se stesso e
commenta ogni tavola da lui illustrata. Sappiamo per sua stessa dichiarazione che la produzione
delle tavole non segue mai un percorso lineare. La cronologia non procede secondo la partizione
tradizionale del testo da illustrare. Anche qui le varianti in corso d’opera sono significative. Seguire
il lavoro di sostituzione in questa serie è un vero lavoro di filologia. Eppure sarà possibile farlo:
esistono ancora da qualche parte i negativi delle foto in b/n scattate dal fratello Alberto di tutte le
tavole prodotte.
Ancora nel fervore creativo del 1987 Morelli inizia la piccola, splendida serie delle dieci
tavole dedicate alla Genesi. C’è poi una versione “moderna” delle quattordici stazioni della Via
Crucis, presentate due anni fa in questa gallleria. È pure l’inizio della serie I Piatti del Re che viene
completata l’anno successivo con una sola tavola di uno dei piatti di servizio. Nel 1988 crea inoltre
la grande serie de I vecchi mestieri, ricognizione etno-antropologica dei mestieri avanti il boom
economico italiano. L’intera serie è a penna biro nera su carta con rialzi a penna colorata.
Morelli ha sostenuto una sua lunga battaglia con il colore prima di privilegiare il
monocromo. Tra la forza del colore e quella del disegno la scoperta dell’uso della penna a sfera gli
ha permesso di tenere in equilibrio lo stile, la composizione e la narrazione. Non va in questo senso
trascurato il fatto che l’uso del colore è prioritario nella serie dei Piatti del re se non per una sola
tavola, quella del grande piatto da parata, che è bipartita per metà disegnata e per l’altra metà
colorata. È come se Morelli avesse voluto consegnarci una dichiarazione di poetica circa l’uso del
colore nella sua opera.
Fin dalla tavola iniziale vi un riferimento alla cosmologia aristotelico-tolemaica, celebrata
da Dante nella sua opera, che viene approntata come fondamento per questa serie. Esiste, infatti, la
possibilita di collocare i Piatti all’interno di quel percorso di umanesimo cristiano che è il punto
centrale della poetica del nostro autore. La didascalia in stampatello alla base del piatto indica
l’inizio di un percorso che non è solo terrestre ma soprattutto astrale. La composizione tiene conto
dei movimenti e delle varie posizioni che i pianeti descrivono nella volta celeste. Ed è subito
presente allora la fascinazione di quello strano animale dalla posizione eretta che può alzare gli
occhi al cielo e interrogarsi su quello che vede nel buio della notte.
Nella realizzazione delle tavole, i pianeti vengono contrassegnati dai colori tradizionalmente
loro riservati pur con variazioni e compaiono in posizioni sempre diverse. È il flusso del tempo che
tutto avvolge. Oltre alla prima tavola dichiaratamente programmatica del piatto da pompa seguono,
ma non in senso cronologico, un grande piatto da parata sempre sviluppato a fasce, quattro piatti da
portata: carne, pesce, legumi, frutta e due piatti di servizio.
Nel piatto “da pompa” Morelli sembra muoversi dialetticamente tra le simulazioni di un
cielo tolemaico e quello proprio di un tema natale. Allo stesso modo è una evidente licenza poetica
il modo con cui vengono espresse sulla sfera celeste le distanze in gradi dei pianeti tra loro. La
stella centrale a dodici punte partisce la carta del cielo in dodici case in cui vanno a collocarsi i
pianeti e le stelle fisse, descritti nelle fasce del piatto. Il grande piatto “da parata” per metà colorato
e per metà disegnato è strutturato in tre cerchi concentici, all’interno dei quali sono raffigurate scene
di giochi olimpici e opere del genere esiodeo le cui azioni sono ritmate dal Cielo e dalle stelle.
Nel piatto “da portata” con la selvaggina (il cibo della caccia era destinato ai soli nobili) la
forma ottagonale è un palese omaggio a Saturno, il pianeta che governa potere e autorità. La stessa
motivazione si ritrova nel piatto del servizio da pesce. La presenza di uno splendido pesce abissale,
il regalesco, richiama la costellazione dell’Idra nell’asterismo delle mappe celesti. Anche se non
sempre è chiaro il movimento messo in moto dall’autore nella descrizione astrologica, Morelli, tra
ortodossia e eterodossia, prende ancora una volta le parti della sua autonomia di artista.
Nella struttura decorativa dei Piatti il cibo rappresenta il punto fermo, irrinunciabile.
Attraverso il cibo si impone la presenza più immediata del mondo, dell’uomo, della sua storia e non
solo. Il cibo viene cercato, esaltato, profuso ma anche volutamente esibito. In ogni modo tutto il
creato è a disposizione dell’uomo. Eppure il mondo medievale ha conosciuto la carestia e la fame.
Le teme come il suo eccesso contrario, quello della gula. È un peccato mortale perché, come la
lussuria, l’avarizia e la cupidigia, è la dimostrazione di un pensiero egoista delle soddisfazioni
sensibili.
Proprio perché figlia della sofferta esperienza della mancanza di cibo, la descrizione del
nutrimento vive da un lato sulla enumerazione puntuale degli alimenti da mangiare o bere e
dall’altro sul desiderio del cibo, dei prodotti della cultura e del commercio. Viene da chiedersi però
a quale committenza siano destinati questi splendidi manufatti che riflettono la luce con la
preziosità della maiolica. Forse la risposta si trova tra le pagine del De monarchia. Dante pensa che
nell’idea di “Uno”, del monarca, non ci sia solo l’idea dell’onnipotenza, ma anche quella di
giustizia, di pace, di non divisione tra gli uomini. Il re è soprattutto il legislatore, quello che affronta
l’umanità e riconduce la società civile, il genere umano alla sua legge.
I pianeti che impongono la loro presenza nella partitura della composizione, interrompendo
la sequenza della figurazione, ci forniscono un’ulteriore riflessione sulla tirannia degli astri e sul
libero arbitrio. Dante accetta la dottrina delle inclinazioni astrali le quali, sottraendo potere alle
influenze stellari per attribuirlo alla libera volontà umana, assecondano quelle benefiche per non
lasciarsi sopraffare dagli sguardi maligni dei corpi celesti. Morelli nella ricera di “figurare” l’opera
di Dante convive con quella straordinaria enciclopedia del sapere che è la Commedia. Colloquia
costanemente con la sua trama concettuale e immaginale ma soprattutto studia, commenta, riflette
sull’invito del Vangelo a considerare come l’uomo non viva di solo pane e come il cibo da solo non
possa mantenere in vita il corpo in eterno. Hic est panis de caelo descendens: ut si quis ex ipso
manducaverit, non morietur.
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