Il Ferrara Film Festival è approdato nella città estense chiudendo i battenti ieri dopo la sua prima edizione. Fra i diversi appuntamenti, inseriti nel programma di proiezioni della rassegna, uno spazio è stato riservato ai corti. Un modello espressivo chiamato a condensare forma e contenuti del lavoro realizzato in un arco ridotto di minuti. Un universo eterogeneo, quello dei cortometraggi, che negli ultimi tempi ha progressivamente aumentato il numero delle sue produzioni, anche in virtù dell’affinarsi delle tecnologie. Abbiamo intercettato Stefano Valentini, regista di ‘Sole’, fra i finalisti category: ‘Short’ World – subcategory: Emilia Romagna Filmakers, e ne abbiamo parlato con lui.

Il fattore competizione, in manifestazioni come questa, è avvertito fra gli addetti ai lavori?

«L’obiettivo principale è essere selezionato tra i finalisti del concorso. Mediamente, proprio grazie alle nuove piattaforme, bisogna competere con più di mille cortometraggi per essere tra i finalisti, e da qui la grande soddisfazione di essere tra i selezionati ufficiali. Durante il festival ciò che preme di più non è vincere, ma imparare dagli altri. Oltre il film e oltre la storia, osservo e studio il loro modo di aggirare le difficoltà che noi addetti ai lavori incontriamo. Partecipare ai festival è un ottimo modo per imparare. Naturalmente, al momento di “and the winner is…”, la voglia di vincere sale».

Quali sono le difficoltà che si incontrano nel girare un corto?

«Tutti devono girare lo stesso film: quello del regista. La comunicazione iniziale è essenziale. Bisogna arrivare sul set preparati per poi lasciare aperta la porta dell’improvvisazione. Ogni lavoro nasconde nuove insidie e non si smette di imparare, ma bisogna cercare la perfezione ogni volta. Possiamo ripetere molte volte alcuni ciak, ma il risultato finale deve essere buono alla prima».

Nel tuo caso, il corto ideale deve concludersi chiudendo il cerchio, oppure lasciando l’azione sospesa?

«Non esiste un mio corto ideale. Esistono tante storie e tante sensibilità diverse in ogni singola storia che devono essere raccontate nel modo che viene richiesto dalla storia, e dalla sensibilità trovata, e non deciso a priori da propri gusti personali.
Sono del parere che dobbiamo comunque in primo luogo fare film che piacciono a noi stessi. Tutti i dettagli devono mirare verso il senso del film, chiudendo il cerchio e dando alla fine allo spettatore una motivazione alle scelte effettuate. Anche il finale con l’azione sospesa può essere utilizzato come particolare strumento per la chiusura del cerchio. Ogni racconto deve avere sempre tre atti».

Quando hai cominciato, avevi dei riferimenti?

«Non ricordo ma probabilmente Tarantino, un po’ come tutti. I suoi film d’impatto sono più facilmente seguibili per un pubblico giovane. Adesso guardo con interesse e con forte spirito critico tutti. Sorrentino e Moretti rimangono però i preferiti».

Ricordi il primo corto che hai realizzato?

«Sì, orrendo. Ma ho grande affetto per quel prodotto. Nonostante i tanti film visti, fin quando non si prende una telecamera in mano non si può capire cosa vuol dire far cinema. Grazie al primo cortometraggio imparai a utilizzare i primi programmi di montaggio. Penso che sia uno step che dobbiamo affrontare tutti per iniziare».

E quello che ha riscosso un particolare apprezzamento dagli altri?

«Il secondo, ‘Tutto in una notte’. In quel cortometraggio feci quasi tutto: regista, sceneggiatore, attore protagonista e montatore. Abbiamo girato il cortometraggio in due, e il prodotto finale ha i suoi limiti adolescenziali. Non è un gran cortometraggio per quanto riguarda alcuni aspetti tecnici, ma ha una bellissima sceneggiatura: vera, dove in molti si sono rispecchiati. Credo che il segreto sia questo: raccontare la storia unica di un personaggio, ma che sia la storia di tutti».

In questo mondo è indispensabile studiare, o anche un autodidatta ha una prospettiva di carriera?

«Ho studiato all’Accademia nazionale del cinema e ho avuto un professore come Guido Fiandra, che mi ha dato tutto e mi ha aperto gli occhi. Si può imparare molto dagli altri, ma è da soli che dobbiamo iniziare a correre con coraggio, voglia, organizzazione e metodo».

Nel tuo settore, che ruolo giocano il web e i social network?

«Sono importanti, ma credo nella meritocrazia e non nell’apparenza. Si può vincere in tanti modi, ma il modo in cui si vince fa la differenza».

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