Apro il taccuino che avevo con me l’altro giorno. Ferri di cavallo, imbuti, girarrosto, giogo, centilena, leva bietole. Cerco un filo da seguire per iniziare a scrivere, non è facile, poi capisco che devo cambiare prospettiva. Per raccontare del pomeriggio trascorso con il signor Angelo non posso seguire la linearità di un filo, ma le dinamiche di un filò, nel senso storico tradizionale: spirali di racconti, persone, cose, finestre che si aprono in altre finestre senza chiudersi mai. Non posso trascrivere un’intervista perché non è andata così. È andata che ho rallentato appena arrivata nei pressi dell’Ustariaza in via Piangipane, rallentato molto, come si era raccomandato più volte Angelo quando ci siamo sentiti per telefono e subito dopo ho svoltato a destra in un vicoletto che non avevo mai notato. In fondo alla stradina, vicolo San Giorgio, il signor Angelo Andreotti mi aspettava sulla soglia del suo mondo che sta dietro un grande cancello di ferro battuto decorato da ferri di cavallo e rose tra le quali spunta un’insegna “Cose d’altri tempi”. Ed è così: entrati nel giardino si viene circondati da oggetti, da cose che ricoprono ogni centimetro dei muri che delimitano la corte, oggetti sconosciuti per lo più, appartenuti a tempi lontani.

Ad Angelo, 81 anni di bagaglio, non servono incentivi per iniziare a raccontarsi:

– Sapete dove siete? Siete in un ex stallo, sapete cos’è?
– Sì, più o meno…
– Siete in un garage, un garage per cavalli, qui dagli anni Trenta fino al Quarantasette eravamo uno dei punti di riferimento del contado che veniva in città con il cavallo. Il lunedì, giorno di mercato, mio papà teneva fino a sessanta cavalli qui.

La tradizione e la passione equina sono evidenti, tra tutti quegli oggetti, tanti raccontano anche ad un occhio inesperto l’amore e la passione per i cavalli di chi li custodisce: ferri, spazzole, bilance per il fieno, acquerelli che ritraggono le nobili bestie. Quello che non passa inosservato se non altro perché è parcheggiato al centro del giardino è un calesse. “Quello che stai guardando – dice Angelo fiero – non è un calesse, è come se stessi guardando la Bugatti dei calessi. È un Gandolfi, si riconosce perché ha una raggia in più. È stata la mia prima “macchina” e non ha nemmeno bisogno della revisione. Con questa ci portavo in giro tutta la famiglia. Costruita nei primi del Novecento e tutt’ora perfettamente funzionante.”

Foto di Francesca Canella

Perché oltre la grande passione per i cavalli, Angelo nutre anche quella per tutto ciò che sta dietro i cavalli, i calessi, anzi, i birocci, passione che dopo qualche anno di scuola ha trasformato nella professione della sua vita. “Dopo aver aiutato mio papà allo stallo, ho iniziato a lavorare come birocciante. I biroccianti erano una categoria di gente grezza, cruda, in sostanza dei trasportatori per fare i traslochi.” San Michele è il patrono prima ancora che dei traslochi degli sfratti; nella tradizione il 29 Settembre, giorno del santo, decorreva la scadenza dei contratti di affitto di case e terreni, alla scadenza del contratto si caricavano armi e bagagli e si traslocava, quindi si diceva di “fare San Michele”.
E questo ha fatto per anni Angelo con il suo biroccio, prima fisso poi rovesciabile. Racconta del carro ribaltabile come di una vera innovazione e per farmi capire meglio mi mostra un modellino in legno intagliato da lui di questo carro che poteva essere caricato senza essere staccato dal cavallo. “Sai, la modernità è fatta dalla piccole cose.” Ma la vera svolta l’ha avuta quando dal carro è passato al camion, in tutto sessanta anni di trasporti tra zampe e motori.

– Mi dica però, fare i trasporti con il cavallo le piaceva di più?
– No no, eravamo ragazzi, ad andare in giro con i cavalli poteva capitare che sporcassero per la strada, allora se c’era qualche ragazzina nei paraggi noi ci andavamo a nascondere per la vergogna… con il camion invece eravamo fieri, è stata una rivoluzione. Il progresso non è mai un male se si lasciano inalterate le caratteristiche di una cosa, una professione.

Mentre parla mi porta davanti a una stampa di Ferrara con viale Cavour attraversato dal Panfilio. Angelo la guarda e con nostalgia sospira “che bella la nostra città, ogni tanto la cambiano, ma mica sempre in meglio, è una città così preziosa…”

– E di trasporti preziosi ne ha mai fatti?
– No, anzi, tante macerie. Nel dopoguerra la mia attività principale era quella di ripulire la città dalle macerie dei bombardamenti, portavamo tutti i detriti in una buca nel sottomura, vicino a dove adesso c’è il Giardino delle Capinere, l’oasi LIPU.

Chissà cosa ha trovato Angelo fra quelle macerie di guerra, probabilmente ritrovamenti che non ha voglia di raccontare e che forse semplicemente ha preferito scaricare dalla memoria con il resto dei detriti. Però un incarico di prestigio ha tenuto a raccontarmelo: “Una volta ho lavorato per Florestano Vancini in uno dei suoi set. Trasportavo i materiali che servivano ad allestire le scene. Tutto il giorno in giro con l’architetto delle scenografie.” Ma non posso approfondire perché mentre mi parla, tra un racconto e l’altro, continua a guardare i suoi tesori esposti e non può fare a meno di interrompersi e chiedermi se so cosa è questo e cosa è quello. Si burla un po’ della mia ignoranza e ride delle strampalate interpretazioni che accenno di oggetti tanto sconosciuti a me e quasi ovvi per lui, finendo quindi per descrivere con dovizia di particolari corde per piantare equidistanti le sementi, lampade che andavano a carbone vergine del Belgio, suore e preti da riempire con braci ardenti e infilare nel letto prima di andare a dormire per trovare le lenzuola calde… Tesori che ha raccolto negli anni, ma anche che gli regalano conoscenti o amici.

Quando vengo invitata ad entrare in casa, mi accorgo che l’interno è la prosecuzione del museo che abbiamo appena lasciato: foto, quadri, stampe, che continuano a ribadire gli amori della vita di Angelo: i suoi cavalli, mentre li allena, mentre li accudisce, mentre portano i suoi carri, cavalli con la sua famiglia e cavalli nella sua città. Particolare è una foto di Ferrara in piena austerity, quando era stato imposto il divieto di utilizzare l’automobile il sabato e la domenica e di un per niente austero Angelo che passa trionfante davanti al duomo con il suo calesse. E poi ci sono le foto di quando a Ferrara si organizzavano gare di pesca nel fossato del castello, popolato da anguille e siluri. Le foto sono talmente tante che non ci sono abbastanza pareti nella grande sala da pranzo e Angelo le raccoglie in un grande quaderno ad anelli e con minuzioso ordine scrive dietro ad ognuna l’aneddoto che la rende preziosa. Tanti racconti scritti alla sua maniera e che spera, “favore vere” che spera qualcuno un giorno abbia voglia di riscrivere e pubblicare.

Foto di Francesca Canella

Da ferrarese doc quale è Angelo finisce per farmi vedere la foto di una manifestazione di biroccianti del bar del Cavallino Bianco, in piazza Sacrati per sostenere una Spal che rischiava negli anni Cinquanta il posto in serie A.

– Ha funzionato?
– Certo, siamo rimasti in A, ho portato Macor sul calesse in trionfo!

Confesso che oltre ad avere una discreta ignoranza in merito agli attrezzi dell’arte contadina, forse in campo Spal sono anche messa peggio, ma al racconto di Macor sul carro non ho voluto dare questa delusione ad Angelo e solo a casa – lo dico per i pochi che se ne intendono come me – ho scoperto che Guido Macor ha giocato con la maglia biancoazzurra negli anni di Paolo Mazza uno dei suoi migliori campionati e ha segnato uno storico gol contro il Bologna. Angelo è ancora un sostenitore della squadra cittadina ed infatti sventola una grande bandiera proprio sopra il calesse parcheggiato in giardino.

– È originale anche quella? – chiedo
– No, quella è nuova, però allo stadio ci vado con questo – risponde mostrandomi un cuscino da gradinata dello “Spal Club Oscar Massei”.
– E se torna in A se lo fa un carosello in calesse?
– Magari!

Dopo qualche giorno dall’incontro con Angelo, ricevo un messaggio da Francesca, l’autrice delle foto che vedete qui sopra. “Ho un problema, ho più di novanta foto…” Come l’ho capita! Mi trovo nella sua stessa situazione a raccontare della volta che mi sono trovata a far filò con Angelo, mi sono persa nei suoi racconti che si aprivano uno dentro l’altro, racconti di oggetti, di animali, di persone, di una città come non l’ho mai vista ma che rivive nella sua voce. Se a qualcuno è venuta voglia di perdersi in questi racconti o semplicemente di visitare il museo che Angelo ha nel suo giardino, il suo è uno dei cancelli aperti durante Interno Verde il 13 e 14 maggio, così come lo è stato l’anno scorso ricevendo più di mille visitatori e nessuno è andato via senza una storia.

Ricordatevi, su via Piangipane, arrivate all’Ustariaza, rallentate, rallentate molto e girate a destra, Angelo vi aspetta a far filò.

1 Commento

  1. Massari Marco scrive:

    Grande Angelo .Tu racconti una Ferrara bellissima che non c’è più questa nostra città è sempre stata molto bella anche se dai tuoi racconti lo sembra ancor di più. Grazie Angelo per avercelo fatto notare

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