di Gian Piero Bruno

Pare che la prostituzione sia un problema. Ma dov’è il problema? Scopare va bene, vendere va bene. Allora che cosa c’è che non va nel vendere scopate? La logica fulminante di George Carlin basterebbe per eliminare in un attimo qualsiasi forma di perbenismo di fronte all’esistenza della prostituzione, penso tra me e me appena terminata l’intervista a due prostitute avvenuta al centro sociale La Resistenza durante l’evento “Yo soy puta” – Quattro chiacchiere con la lucciola, lo scorso venerdì sera. Un evento organizzato dal progetto Luna Blu del Centro Donna Giustizia Ferrara e moderato da Silvia Comand, che lavora per il comitato per i diritti civili delle prostitute. Un progetto, quello di Luna Blu, finanziato dalla Regione Emilia Romagna – insieme a un piccolo sostegno economico del Comune di Ferrara – che si propone di instaurare una relazione di fiducia con le prostitute, che vengono fermate per strada per favorire l’autodeterminazione e la consapevolezza della loro scelta, e che si impegna nella ricerca di sistemi di prevenzione e di attività di tutela dei diritti civili e sanitari.

Ma, tornando alla logica, la storia dell’umanità ci ha raccontato, e continua a farlo, di quotidiane schiaccianti vittorie del moralismo sul pensiero razionale, e dunque nulla di nuovo. Perché, alla fine, cos’è una puttana? Non è altro che una persona che vive attraverso il proprio corpo, mi dico, che dà piacere a chi sceglie di usufruirne, una scelta legata anche al notevole guadagno economico, come confermato da Jana e Pia Covre, le due prostitute intervistate – la seconda è una famosa attivista e fondatrice del comitato per i diritti civili delle prostitute. E spesso al desiderio di rompere lo schema della società che impone blocchi e controllo sulla mente e sul corpo. Con buona pace per il sempre presente perbenismo, che si sia d’accordo o meno, aleggiante, impalpabile ma evidente come la nebbia di queste ultime settimane a Ferrara.

Nella stanza principale del centro sociale di questa cappa non c’è traccia, quanto invece un’attenzione, questa sì palpabile, tra i numerosi presenti incuriositi dalla storia e degli aneddoti delle due protagoniste della serata. Una di loro, Jana, ci racconta essere abituata alle interviste e ad essere al centro dell’attenzione – quando non lavora, s’intende – in quanto già protagonista del seduttivo documentario di Wilma Labate, Qualcosa di noi. Non c’è morbosità negli occhi degli spettatori, sebbene dal pubblico siano solo donne a rivolgere domande. Gli uomini presenti sono attenti all’ascolto, ed è onestamente molto divertente ascoltare Jana, spumeggiante e insieme profonda, nel raccontare di numerosi preti tra i suoi clienti fissi, felici “di farsi menare”, insieme ad improbabili richieste di natura sessuale, e destabilizzarci un po’ accennando alle violenze fisiche che ha subito in passato dal suo ex marito. Se in uno splendido film di Woody Allen (Harry a pezzi), il protagonista giustifica in maniera cinica e asettica la sua scelta di pagare per il sesso – «sai, io vado a puttane così non devo parlare di politica, di film, di Proust» – le confessioni delle lucciole invitate a La Resistenza aprono un mondo su una numerosa schiera di maschi italiani alla ricerca invece di dialogo, affetto, comprensione, disposti a pagare per essere ascoltati e persino amati.

Una missione sociologica, come affermato dalla stessa Jana, che a ben vedere giustificherebbe il pensiero di chi crede che non esista alcun problema di natura etica dietro la scelta di prostituirsi. Moltissime, infatti, sono le persone che ne parlano come se una puttana fosse un soggetto eticamente inaccettabile e la cosa al sottoscritto stupisce molto, ancor più dopo le quattro chiacchiere con le lucciole.

Penso a tutto questo al termine dell’incontro, nella fredda serata ferrarese, passando per Via delle Volte, dove un tempo non molto lontano si racconta che le prostitute fossero di casa, quando i bordelli erano più diffusi dei negozi, riflettendo sul fatto che dopo secoli le polemiche attorno al mestiere più antico del mondo non solo non si sono placate ma, se vogliamo, sono persino aumentate. Il discorso resta certo spinoso ma quantomeno non ci dovrebbero essere reazioni o stupori di chissà che sorta di fronte a una massiccia richiesta di professioniste del sesso, naturale risposta di fronte all’immortale domanda da parte dei clienti.

La conferma sono i dati sulla prostituzione a Ferrara di quest’ultimo anno: da gennaio a ottobre del 2016 ci sono stati più di un migliaio di contatti a fronte di una presenza di circa 30-35 prostitute in città. Numeri che portano anche ad una conseguente difficoltà da parte delle forze dell’ordine di reprimere il fenomeno attingendo alle norme vigenti, cercando anche di dissuadere chi ci guadagna dal mercato del sesso. Ma in un Paese come il nostro che vive una evidente e profonda crisi culturale, sociale e politica, solo ipotizzare l’inizio di un dibattito sulla regolamentazione della prostituzione appare cosa per lo meno bislacca. Certo non è il pessimismo la risposta, quanto la forza di chi si impegna, come Jana e Pia, a salvaguardare la laicità di una scelta che, piaccia o meno, parla alla fine di libertà, senza dimenticare mai di salvaguardare un approccio ironico su una questione comunque delicata – e ripenso all’ironia mista a profonda dignità che mi hanno comunicato Jana e Pia. Fu un senatore americano repubblicano, vissuto un centinaio di anni fa, a riassumere bene in una battuta il dileggio e l’ipocrisia che circondano la figura della prostituta e accompagnano la società civile occidentale, evidenziando una divisione evidente di weltanschauung: se il pessimista pensa che tutte le donne siano puttane, l’ottimista lo spera.

Passeranno i secoli e tutto questo continuerà, esisteranno le prostitute e qualcuno pagherà per loro, lo racconta la storia, accelerare un processo che porti alla legalizzazione della prostituzione, secondo il punto di vista di chi scrive, riducendo il più possibile situazioni di degrado socio sanitario ad essa legate, non può che essere la risposta, possibilmente il meno tardi possibile. Che ognuno possa così vivere i propri vizi e i propri incontri sessuali consenzienti nel rispetto della scelta di vita altrui, senza particolari rotture di scatole, moraliste o meno che siano.

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