di Salvatore Caputo

Ritornano così, dopo ben sei anni di silenzio, tra atmosfere oniriche e ritmate da un canto echeggiante come un costante e distante richiamo dalla foresta. Signore e signori, direttamente da Seattle, patria del grunge, ecco a voi i Fleet Foxes!

Più simili a Bob Dylan e Cat Stevens che non al signor Cobain, i Fleet Foxes ieri sera hanno acceso Piazza Castello con i loro innumerevoli suoni ed innumerevoli colori. A riscaldare il pubblico ferrarese ci ha pensato Hamilton Leithauser che non ha esitato a lasciare la sua Nuova York per suonare qui in Italia. Dopo essersi scusato per il suo pessimo italiano, si è fatto perdonare regalando dei bellissimi brani vibranti di emozioni e sentimenti in tipico stile yankee.

Alla fine, come se il cielo stesso fosse consapevole del cambio di registro, il Sole è iniziato a calare congedando Hamilton ma accogliendo Robin Pecknold dei Fleet Foxes, che per primo si è palesato sul palco agitando le braccia per aizzare i fan, seguito dal resto del gruppo, il tutto in una propedeutica oscurità.

Oscurità solo illusoria, poiché i pezzi della loro ultima fatica discografica, Crack-Up, sono paragonabili ai raggi solari che per primi annunciano un nuovo giorno. È questa la sensazione che ha vissuto ieri la folla, amplificata da un coordinato e magistrale gioco di luci e colori. La band statunitense ha saputo creare la suspense all’inizio di ogni brano per poi sorprendere tutti con una esplosione di strumenti musicali tra i più vari.

Foto di Giulia Paratelli

Oltre il classico basso e chitarra, sul palco si sono avvicendati un oboe, una tastiera, delle maracas, una viola, un flauto traverso e persino due tamburelli con sonagli, ma non c’era caos nell’aria bensì un’armonia perfetta che ricordava un po’ la tradizione americana delle ballads e del folk ma unita a suoni sintetici ed elettrici creando qualcosa di completamente nuovo ed unico.

Non solo la musica ma anche i testi risultano essere il frutto di un’accurata ricerca sia stilistica che di contenuti destreggiandosi tra argomenti quali l’odio razziale e la condizione femminile della nostra epoca.

Non si sono certamente risparmiati i ragazzi di Seattle: dopo alcuni brani del loro ultimo album e alcune vecchie glorie dal primo fortunatissimo disco, la voce del gruppo si è concessa alle richieste della platea e ha letteralmente mozzato il fiato a tutti quando, con le stelle come sfondo, ha eseguito Tiger Mountain Peasant Song. Sul palco c’erano solo Robin e la sua chitarra ed in Piazza Castello tutti erano ipnotizzati. Dopo aver trovato il tempo di augurare la buona fortuna ad una fan che il giorno dopo doveva affrontare un esame, la band è risalita sul palco con tutto il suo bagaglio di melodie e parole ed è riuscita a chiudere in bellezza un concerto che era già partito bene con In the morning e Crack-up.

1 Commento

  1. martigna scrive:

    E chi sarebbero i Fleet Fosse? 😉 e forse dovreste reinserire le foto 😉

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