In ogni famiglia c’è un GRANDE RIMPIANTO, rievocato come aneddoto in occasione dei pranzi, preferibilmente di Natale, come una sorta di rito collettivo per esorcizzare il senso di colpa. Il grande rimpianto della mia famiglia, che torna sempre fuori in questo periodo, è quello di non aver trascritto la ricetta del pampapato che mia nonna ogni anno faceva attorno “ai morti”, a inizio novembre, per poi mangiarlo durante le feste di dicembre. La nonna ricordava la ricetta a memoria e mandava mio padre dai “Grigioni” – come erano chiamati i droghieri di Bazzi – Coloniali a Ferrara, provenienti dall’omonimo Cantone svizzero – a prendere le spezie che servivano: cannella, chiodi di garofano e altre dimenticate per sempre. Ora mia nonna non c’è più e con lei, assieme a tante cose belle, se n’è andata anche la ricetta. E siccome il pampapato, dolce tipico ferrarese, non si improvvisa, da allora in casa mia non si è più fatto. Con grande rimpianto.

Per questo, quando ho saputo che un gruppo di amiche si era trovato, in un pomeriggio d’inverno, per fare i pampapati, mi sono commossa, grata a queste giovani donne per la voglia di rinnovare la tradizione, senza prendersi troppo sul serio, ma con grande impegno.

“Il pampapato è legato alla tradizione e alle mie radici culturali – spiega Laura, maestra pasticciera del gruppo di amiche – definisce chi sono e quali sono i paesaggi che per me sono casa, e poi compare anche in alcuni dipinti di Boldini, credo che per un ferrarese sia il massimo!”. Maria Teresa racconta che “Laura ci ha sguinzagliato in giro per Ferrara alla ricerca di spezie e canditi. Gli Estensi sarebbero stati orgogliosi di lei e di noi per una ricerca così accurata di aromi e sapori d’altri tempi!”. Anche mia nonna avrebbe apprezzato. Serena, che, lavorando tanto, non aveva fatto in tempo a fare la spesa, ha fatto da sé, “tritando pepe, chiodi di garofano, cardamomo e cannella, che ho messo in parti uguali ottenendo un mix un po’ troppo piccante, più adatto agli arrosti che ai dolci…”. Dice col senno di poi. “Non li avevo mai fatti – continua Serena – però ci ho sempre pensato. Mi piaceva l’idea di regalare qualcosa preparato da me, ma ho sempre ritenuto che la preparazione fosse molto laboriosa… ed in effetti lo è! Per una settimana ho avuto la casa invasa dai pampepati prima senza glassatura, poi glassati da un lato, poi glassati sui due lati e, finalmente, impacchettati”. “A casa mia sembrava di essere da Orsatti”, scherza Samuela, dalla cui golosità per i dolci è nata l’impresa delle amiche. “Il pampepato con tante spezie che richiamano l’Oriente, i colori dei canditi, il cioccolato scuro e deciso, non è forse un dolce capace di unire? Quest’anno per la prima volta potrò fregiarmi dell’onore di aver prodotto un dolce tanto carico di simboli e di avere anche io contribuito a diffondere le tradizioni di Ferrara!”, afferma con entusiasmo Maria Teresa, sarda di origine e ferrarese d’adozione.

La battuta di Samuela su Orsatti è un riferimento molto ferrarese ad una delle più celebri famiglie di fornai e pasticceri della città, che ha voluto fare del pampapato uno dei suoi prodotti di punta, tanto da aprire, negli anni ‘60, una “Fabbrica del Pampapato Orsatti”, oggi a Mizzana di Ferrara, dove coniuga il patrimonio di conoscenze artigianali con una realtà industriale in grado di esportare in tutta Italia, ma anche in Europa.

“Le caratteristiche organolettiche e la tabella nutrizionale sono molto attuali rispetto alle richieste, e vengono apprezzate anche all’estero – spiega Alessandro Orsatti, erede dell’attività – questo grazie al fatto che è un prodotto storico, ma sembra fatto per le necessità di una dieta contemporanea. Non ha uova né latte, è senza grassi se non quelli delle mandorle, va dunque incontro alla richiesta di un prodotto salutare, senza chimica: è infatti il cioccolato che isola e garantisce la conservazione. Inoltre è adatto anche alla dieta delle persone di fede musulmana e, nella versione senza miele, anche ai vegani”.

I pampapati di Ferrara di Orsatti vengono distribuiti con il marchio IGP, ovvero Indicazione Geografica Protetta, una certificazione che garantisce il rispetto del disciplinare di produzione, approvato dalla Commissione Europea. L’iscrizione del tipico dolce natalizio del capoluogo estense nel Registro comunitario delle denominazioni di origine (DOP) e delle indicazioni geografiche (IGP) è avvenuta nel dicembre 2015 a seguito dell’impegno in questo senso delle aziende produttrici, coordinate dalla Camera di Commercio di Ferrara. 

Si tratta di un riconoscimento importante, che, nella Gazzetta Ufficiale, definisce la carta d’identità del prodotto.

Il «Pampapato di Ferrara» / «Pampepato di Ferrara» e’ un prodotto da forno ottenuto dalla lavorazione di farina, canditi, frutta secca, zucchero, cacao e spezie, e ricoperto con cioccolato fondente extra. Al momento dell’immissione al consumo il «Pampapato di Ferrara» / «Pampepato di Ferrara» presenta le seguenti caratteristiche.

Caratteristiche fisiche: forma circolare, cosiddetta a «calotta», con base piatta e superficie convessa.
Dimensioni: diametro: compreso tra 3 e 35 cm.
Altezza: compresa tra 1,5 e 8 cm.
Peso: compreso tra 10 g e 3 kg.
Umidità: dal 5 al 35%.
Caratteristiche organolettiche: aspetto esterno: colore marrone scuro, brillante, per la copertura di cioccolato fondente.
Aspetto interno: colore marrone, con presenza diffusa di frutta secca e canditi ben distribuiti.
Consistenza dell’impasto: compatta con alveoli; si avverte il contrasto tra la croccantezza della copertura e della frutta secca e la morbidezza dell’impasto.
Profumo: al primo impatto di cioccolato, poi via via di spezie, in particolare di noce moscata e cannella, di canditi e di mandorla tostata.
Sapore: iniziale di cioccolato  fondente con lieve sentore di spezie, che lascia  spazio man  mano ai canditi e alle mandorle tostate; sapore finale deciso di cioccolato fondente e spezie, in particolare di noce moscata e cannella.

Sebbene ci tolga un po’ di poesia, la Gazzetta ci aiuta a chiarire alcuni passaggi fondamentali su questo dibattuto dolce.
Pampapato o pampepato l’è l’istess, ovvero si può dire in entrambi i modi, che ci raccontano cose diverse sulle sue origini e caratteristiche.

LE ORIGINI – Secondo la bibliografia locale più accreditata, l’origine del «Pampapato di Ferrara» / «Pampepato di Ferrara» sembrerebbe risalire al XVI secolo ed essere legata all’ambito del convento delle monache di clausura del Corpus Domini di Ferrara. Qui, intorno al XVI secolo, le monache iniziarono a preparare un pane speziato da inviare come omaggio agli alti prelati durante le festività natalizie. Inoltre, sempre nel ferrarese, alla Corte degli Estensi, il «Pampapato  di  Ferrara» / «Pampepato  di  Ferrara» era noto ed apprezzato poiché vi era l’abitudine di servire al termine di sontuosi banchetti nobiliari dolci assimilabili a veri e propri  pani a base di spezie. Il pampapato si caratterizza per la sua forma a «calotta» che ricorda la «papalina», il classico copricapo cardinalizio, interamente ricoperto di cioccolato extra fondente, e per la presenza all’interno di spezie, frutta candita, frutta secca, zucchero e cacao. La presenza delle spezie e la copertura di cioccolato extra fondente caratterizza il gusto e il profumo di questo dolce che riesce a distinguersi dagli altri pani speziati per ricchezza degli ingredienti e per la sontuosità dei sapori. Un dolce che ha sempre goduto di una grande reputazione, legata alla sua forma e all’utilizzo del cacao come ingrediente utilizzato sia nell’impasto che per la copertura, e di spezie. Veniva ritenuto un dolce ricco e degno di un papa, tanto da essere offerto in dono agli alti prelati dagli ecclesiastici e dalla nobiltà di Ferrara, i quali non a caso vollero modellarlo a forma di copricapo cardinalizio. Da quest’usanza e dalla presenza di spezie sembra aver origine anche l’etimologia del dolce e la coesistenza delle due denominazioni «Pampapato di Ferrara» e «Pampepato di Ferrara».

Sacro e profano dunque. Riuniti in un preparato che nasce semplice, e che alcuni fanno risalire all’usanza, di origine medievale, di preparare, per il giorno del pane, ovvero la vigilia di Natale, dolci unicamente a base di acqua e farina, a volte arricchiti con frutta candita e secca, aromi e spezie, che, per il loro ridotto contenuto di grassi, potevano essere consumati anche nei giorni di magro. Un pane povero che viene arricchito, nato in convento, ma preparato con inebrianti spezie e con il cioccolato, il più potente degli afrodisiaci.

Impastatura del pampapato al Laboratorio Estense – Video di Stefania Andreotti

Anche se l’irresistibile glassatura che avvolge e caratterizza oggi il pampapato è un’acquisizione relativamente recente, che la Gazzetta Ufficiale fa risalire all’inizio del ‘900.

L’estensione della reputazione in tempi più recenti del «Pampapato di  Ferrara» / «Pampepato  di  Ferrara» si deve a un pasticcere che perfezionò un’antica ricetta ricoprendo questo pane di cioccolato, ingrediente ancora sconosciuto nel XVI secolo, e nel 1902 avviò a Ferrara un  laboratorio di pasticceria nel pieno centro storico della città. Fu un grande successo, tanto  che  anche altri fornai, casalinghi, laboratori dolciari, iniziarono a prepararlo facendo così diventare il «Pampapato di  Ferrara» / «Pampepato di Ferrara» il dolce simbolo di Ferrara.

Dalla ricostruzione a seguito delle nostre ricerche, il “laboratorio di pasticceria nel pieno centro storico della città” a cui si fa riferimento dovrebbe essere l’azienda dolciaria FIS, allora Fabbrica Italo – Svizzera (oggi l’acronimo è mutato in Fabbrica Italiana Specialità), che si trovava in via San Romano, e che era stata fondata da Guido Ghezzi, milanese formatosi tra i maîtres chocolatiers svizzeri. Ma il pasticcere che ha inventato la copertura di cioccolato non è il fondatore Ghezzi, bensì il suo primo pasticcere.

Sebbene a Ghezzi, imprenditore intraprendente, vada riconosciuto il merito di aver dato nuova vita al pampapato, innovandone la ricetta e rilanciandone la produzione e l’immagine, è a Oddone Di Caro che va il merito, nel 1928, di aver sostituito i diavulin, la granella di zucchero colorata, con una sontuosa colata di cioccolato fuso. Una volta introdotto il manto di cioccolato fondente, nessuno ha più voluto tornare indietro, e, nel secolo successivo, la variante si è diffusa in tutta la città.

La glassatura del pampapato al Laboratorio Estense – Video di Stefania Andreotti

Nel 1930 Oddone ha deciso di mettersi in proprio aprendo, in via Croce Bianca, il laboratorio Pampapato Estense. E, sorpresa, quel laboratorio esiste ancora. Forse anche voi, senza accorgervene, ci sarete passati davanti, provenendo da piazza Sacrati.

Dopo Oddone c’è stato Orlando ed oggi c’è un altro Oddone, il nipote, che, appena compiuti 18 anni, era il 1980, ha preso le redini della produzione artigianale tramandata di padre in figlio. Infatti nel laboratorio di via Croce Bianca, il tempo sembra essersi fermato. Sul tavolone di marmo è un tripudio di farina, cioccolata, zucchero, e sulla vecchia bilancia, mandorle, cubetti di arancio candito, nocciole, coriandolo, noce moscata, anice stellato, macis e altri ingredienti segreti. “A parte alcuni passaggi, qui facciamo tutto a mano – dice con orgoglio Oddone – con la ricetta di mio nonno. Dopo la cottura lascio i pampapati almeno due giorni ad ammorbidirsi con l’umidità, solo dopo avviene la famosa glassatura”.

Foto di Stefania Andreotti

E qui scopriamo una cosa straordinaria: la nebbia ha un senso. Il nostro infausto clima, serve a rendere questo dolce unico ed irriproducibile fuori dal nostro territorio.

“Ma io non voglio che mio figlio segua le mie orme” dice con una punta di amarezza in contrasto con la dolcezza degli aromi nell’aria. “C’è solo da tribolare. Con tutta questa burocrazia, non c’è più soddisfazione a lavorare”. E mi riassale il GRANDE RIMPIANTO, che ha a che fare con le cose che si perdono per sempre, con la precarietà delle cose belle, la continua lotta per proteggerle e farle durare. Assieme alla farina, al cioccolato e alle spezie, si impasta il senso di famiglia, di radici, gli affetti perduti ma sempre presenti, la malinconica eccitazione del Natale. Guardo questo panetto scuro, lucente e compatto sul tavolo davanti a me, e formulo il proposito per l’anno nuovo: il prossimo Natale farò il pampapato.

3 Commenti

  1. Giuliano Finessi scrive:

    Grande nostalgia

  2. Paola scrive:

    Splendido articolo, molto interessante e ben fatto !! Grazie

  3. Carlo scrive:

    i tuoi zii acquisiti Carletto e Vanda ricordano l’ottimo pampepato di tua nonna Lea e si complimentano con la tua ampia dissertazione sul pampepato ferrarese dalle sue origini ad oggi

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