A qualcuno tocca pure testimoniare il presente. Si può farlo con le parole, si può farlo coi disegni. Quello che ha lasciato una mente come Wislawa Szymborska, poetessa polacca scomparsa nel 2012, è un universo creato lettera dopo lettera, parola dopo parola. Un mondo selezionato, guardato da vicino e da lontano, lasciato a riposare, e infine preso, stampato, diventato un patrimonio dell’umanità. Di questo lavoro certosino, un lavoro che come diceva lei non è «per nulla fotogenico» – se dovesse essere seguito da una troupe per farne un documentario, come si fa per le star della musica e dello spettacolo – si può trovare un parallelo nel lavoro di Alice Milani, in esposizione con alcune tavole originali inizialmente fino a domenica 12 giugno e poi prorogata fino al 24 negli spazi de Ilturco, in via del Turco 39.

Come Wislawa Szymborska, anche Alice Milani racconta poco di sé. Nelle foto, è una che non emerge mai anche se la sua presenza è costante, per nulla scontata. È più una che ascolta gli altri, li guarda con occhi penetranti e la testa che sembra essere più altrove (non importa dove). Poi di colpo, però, ti spiazza con una domanda ficcante, una battuta sul marchese del Grillo (che consiglia a tutti di vedere-rivedere, e di cui sa ogni battuta felicemente a memoria) o provando a mangiare un po’ di chenopodio che cresce dove non dovrebbe (anche se può, perché il chenopodio è nato libero) nel pratino de Ilturco. «È buono!», decreta dopo averne assaggiate due tre foglioline. I suoi occhi sono come quelli di un bambino che ha appena scoperto una nuova meraviglia. Uno stupore che ricorda anche Wislawa Szymborska.

Foto di Denise Ania

Con “Si dà il caso che io sia qui”, l’illustratrice pisana racconta infatti la vita della poetessa polacca premio Nobel per la letteratura, una donnina minuta quanto tenace che apprezzava più di ogni altra cosa «due piccole paroline: “non so”», come spiegò durante la serata di gala del Nobel, quando gli venne attribuito quello per la letteratura «per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umana realtà». Non so sono due paroline «piccole, ma alate». Spiegò perché. Perché l’ispirazione, di qualunque cosa si tratti, «nasce da un incessante “non so”. Sono parole che «estendono la nostra vita in territori che si trovano in noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuta Terra. Se Isaac Newton non si fosse detto “non so”, le mele nel giardino sarebbero potute cadere davanti ai suoi occhi come grandine e lui, nel migliore dei casi, si sarebbe chinato a raccoglierle, mangiandole con gusto». Questo caratterizza le persone di animo inquieto, in continua ricerca.

Alice Milani, quando l’editore Becco Giallo le commissionò una graphic novel sulla Szymborska, poco sapeva della poetessa. «E’ stata una bella scoperta anche per me. Fortunatamente era stata appena tradotta da Adelphi la biografia “Cianfrusaglie del passato”, scritta da Anna Bikont e Joanna Szczesna, in cui ho trovato tanti aneddoti e personaggi della sua vita». Di poesie, invece, in “Si dà il caso che io sia qui” Alice ha scelto di usarne solo una manciata. La storia non riprende tutta la vita di Wislawa Szymborska. Parte invece dal giorno del suo matrimonio ed arriva fino alla serata di gala del Nobel, nel 1996. Un premio in denaro che la poetessa distribuì subito in aiuti e beneficenza. Da Cracovia si trasferì per un po’ a Zakopane, una cittadina nel sud della Polonia, per difendersi dalla notorietà.

Figlia del secolo scorso, non per dovere, («Sono, ma non devo esserlo»), non per una battaglia politica ma a testimonianza del suo presente, Wislawa Szymborska nasce nel 1923 a Kórnik e percorre con leggera ironia, con i suoi versi, tutta la pesante storia della Polonia del Novecento. Dalle iniziali speranze per il comunismo alle precoci disillusioni, tanto da strappare la tessera del partito ed essere per questo licenziata dal giornale con cui collaborava. È una poetessa che vive di nulla, che scrive e riscrive standosene il più possibile appartata, riuscendo comunque a pubblicare le sue raccolte di versi. «La sua non è una poesia facile, non è semplice perché ha tanti livelli di lettura – racconta Alice Milani -. Io all’inizio non la capivo. “Ma come?” mi domandavo, “ha vinto il Nobel con queste poesiole?”. Poi leggendole più volte ne ho scoperto la profondità. Ne scriveva una manciata all’anno ed erano dense. Non le scriveva di getto, le lasciava decantare. Poi, quando era ora, le pubblicava». Una stratificazione che si ritrova anche nelle tavole preparatorie del libro, dove i disegni sono densi e al contempo leggeri.

I fumetti non sono stati il primo amore dell’illustratrice pisana. «Non ho mai fatto studi di illustrazione – spiega Alice -. Ho studiato incisione e pittura ma sono sempre stata interessata ai fumetti». Alice Milani fa parte del collettivo La Trama, realtà che esiste dal 2009 e di cui fanno parte fumettisti ed illustratori (tra cui anche Silvia Rocchi, Viola Niccolai e Francesca Lanzarini). La Trama intende promuovere un tipo di fumetto che si avvicina a quello di realtà, perché i suoi autori credono che “raccontare cose vere, o che comunque rispecchiano situazioni reali, sia un modo per essere più onesti con noi stessi e con la gente che ci sta intorno”. Si dà il caso che io sia qui è la prima biografia di Alice Milani, e «per essere la prima opera sono già vecchia. Ma in realtà sono contenta di averla fatta tardi, c’è una stratificazione tra incisione e pittura, ci ho messo tutto quello che avevo di mio». E dell’autrice di Vista con granello di sabbia, quanto le sarà rimasto? «È riuscita a scrivere tutta la vita, nonostante il periodo del dopoguerra e varie difficoltà. Ha fatto la poetessa con tutte le sue forze perché era l’unica cosa le interessava fare» spiega Alice Milani. «A Wislawa Szymborska non interessavano i premi o la fortuna che avrebbero avuto le sue opere, lei voleva solo scrivere. E poi, come me, aveva un gran senso dell’umorismo. E questo lo si ritrova anche nelle sue opere: anche le poesie più cupe nascondono sempre un lato giocoso della vita». E un incessante, divertente, appassionato “non so” nei confronti della vita, chenopodio compreso.

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