L’uomo nasce con il desiderio di viaggiare, di scoprire e di esplorare, e Raffaella, Giordano, Mael e Max ne sono la testimonianza. Zaino in spalla e tanto spirito di avventura, questa famiglia di Ferrara è partita nel giugno 2015 per intraprendere un viaggio del mondo verso est, come Jules Verne. Dopo aver dormito in mezzo ai ghiacciai, negli aeroporti, aver attraversato la Carretera Austral con una Bianchi (a quanto pare, molto rinomata anche in Cile) e una bici chiamata “La Tremenda”, aver passato notti al freddo solo con dei sacchi a pelo e aver trovato il 3G perfino in mezzo alla foresta.

Perché avete scelto di affrontare un’esperienza di questo tipo?
In realtà non abbiamo una vera e propria risposta. L’idea ci frullava in testa da molto tempo, e ci siamo decisi quando vivevamo a Roma. Abbiamo sempre avuto il desiderio di partire, da quando eravamo piccoli, e abbiamo trasmesso ai nostri figli questa voglia infinita di viaggiare.

Quindi per voi, Mael e Max, com’è stato quando i vostri genitori vi hanno chiesto di partire?
Non è stato subito facile – risponde Mael – Io ero seduto sul divano a guardare la televisione, ad un certo punto ci hanno chiesto se io e Max avessimo voluto fare il giro del mondo, in maniera ssolutamente inaspettata: l’idea era eccitante e non vedevamo l’ora di cominciare l’avventura.

Quanto è stato difficile il distacco da una realtà così piccola come quella ferrarese?
Avendo già vissuto in grandi città come Parigi e Roma, non abbiamo sentito un grande distacco. Siamo cresciuti a Ferrara, poi ci siamo allontanati per molti anni e ci siamo riavvicinati con i bambini, per stare di più con le nostre famiglie. Lo shock più grande non è stato l’allontanamento ma la diversità: è difficile prendere un autobus, è difficile mangiare… Le cose più semplici sono le più ardue all’estero. Bisogna adattarsi.

Spostarsi in quattro persone vi ha creato dei problemi, magari dal punto di vista burocratico?
Abbiamo avuto il primo incidente proprio per questioni burocratiche. Eravamo appena partiti, ci trovavamo all’aeroporto di Istanbul per prendere il volo per il Sudafrica: siamo stati fermati perché i documenti dei ragazzi non erano in regola con una nuova legge sudafricana, quindi alla fine non siamo andati in Sudafrica ma in Kenya. Abbiamo capito che l’improvvisazione, da lì in poi, ci avrebbe guidato.

Cosa vi ha spaventato di più di questo viaggio?
Tutti gli aeroporti. In realtà, dopo la disavventura a Istanbul, eravamo un po’ terrorizzati dai check-in. Per il resto, non ci è capitato niente di spaventoso. Il mondo viene sempre descritto in maniera negativa, ma per noi è stato un posto sicuro. La preoccupazione più grande era dei nostri familiari, che ci chiamavano per chiederci come stavamo, dove eravamo, se tutto stava andando bene. Mentre eravamo in viaggio, non ci siamo mai ammalati, anche se avevamo adottato tutte le precauzioni del caso.


Come vi siete organizzati con la scuola?

È stato inizialmente difficile. Abbiamo comunque avvertito la scuola di Mael e Max del nostro progetto di viaggio e della nostra intenzione di istruirli con la “scuola parentale”: la preside ci ha supportati in questo, nonostante in Italia non sia presente un supporto da parte del governo. Abbiamo mantenuto i contatti con la scuola e con i compagni di classe per rimanere al passo. È stata dura ma divertente.

Quale paese che non avete visitato vorreste vedere, rifacendo un’esperienza di questo tipo? E quale paese vi è piaciuto di meno?
Tantissimi. In particolare però, vorremmo rivedere la Costa Rica, girare di più il Giappone o andare in Australia, che non abbiamo visitato. Si potrebbe fare anche il giro del mondo al contrario, verso ovest. Nessun paese non ci è piaciuto per niente: abbiamo però visto molta povertà e condizioni di vita estreme, come in Bolivia. Ci sono quartieri infiniti, di una tristezza disarmante, con palazzi enormi. Già il Cile e l’Argentina sono diversi, dove l’umanità delle persone ci ha colpito nel profondo. In Perù e in Bolivia hanno cercato di aiutarci ma allo stesso tempo di trarre vantaggio dalla nostra diversità, perché in zone così “estreme” cercano ogni tipo di espediente per sopravvivere.

Quale esperienza del viaggio vi ha particolarmente cambiato o colpito?
I ragazzi ora si relazionano in maniera diversa con gli adulti: sono spigliati, cresciuti, hanno guadagnato una loro indipendenza. Per quanto riguarda noi adulti, siamo rimasti piacevolmente colpiti dal fatto che non ci sia capitato niente di grave (soprattutto in paesi che in Europa vengono screditati moltissimo, come il Brasile). Invece a Tokyo, per esempio, ci ha colpito la fiducia che i giapponesi danno ai turisti: le case, nonostante sia una metropoli, sono tutte aperte. Inoltre, sapendo che non tutti conoscono il giapponese, gli abitanti di Tokyo aiutano con l’orientamento, con le indicazioni, sono molto gentili. Quando eravamo in Cambogia, avevamo noleggiato un bungalow in una spiaggia lunghissima e piena di sporcizia, perché di fronte si trova un’isola set di programmi televisivi; la mattina dopo, arrivavano fiumi di rifiuti. Così abbiamo deciso di ripulire la spiaggia, e altre persone che erano lì ci hanno seguito.

Tra l’Asia e il Sud America, quale avete preferito?
Il Nord America. Ma a parte gli scherzi, sono continenti molto diversi tra loro e quando siamo arrivati negli Stati Uniti era come fare una passeggiata rilassante. Le differenze più evidenti sono dal punto di vista turistico: i sud americani ti accolgono in maniera diversa dagli asiatici, e così via. O per esempio, in California sono molto fiduciosi nei confronti dei turisti: nei camping, ognuno sceglie la propria piazzola in cui sostare, e poi per pagare ognuno ha una bustina in cui può decidere quanto dare per l’alloggio.

Cosa vi è mancato di più dell’Italia?
Sembrerà un cliché, ma il cibo ci è mancato tantissimo. Ti manca in qualsiasi angolo del mondo, soprattutto quando su Whatsapp ti arrivano foto di lasagne e tortellini dall’Italia. Per fortuna ci ha salvato il riso, che è ovunque. Ci è mancato il patrimonio culturale italiano, tanto sottovalutato nel nostro paese. All’estero hanno un’idea molto diversa dei beni culturali: su ogni cosa, anche poco interessante, vengono costruiti siti archeologici, musei, ecc…

Quali consigli dareste a chi vorrebbe intraprendere un viaggio come il vostro?
Prima di tutto, non portarsi dietro molte cose, perché c’è tutto ovunque. Poi, bisogna essere poco schizzinosi, e se anche lo si è prima di partire, alla fine ci si abitua a tutto. Non c’è bisogno di avere milioni in banca, ciò che importa è lo spirito di avventura, o ancor meglio, di adattamento. All’estero sono spesso più aperti: noi dopo aver usato le biciclette per girare la Carretera Austral, le abbiamo vendute ai primi passanti che ne avevano bisogno. Una situazione così sarebbe mai possibile sul Listone a Ferrara?


Ora i 4aZonzo sono tornati più carichi di prima, con alle spalle un blog in cui hanno raccontato ogni avventura e già un’idea nuova nel cassetto: pubblicare la loro storia con la casa editrice di crowdfunding Bookabook, facendolo diventare un libro in carne ed ossa.

E dunque, come scrisse Calvino, “Viaggiando ci s’accorge che le differenze si perdono: ogni città va somigliando a tutte le città, i luoghi si scambiano forma, ordine, distanze, un pulviscolo informe invade i continenti.”

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