Ferrara è spesso definita una città sonnolenta, una bella addormentata avvolta nella nebbia della pianura padana, rilassata.  Tutto vero. Non si può negare. Sarà per questa sua caratteristica indolenza che mal sopporta chi, al contrario di lei, non dorme mai?

«Bobby ma oggi a che ora ti sei svegliato?»
«Ma io non ho dormo! Dove dormo?»

Bobby ha ventiquattro anni, i capelli rasati ai lati del capo, lunghi ciuffi neri e attorcigliati che dalla nuca scendono lungo la schiena. È muscoloso, sugli avambracci scolpiti galleggiano cuori e pugnali tatuati male. Una scritta in italiano, anche se l’italiano lo parla a stento: “non fidarti di nessuno”.

Bobby viene dalla Nigeria, come la maggior parte dei ragazzi che bivaccano nei giardini che circondano l’unico grattacielo del capoluogo estense, a due passi dalla stazione dei treni. Architettura piovuta dal cielo negli anni Cinquanta, conficcata in mezzo a chilometri quadrati di piatta campagna emiliana. Un monolite che si sgretola lentamente e inesorabilmente, come si sono sgretolati i sogni di chi credeva potesse portare a Ferrara il futuro, la modernità. Cos’è rimasto del grande investimento immobiliare? Venti piani di scarafaggi che risalgono le tubature, appartamenti che più nessuno vuole abitare, Bobby assieme ai suoi amici, stravaccati su una panchina, a spacciare cocaina.

Sui giornali locali ogni giorno da mesi, da anni, si descrive il grattacielo usando le parole dell’emergenza e della paura: maxi rissa, accoltellamento, aggressioni, degrado, bastoni, spranghe, calci e sputi, grida, terrore, parapiglia, retata, cani. Ed è difficile farsi un’idea di ciò che realmente sta accadendo in quel piccolo fazzoletto verde di città. Chi può gira al largo, chi è costretto ad attraversarlo si schiera su sponde opposte: va tutto bene, non succede niente, va tutto male, serve l’esercito. Bobby trascorre la giornata in sella a una bicicletta rubata, pedalando annoiato in attesa di potenziali clienti, una mano sul manubrio, una mano salda attorno alla Heineken da sessantasei. Ogni tanto si siede in cima a un bidone della spazzatura, ma mai per troppo tempo. Come un’onda corre e ripercorre avanti e indietro gli stessi sentieri sterrati, per controllare chi c’è e chi non c’è, per evitare di farsi cacciare dalla polizia o dai carabinieri. Moto perpetuo.

Foto di Cristiano Lega

Parlare con lui, e con i ragazzi che assieme a lui condividono la stessa routine, non è facile. Parlare sul serio. Appena qualcuno si interessa alla loro condizione, iniziano a recitare un rosario di formule a cui ormai nessuno fa più caso: non abbiamo da mangiare, siamo senza lavoro, abbiamo una famiglia e dei figli, siamo trattati come animali.

«Non dormiamo mai, non possiamo».
«Cosa significa?»
«Non abbiamo una casa, nessuno ci affitta un appartamento, anche quando abbiamo i soldi. Prima dormivamo in stazione, adesso la sera hanno deciso di chiuderla. Per la sicurezza. Se ci fermiamo su una panchina dopo dieci minuti arriva la polizia, se ci sediamo nell’erba lo stesso. Dobbiamo sempre spostarci».

Bobby ha le palpebre che si chiudono. Colpa dell’alcol o del sonno o più probabilmente dell’alcol e del sonno. È gentile ma anche sospettoso e aggressivo, è una corda di violino tesa e pronta a saltare. Racconta del racket dei letti, di stanze in cui vengono stipate venti persone alla volta, dove si dorme a turni, a rotazione. Alcune sono gestite da suoi compaesani, altre direttamente da ferraresi. I materassi custodiscono il caldo e il sudore dei corpi, non fanno in tempo ad asciugarsi, a raffreddarsi. Dieci euro e poi fuori, via, avanti un altro.

Racconta anche delle mazzette in contanti per avere la residenza. Lui – come la maggior parte dei suoi compagni e colleghi di spaccio al dettaglio – ha i documenti in regola, sono richiedenti asilo sbattuti fuori dai centri di accoglienza. Non possono essere cacciati, non possono essere obbligati a rimpatriare. Non sono clandestini, ma senza un domicilio di residenza non possono accedere ai servizi organizzati per facilitare la loro integrazione: corsi di lingue, prestazioni sanitarie, graduatorie per iscrivere i bambini a scuola o per trovare un impiego. Ma chi affitta un appartamento a un nigeriano oggi a Ferrara, con tutto quello che si legge ogni giorno sui giornali? Chi vuole una residenza, fittizia, la paga cara. La città assopita si sente assediata, e si sveglia e si rivolta e chiede il conto a chi ha sonno ma non può dormire.

***

Si ringrazia Ibn Battuta per la concessione della pubblicazione del testo e delle foto che lo accompagnano. Ibn Battuta è il trimestrale cartaceo lanciato a ottobre 2016 da Millebattute.com, naturale prosecuzione del percorso di esplorazione narrativa e fotografica avviato online nel 2013. La presentazione del numero zero della rivista si è svolta a Ferrara in occasione del Festival di Internazionale, presso il centro sociale La Resistenza, assieme al fotografo Massimo Bicciato – tra i fondatori del progetto – e allo scrittore Lorenzo Mazzoni.

2 Commenti

  1. Recane scrive:

    stiamo parlando di gente che vende eroina e cocaina tagliandola con sostanze altamente pericolose,c è chi è morto a causa della propria debolezza e della facilità con la quale ancora si trova e si giustifica questo scempio, persino la marjuana è risaputamente da sempre uno schifo nei meandri dei grattacieli,nemmeno a farsi uno Spinello degno di questo nome,un intruglio di muffe e agenti chimici per aumentare lo sballo. Un lager a cielo aperto ,questa è la nuova società costruita su un intollerante tolleranza.

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