Maggio e giugno, mesi di verifiche di fine anno scolastico. Ma anche momento conclusivo per gli studenti che frequentano i laboratori annuali di teatro. C’è un progetto sociale che coinvolge l’associazione Balamòs e il suo regista e pedagogo Michalis Traitsis, oltre agli alunni della scuola secondaria ‘Tasso’ di Ferrara. ‘Sguardi diversi’, il titolo dell’iniziativa promossa con l’Osservatorio adolescenti del Servizio giovani, in collaborazione con l’Ufficio alunni stranieri dell’Istituzione servizi educativi, scolastici e per le famiglie del Comune di Ferrara. E, proprio nel periodo compreso fra maggio e giugno, questo progetto si presenta con la rappresentazione dello spettacolo ‘Voci e suoni di un’avventura leggendaria’. Un lavoro ispirato alle vicende di Odisseo e proposto in maniera insolita, con il pubblico chiamato a sentire voci, suoni e suggestioni, senza ricorrere alla vista. E i ragazzi protagonisti dello spettacolo, alle prese con il compito di evocarlo senza che esso sia visibile.

Quest’anno, una serie di repliche ha già avuto luogo all’interno del Ctu, nella settimana fra il 16 e il 21 maggio scorso. E, come ogni cantiere destinato a procedere passo per passo, il progetto si è arricchito di nuove iniziative. L’1 giugno, alle 16, la Casa di reclusione femminile di Giudecca, a Venezia, ha ospitato, con ingresso riservato agli autorizzati, lo spettacolo realizzato dagli alunni della scuola ‘Tasso’, che frequentavano la prima media nell’anno scolastico 2014-2015. Inoltre, il 27 giugno, alle 17, al teatro Vittoria di Pennabilli, gli alunni dell’anno scolastico 2014-2015 porteranno in scena una replica di ‘Voci e suoni di un’avventura leggendaria’, nell’ambito della seconda edizione del master, organizzato dall’ateneo estense, su tutela, diritti e protezione dei minori. E delle dinamiche legate ai laboratori rivolti agli alunni della scuola ‘Tasso’, del loro incontro con le attrici-detenute della Giudecca, e del percorso di crescita che il teatro alimenta, abbiamo parlato con Michalis Traitsis.

Che cosa caratterizza il progetto teatrale ‘Sguardi diversi’?

«I minori sono portatori di un’energia impressionante e, a questo proposito, il progetto si riferisce alle prime medie. Un’età complessa, dove non sì è più dei bambini e non si è ancora degli adolescenti, e i cambiamenti avvengono di settimana in settimana. Gli studenti sono in età di trasformazione, e il teatro è l’arte della trasformazione».

Come si pongono i ragazzi nei confronti dei laboratori teatrali?

«Quando lavoro con loro io non trovo subito un ‘terreno edificabile’. E allora prima penso a demolire. Un’operazione che richiede un tempo di demolizione perché i ragazzi oggi fanno fatica ad ascoltarsi. C’è una scarsa sensibilità all’ascolto, e il teatro offre questa possibilità».

Come è nata l’idea di realizzare uno spettacolo dove gli spettatori sono bendati?

«Ho deciso di avviare un progetto rischioso, di lavorare sulla sensorialità. Attenzione e ascolto sono scarsi non perché i ragazzi sono stranieri, ma perché esiste una problematica che attraversa questa generazione che nasce in famiglia e, prima ancora, nella società. Capita che tutti parlino e che nessuno ascolti, anche fra i ragazzi. Allora ho pensato di creare un contesto dove si possa comunicare con voci e suoni. Da qui l’idea del bendaggio degli spettatori, a loro insaputa. C’è dunque un lavoro che i ragazzi devono fare con gli spettatori, e anche con loro stessi. Devono mettere gli spettatori in condizione di sentire e di vedere, senza la vista. E devono creare dei contesti, in grado di trasmettere al pubblico quello che essi sentono. Uno sforzo doppio, dunque».

E come giudichi il risultato finale?

«Questo gioco si è rivelato vincente dal punto di vista scenico, ed efficace dal punto di vista pedagogico».

Questo è il terzo anno che il progetto va avanti con gli alunni della scuola secondaria ‘Tasso’. Come è nata l’idea di presentare, lo scorso anno, lo spettacolo nella Casa di reclusione di Giudecca a Venezia, e di fare interagire, quest’anno, gli studenti che hanno appena concluso la seconda media con alcune donne detenute?

«Ho pensato di proporre la presentazione in carcere dello spettacolo. Spettacolo realizzato con gli allievi del laboratorio dell’anno precedente, che quindi frequentavano la prima media nel 2014-2015. Un’operazione non scontata, che si è potuta concretizzare grazie alla disponibilità della Giudecca. Mentre lavoro con le detenute, infatti, io racconto gli altri progetti che porto avanti. Così ho raccontato loro del laboratorio che stavo svolgendo a scuola. Quello trattato da ‘Voci e suoni di un’avventura leggendaria’ è un argomento della mitologia che è piaciuto molto. Tutte le donne detenute, italiane e straniere, conoscevano la storia del ciclope. E soprattutto tantissime di loro hanno figli dell’età degli studenti del laboratorio. Allora mi sono chiesto: perché non provare a organizzare questo spettacolo utilizzando il teatro come veicolo di incontro? Il tema della maternità in carcere è particolarmente delicato. Così l’ho proposto alla direzione che si è assunta un’importante responsabilità. Come il dirigente scolastico, i genitori e gli stessi alunni, oltre a me».

Che approccio hanno avuto i ragazzi, l’anno scorso, nei confronti di questa esperienza?

«I ragazzi non hanno battuto ciglio ed è stata una bellissima giornata di teatro. Sia durante lo svolgimento con le spettatrici detenute bendate, che dopo la conclusione con uno scambio di impressioni. Quest’anno, in virtù dell’esperienza precedente, ho pensato di coinvolgere anche alcune ragazze detenute come attrici. I due gruppi hanno lavorato singolarmente, sapendo l’uno dell’esistenza dell’altro. Mercoledì 1 giugno, ci sono state prima le prove per le parti corali e singole, e poi lo spettacolo insieme».

Lavorare con studenti delle scuole medie richiede una gradualità di tempi diversi rispetto ad altri attori?

«Ci vuole molta pazienza. Come dicevo prima, è un mondo complesso che vive di dinamiche particolari. Oggi i ragazzi sono bombardati di immagini, e fanno fatica a soffermarsi su qualcosa. Quando si lavora a teatro con adolescenti, ci si relaziona con un mondo che vive un periodo di trasformazione. Bisogna prima contenere la loro energia e poi trasformarla. In quest’ambito, l’attore cerca di creare un contesto per raccontare qualcosa. Un po’ come il radiocronista che racconta una partita».

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