Lo sguardo rimbalza tra la prospettiva dedicata al dio Apollo e i balconi dei palazzi anni Sessanta di Contrada della Rosa. C’è un contrasto soffuso, silenzioso, che cerca in tutti i modi di non dare nell’occhio, eppure la sintesi di Interno Verde, secondo me, sta tutta sul muro di cinta che separa il giardino di Palazzo Sinz dal resto del mondo. Dove il mondo è Ferrara, che riesce sempre ad andare lontanissimo pur rimanendo fermissima, addirittura richiudendosi nelle mura dei palazzi che decide di aprire.

La prima edizione di Interno Verde, la manifestazione che tra le altre cose consente di visitare trentasette (37, lo ripetiamo perché non sono affatto pochi) cortili interni, privati o pubblici, noto o sconosciuti, rigogliosi o basici, di Ferrara, si muove su questo binario parallelo: la risposta del pubblico (altissima, centinaia i visitatori) non risponde però a cosa l’abbia innescata. Il binario di Interno Verde allora, dopo un primo disordinato giro di visite, mi sembra parallelo: si muove tra curiosità, l’urticante spinta a vedere quello che non si può mai vedere, a farsi gli affari degli altri, e la sete disperata e incessante di bellezza, di vedere cose belle perché solo così si sta bene al mondo. Ma c’è anche una dimensione duplice spaziale: c’è l’interno, dei 37 giardini, nessuno uguale all’altro, tutti pieni di particolarità botaniche o narrative, e c’è l’esterno, che tuttavia finisce subito lì (tranne rari casi di spazi esageratemente enormi, come il giardino #21, per chi ha la mappa sottomano) e che il tesoro dell’interno lo vede sempre, tutti i giorni e tutti i giorni dell’anno, e oggi e domani invece assiste allo spettacolo del consueto e del nascosto ammirato dai noi insaziabili curiosoni.

Foto di Fabio Zecchi

Del primo giorno di Interno Verde mi ricordo dunque le campanelline disposte ordinatamente sul pizzo di un tavolino nella casa del giardino #8 (citiamoli per numero, in fondo è anche una caccia al tesoro, no?) nel salotto di una signora che espone in bella vista la foto con Giovanni Paolo II, dall’educazione smisurata, che racconta di come «sono tante soddisfazioni ma sono sempre in giro anche, però, eh». Eh. Poi il negozio di alimentari aperto a fianco forse del più bello dei giardini, totalmente ignaro della manifestazione, che mi segnala stupito mentre gli pago una bottiglietta d’acqua il SUV parcheggiato con targa “Principato di Monaco”: «Ti rendi conto? C’è un tizio che è venuto da Monaco per vedere un giardino! E poi tutta sta gente in coda… I ferraresi non hanno mai niente da fare», e si ammutolisce quando gli spiego che i giardini da vedere sono trentasette (37). Mi ricordo del primo giorno di Interno Verde l’altalena a fianco alla statua di Apollo, e le seghe e gli attrezzi da giardiniere disposti perfettamente nella rimessa, e la rubinia che esce dal tetto della stessa sventrandola. Mi ricordo le finestre sottili, alte e rettangolari del giardino #29, e un’idea di campo da tennis, al cui posto ora c’è soltanto un prato vuoto. Mi ricordo le infinite tartarughe dell’orto botanico, e il piglio deciso di un bambino che ordina «ora andiamo a vedere la foresta», indicando enormi piante dentro una serra. I biscotti al burro sul piattino nel giardino #9, la preghiera delle suore al Monastero di S.Antonio in Polesine, le imprecazioni dei tennisti alla Marfisa, la signorilità dei tavolini bianchi smaltati sotto le colonne, di fronte ai campi in terra rossa, la signora affacciata sul giardino #10, sorpresa o divertita di questa gente che faceva foto e guardava per aria in un giardino che lei invece vede tutti i giorni e forse ritiene assolutamente ordinario. Eppure il giallo delle tende in una casa del giardino #22 sono straordinarie, irrequiete, impertinenti, sono l’ordinario che improvvisamente si disvela: è la Ferrara che si specchia in sé stessa riconoscendosi e non riconoscendosi allo stesso tempo, sono i commenti così borghesi e provinciali di invidia di una famiglia che osserva la moltitudine di spazio e pensa che sia «uno spreco tutto questo verde senza farci nulla».

Interno Verde, più dei giardini, delle piante, del verde e delle storie seminate e sbocciate nei secoli, è la compenetrazione tra ordinario e straordinario, siamo noi che non vediamo l’ora di guardarci dentro, ma che abbiamo bisogno di un braccialetto verde di riconoscimento per farlo. E quando poi avviene, sembra tutto così naturale, spontaneo: è la signora alla finestra del secondo piano che sul far del tramonto si sta truccando alla finestra, con uno specchio rotondo, e quando ci vede passare si interrompe, ci saluta, dice buonasera, e riprende a disegnarsi le sopracciglia con la matita.

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