di Valentina Mantovani Sarti

Ore 19:18 di un mercoledì sera estivo, qui, nella mia Ferrara.
Qui nella sua arsura, con i muri che sudano, l’umidità che grava nell’aria del centro anche se in questa serata ogni tanto arriva una lieve folata di vento ristoratore che placa la calura. Ammetto che ho assistito a concerti di Ferrara sotto le stelle in condizioni assai peggiori, nulla che una birra e un buon gruppo sul palco non abbia potuto sanare.

Questa sera suona Glen Hansard, cantautore irlandese che nella sua lunga carriera, iniziata praticamente quando sono nata io, oltre al musicista ha fatto l’attore (lo ricordiamo in uno dei miei primi amori cinematografici, The Commitments e in uno di quelle rare perle cinematografiche che ogni tanto escono, Once), ha vinto un’Oscar per miglior canzone, ha suonato in diverse formazioni. Insomma si è dato da fare il ragazzo.

Mentre passo accanto al main stage del festival che giace vuoto in attesa di domani sera e mi avvicino all’entrata del Castello, mi fermo a pensare che un concerto come quello di stasera può riservare una di quelle atmosfere che ti ricorderai per sempre, o almeno per un periodo lungo. Le gig nel cortile del nostro Castello, indipendentemente dal genere che viene proposto, hanno un qualcosa di intimo, di delicato.

Mentre passi sotto la volta di entrata, ti controllano il biglietto e lo zaino, ti sembra di entrare a casa di qualcuno che ha deciso di organizzare un concertino per pochi amici nel cortile di casa sua, sorseggiando una birra e aspettando che il sole scenda.
Mentre in sottofondo “So long Marianne” di Cohen sovrasta leggermente il brusio di chi attende l’inizio del concerto, inizio a scrutare i miei compagni di serata, questi amici che in questo quadrato di cortile si preparano come me ad essere portati nella verde Irlanda.

Uno dei componenti dei The Lost Brothers, gruppo spalla, vaga tra la gente mentre l’altro sale sul palco per accordare la chitarra (acustica of course). Tanti giovani che parlottano seduti, in piedi, ai lati e al centro del cortile. Una coppia di turisti, in prima fila. La moglie aggiusta amorevolmente il colletto della camicia del marito. Il marito si gira verso di me e sorride.

L’attesa dello show è uno dei momenti più significativi di un concerto; capisci chi è il vero fan, in prima fila che non distoglie lo sguardo dal palco, i trasfertisti dotati di ogni suppellettile in grado di garantire il completo comfort, noi autoctoni forse molto più rilassati visto la fortuna di avere il concerto sotto casa.

Volgo lo sguardo sopra di me ed ecco il fascino di questo nostro Festival: un quadrato di cielo azzurro, variegatura bianco nuvola, incorniciato tra i bordi rosso mattone di un Castello di fine 1400, Leonard Cohen in sottofondo e un piccolo palco sotto tutta questa meraviglia. Uno spazio circoscritto, delimitato da mura che per poche sere estive diventa una via di fuga verso altri luoghi, lontani da qui.

Mi fa ridere questa riflessione. In un momento storico in cui si ergono mura e barriere, forse sarà più complicato andare nella verde Irlanda in futuro, beh questa sera invece questa scatola di mattoni avvicinerà chiunque verrà a sentire il concerto e ci trasporterà direttamente là, senza alcun problema.

Si avvicinano le 20:30, ora di inizio del set dei Lost Brothers.
Il palco inizia piano piano ad animarsi. Chitarre acustiche ovunque, tra una batteria e le aste dei microfoni; dietro si intravede la zona dedicata ai fiati (che saranno fantastici). Davanti, tre sedie vuote attendono i violini e a lato c’è un vecchio piano a muro di legno scuro, rigato su di un lato e un piano rhodes. Qualche sprazzo di elettricità rock è dato da uno splendido basso bianco crema nelle retrovie e una Gibson 335 qui davanti. Ma ecco, si inizia.
Salgono i The lost brothers e l’aria si riempie delle loro voci perfettamente in armonia, e ci accompagnano fino all’entrata sul palco di Glen. Silenzio tra la folla dopo gli applausi e le urla iniziali, i violini iniziano a suonare, lui si avvicina a bordo palco.
Si ferma, il suo piede sinistro inizia a battere il tempo e completamente senza microfono intona Grace beneath the pines.
Siamo a Dublino, siamo a Ferrara, non importa, la magia inizia e ora ascolto.

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