Guardo incantata questa foto di Mimì Quilici Buzzacchi, scattata negli anni ’70 dal figlio Folco. La luce arriva diretta al volto e gli occhi, fieri, non sono rivolti all’obiettivo ma verso i propri pensieri. Mentre stringe il pennello la mano accarezza, come in un’intesa silenziosa, il paesaggio nascente appoggiato sul suo inseparabile cavalletto.

Foto di Folco Quilici, anni ’70

Questa straordinaria donna ed artista, tra le maggiori esponenti del ‘900 italiano, ha creato immagini rimaste nella memoria collettiva della nostra città, come la famosissima incisione su tavola di bosso della magica e misteriosa “Leggenda di Ferrara” o come le splendide copertine a colori, con immagini di scorci, monumenti o soggetti ferraresi resi con taglio aerodinamico e futurista, incise su linoleum, della “Rivista di Ferrara” degli anni ’30, esposte un paio di anni fa in una mostra raccontata anche da questo magazine.

Non ho mai conosciuto Mimì. E’ una bella emozione, perciò, sentire le parole di Lucio Scardino, che invece l’ha più volte incontrata, nel corso degli anni. E che ora ha curato un’esposizione ferrarese di numerose sue opere grafiche, datate tra il 1927 e il 1943, facenti parte della collezione di Folco e Vieri Quilici. Dopo l’importante monografica “Tra segno e colore” alla Galleria d’Arte Moderna di Roma dell’autunno scorso, infatti, è stato un desiderio dei figli, romani di adozione ma profondamente legati a Ferrara, il ripresentare nella loro città natale non tutti i numerosi oli esposti ma le opere perlopiù nate negli anni in cui la loro famiglia ancora vi abitava, nella bella villa liberty di Viale Cavour. In occasione del recente convegno romano sul cinema futurista, in cui Lucio ha esposto una sua relazione su Sepo e Diana McGill (attrice ferrarese amica della stessa Quilici), si è concretizzata quindi l’idea di questa attuale mostra, che ha fatto tornare in città, con le opere di Mimì, per alcuni giorni anche il figlio Vieri e il nipote Simone.
A Lucio noi ferraresi dobbiamo riconoscenza per il suo avere, con passione e tenacia, riportato luce su molta parte della storia artistica ferrarese del secolo scorso, spesso dimenticata. Ma non è certo poco conosciuta Mimì Quilici, la cui fama ha varcato di gran lunga le mura cittadine, avendo esposto alla Biennale di Venezia fin dal 1928, poi alla Quadriennale romana e via via fino alle retrospettive dei giorni nostri.

Autoritratto, 1926

“Ho conosciuto Mimì Quilici nel 1981, quando lavoravo al Palazzo dei Diamanti. Franco Farina aveva invitato la pittrice per una mostra dei suoi Castelli Estensi, in disegni e oli, avvenuta proprio nelle sale del nostro principale monumento. A presentare Mimì a Farina era stato il senatore comunista Mario Roffi, poliedrico intellettuale ideatore di infinite manifestazioni culturali, che era stato il primo a farla tornare ad esporre in città dopo la guerra, nel ’56. Con timore reverenziale, quindi, mi sono messo a disposizione di questa famosa artista, mamma del regista e scrittore Folco e dell’architetto Vieri e vedova di Nello, uomo di grande cultura e direttore del Corriere Padano (giornale in cui lei stessa curava la pagina dell’arte).
Mi è venuta incontro una piccola e garbata signora dai capelli bianchi, con imbarazzo l’ho fatta salire sulla mia vecchia Mini Minor e lei inaspettatamente mi ha chiesto di accompagnarla a Pontelagoscuro, alla ricerca dei Mandorlini! Abbiamo cercato in vari forni, ma questa prelibatezza che evidentemente nei lunghi anni romani non aveva dimenticato, era allora introvabile… Dopo questo curioso inizio, dal sapore proustiano, ho avuto con lei altre occasioni di incontro. Mi ha invitato a Roma, nella sua casa sul Lungotevere Flaminio, dalle cui luminose finestre vedeva quel fiume che aveva più volte dipinto, e che le ricordava il fiume nostrano. Aveva portato con sé nella capitale tanti ricordi e oggetti della sua casa in Viale Cavour e alle pareti erano appese opere di amici artisti ferraresi, tra cui Funi, Cattabriga, Zucchini, Virgili. Mi ha confidato di sentirsi quasi esiliata a Roma, avendo Ferrara nel cuore.”

Courtesy Famiglia Quilici

Sono nomi, questi degli amici pittori e scultori di Mimì, che raccontano la storia dell’arte ferrarese del novecento. Insieme al primo, Filippo De Pisis, conosciuto quando Mimì era ancora una giovane ragazza e dipingeva paesaggi marini, durante le lunghe vacanze nella casa paterna a Cesenatico.  Mentre il pittore, sul molo, come lei stessa racconta: ”declamava sue poesie in francese e intorno uomini di quel mondo ferrarese che ha dato tanto alla cultura di quegli anni”. E De Pisis la descrive così: ”Dipinge come sorride e come si muove, senza nessuno sforzo..”
Poi le amicizie e le affinità con Corrado Padovani, Galileo Cattabriga, Annibale Zucchini e Roberto Melli, ritrovato poi a Roma, e quindi l’incontro illuminante con Achille Funi, con il quale nel 1928 ha esposto nella mostra della “Settimana ferrarese”.
Negli anni dell’”Ottava d’oro”, poi, Funi affrescava (dopo aver dipinto i cartoni preparatori proprio nel granaio della casa dei Quilici) le affascinanti storie de “Il Mito di Ferrara”, in sintonia con le importanti celebrazioni ariostesche che avevano richiamato a Ferrara molti grandi personalità della cultura artistica e letteraria del tempo. E intanto Mimì creava una serie di xilografie a corredo del volume che ha raccolto il racconto di questi cinque anni di avvenimenti (1928-1933), promossi dallo stesso Nello Quilici insieme a Balbo e a Renzo Ravenna. In seguito anche lei, nel ’38, si è cimentata nell’arte dell’affresco, proprio sotto la guida di Funi ed insieme a Galileo Cattabriga, Felicita Frai, Enzo Nenci, Nives Casati ed altri, nei villaggi dei coloni italiani in Libia. In questa mostra è esposta anche una sua xilografia che raffigura una veduta di Leptis Magna, con le antiche rovine della città fenicia non lontana da Tripoli.

Mimi Quilici Buzzacchi, Torri di Ateste, 1933

Negli anni precedenti la seconda guerra, Italo Balbo, allora governatore della Libia, aveva voluto con sé alcuni amici ferraresi, tra cui il giornalista Nello Quilici e il medico Enrico Caretti. Prima dell’abbattimento del trimotore su cui questi erano in volo con Balbo nel cielo di Tobruk, da parte della contraerea italiana nel giugno del 1940, le rispettive famiglie avevano quindi vissuto diversi anni in terra libica. Caretti aveva sposato la sorella della mia nonna materna ed anche la bimba che sarebbe diventata mia mamma, quindi, era a Tripoli in quegli anni. Ma è stata più fortunata delle prime cugine Anna ed Emma Caretti, che hanno perso il loro padre in quel volo. Come i tre figli di Balbo e come Folco e Vieri, tutti compagni di gioco.
E’ stato questo dramma (su cui Folco ha scritto “Tobruk 1940” e realizzato un documentario, importanti ed inedite testimonianze) a far decidere Mimì di lasciare con coraggio e determinazione Ferrara, ormai non più una “piccola capitale”, e con i figli piccoli trasferirsi a Roma. Aprendo in questo modo la sua arte verso nuovi orizzonti e ricerche.

In Libia c’era quindi anche Nives Comas Casati (nipote del notissimo cartellonista Marcello Dudovich), artista ferrarese e donna affascinante ed eclettica, su cui per primo Lucio, nel 1985, ha riportato l’attenzione dei ferraresi… distratti:

“In una mia successiva visita romana, Mimì mi ha fatto conoscere Nives Casati, che abitava poco distante da casa sua. Erano amiche dai tempi in cui ambedue abitavano nella nostra città, dove Nives era stata una personalità attivissima in molti campi. E si erano frequentate anche in Libia, dove la Casati ha vissuto venticinque anni. Oltre che pittrice lei stessa (sua è una delle copertine della “Rivista di Ferrara”) era stata tra coloro che avevano inventato, insieme ad Angelo Aguiari, la rivista “Lodovico”. E del rinato Palio era stata, come per la rivista, scenografa, coreografa e costumista. Nives mi ha rivelato di essere dispiaciuta che Ferrara l’avesse dimenticata e quindi poi ho scritto un lungo articolo su di lei, pubblicato sulla rivista “Ferrara”, da cui è partita successivamente una serie di riconoscimenti: le è stato dedicato il premio per i migliori costumi nel corteo del Palio, nel ’90 è stata inserita nella Biennale Donna del Palazzo dei Diamanti e infine Sara Accorsi nel 2010 ha pubblicato una monografia su di lei, “L’eletta Signora”.  Tutto è partito dall’incontro di quel giorno, grazie a Mimì”.

Courtesy Famiglia Quilici

Tornando agli anni ferraresi della Quilici, va ricordato l’altro artista che, insieme a lei, è stato il massimo esponente locale novecentesco della tecnica xilografica, e con il quale ha condiviso un paio di mostre allestite nel 1932 in Castello e al Teatro Comunale: Vitale Vitali, che pure era chiamato spesso con un diminutivo, Vitalino. Pittore ed incisore, ha ritratto la natìa Comacchio, ma anche tanti scorci di Ferrara, dove ha vissuto, in una “poetica rappresentazione vista dai tetti”, come Lucio ha scritto in occasione di un convegno dedicato alla vasta opera di questo eclettico artista. Vitali aveva infatti creato pure una straordinaria serie di disegni di progetti architettonici dal sapore Art Nouveau, che sono stati esposti in quella occasione, insieme ai tanti oli e xilografie, nell’imbarcadero del castello estense.
Voluto dalla Commissione Cultura dell’Ordine degli Architetti di Ferrara, come impegno per conoscere i progettisti locali, questo convegno del 2003 era il secondo dopo quello di tre anni precedente dedicato, singolare coincidenza, proprio al secondogenito di Mimì, importante architetto che molto ha creato nella nostra città. E che si è concluso con la mostra: “Vieri Quilici a Ferrara, 1965-72”.
Volendo aggiungere un altro curioso intreccio di destini, bisogna raccontare che il figlio di Vitalino Vitali, Gian Ferruccio, che è stato attore per passione (come lo è tuttora la figlia Valeria, protagonista del “Lodovico” di questi anni, come lo è stata allora Nives Casati), aveva sposato Anna Caretti, la figlia del medico ferrarese morto sull’aereo con Nello Quilici.

Sul Tevere, 1965

Nel contesto artistico ferrarese più recente va inserita anche un’altra figura femminile, Marisa Carolina Occari, scomparsa da pochi anni. Allieva di Morandi, la sua opera incisoria è di grande perizia, raffinatezza e poesia, anche se, non essendosi mai allontanata da qui, la sua fama vi è rimasta circoscritta.
Come Mimì, anche Marisa amava molto dipingere i paesaggi, la campagna e soprattutto il Po, dal vero. Vi sono alcune fotografie sia dell’una che dell’altra, che ritraggono due signore con i capelli bianchi, intente a dipingere sulla riva del fiume. Certamente un amore fortissimo per entrambe, se partivano da casa con armi e bagagli per immergersi nel silenzio della natura da ritrarre.
“Me ne partii apposta da Roma con mia cassetta dei colori per visitare le valli di Comacchio”, ha raccontato Mimì, aggiungendo di aver dipinto 40 quadri partendo alle 5 del mattino e navigando per i canali per 15 giorni di seguito. Con in testa, per difendersi dal sole cocente, il casco coloniale portato a casa dalla Libia. D’altra parte vera passione doveva essere, se persino in viaggio di nozze aveva sentito la mancanza della sua cassetta dei colori, tant’è che il marito Nello Quilici aveva dovuto regalargliene una nuova, comprata a Barcellona.

Saranno questi paesaggi di Spina, dipinti anni dopo la sua partenza da Ferrara, a ricevere parole di lode dai suoi concittadini Giorgio BassaniMichelangelo Antonioni, tra moltissimi altri. Quando, ormai lontana dagli influssi Dèco e postmetafisici delle prime vedute cittadine e dalle stilizzazioni novecentiste, Mimì sarà affascinata da “questo paesaggio forse più spoglio, desolato e atonale d’Italia” (Bassani), “in uno spazio ideale, quello della memoria, forse…” (Antonioni)
“Quando ci si allontana dalla propria terra è veramente allora che si sente di amarla. E bisogna ritornare a rivederla”, ha scritto Mimì. Nostalgia e memoria che diventano parte della propria poetica, così come per gli altri due grandi ferraresi, che come lei hanno lasciato Ferrara per vivere a Roma.

Ma gustiamo ora, in questi giorni, la preziosa presenza in città, alla Galleria Idearte, della straordinaria cartella “Italia antica e nuova”- le incisioni degli anni ferraresi. E lasciamoci incantare dalla magia delle sue opere, magari portando con noi le stesse toccanti parole di Mimì, quando descrive la sua “Leggenda di Ferrara”:

“Si avvicinava il momento di lasciare Ferrara, perché ormai cominciavano i grandi bombardamenti. Allora decisi di terminare un’incisione della città e volevo lasciare un ricordo che significasse qualche cosa, un saluto a Ferrara, un augurio di difesa e incisi un San Giorgio a cavallo attraverso il centro della piazza a mò di difesa. E avvenne una cosa che mi commuove ancora oggi a raccontarla, perché lo stesso giorno di San Giorgio, ma tre anni dopo, quando finì la guerra, entrarono gli inglesi in città proprio quel giorno lì, nella stessa posizione che io avevo fatto nel disegno dell’incisione: la Piazza, il palazzo del Vescovo con il Vescovo che era sceso giù, le statue tolte dai piedistalli, come se l’avessi vista…”

Mimi Quilici Buzzacchi, Leggenda ferrarese, 1943

Ed infine ripensiamo, in quel momento, a questo suo pensiero, quasi l’avessimo accanto:

“A volte mi capita di vedere alle mie mostre qualcuno che sorride e si siede davanti a un quadro per guardarlo meglio, per riposarsi. Allora provo un senso di merito, sento l’utilità del mio lavoro e questo mi incoraggia ad esporre”.

2 Commenti

  1. Paolo Orsatti scrive:

    Un pezzo di storia ferrarese fra le due guerre, una vicenda narrata da Flavia Franceschini con amore ed attenzione.

  2. Carla Lanfranchi scrive:

    Ho visto la mostra Italia Antica e Nuova e ora, con questo articolo molto interessante, completo la conoscenza di una donna straordinaria, grande artista del Novecento. Grazie!!!! Carla Lanfranchi

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