Andando a vedere uno spettacolo teatrale dove gli attori sono detenuti (di quelli seri, provenienti da un carcere di massima sicurezza), si parte con la strana sensazione che questo loro particolare status ci condizionerà nel giudizio durante tutta la rappresentazione.

Si attiva una sorta di meccanismo inconscio che ci induce a pensare che le persone che vedremo debbano essere strane, o meglio estranee a noi irreprensibili membri della società. La fantasia galoppa e cominciamo ad immaginare loschi figuri tatuati, con i denti d’oro ed i muscoli super sviluppati e poi manette, catene, palle al piede e completi a strisce, numerati e sdruciti. Ci chiediamo quali siano i loro reati, da quanto tempo scontano la loro condanna e quanto ancora ne manca prima che ritornino in libertà, ci chiediamo anche come possa essere la loro esistenza, privata della libertà. Siamo trascinati verso di loro dal timore e dalla curiosità in egual misura.

Allora diviene grande lo stupore quando, entrando in un teatro che non ci aspettavamo gremito, cala il silenzio e uomini, dall’aspetto quanto mai comune, recitano con impegno ed amore i versi scritti da Torquato Tasso (era il lontano 1575) e cantano, sì cantano, con voce celestiale un altrettanto vecchio madrigale monteverdiano.

No, tutto questo proprio non ce lo aspettavamo.

Courtesy Cristiano Lega

Le voci degli attori (abbiamo già smesso di pensarli in qualità di detenuti) tradiscono origini non italiane e rivelano quanto ancor più difficile dev’esser stato imparare a memoria queste ottave, comprenderne i molteplici e nascosti significati e riproporli, interpretandoli, ad un pubblico ignoto. Un pubblico composto da persone diverse da loro, persone… libere!

Di lavoro, per arrivare su quel palco, ne hanno fatto davvero tanto. Quasi due anni di laboratorio teatrale con incontri a cadenza settimanale. Sessioni in cui hanno lavorato su ogni gesto, ogni parola con cura e rispetto e, soprattutto, hanno lavorato su loro stessi.

Questi uomini hanno deciso spontaneamente di prendere parte a questo progetto, hanno fatto una richiesta esplicita per potervi partecipare, hanno scelto il teatro. Il teatro è qualcosa che si sceglie e dal quale veniamo scelti, una forma di comunicazione, la più profonda e ancestrale, che non ha bisogno di orpelli ma di passione, impegno e verità.

La scelta di Horacio Czertok (fautore del progetto Teatro Carcere) di usare come soggetto la Gerusalemme Liberata è stata coraggiosa, difficile, ma condivisibile. Le tematiche trattate dal poema quali l’amore, il dualismo religioso, lo scontro culturale sono incredibilmente contemporanee. Uomini che uccidono altri uomini, che combattono per ideali che ritengono nobili e sacri e provano ad imporre il loro credo, sacrificando la vita e l’amore, non fanno forse parte ogni giorno delle pagine di cronaca?!

Per parlare del progetto Teatro Carcere, esperimento cominciato nella casa Circondariale di Ferrara nel 2005, e di questo spettacolo in particolare, ci siamo confrontati con diverse persone che vi hanno preso parte. Ci hanno raccontato molte cose, tanti piccoli episodi e retroscena utili per guardare più consapevolmente a questa realtà complessa. Hanno raccontato che a volte, durante le prove, si creava una strana magia e tutti, detenuti e operatori, si dimenticavano di trovarsi in carcere. Ci hanno detto che entrando al Teatro Comunale i detenuti rilevavano un odore strano, un forte sentore di legno, un odore tanto intenso per loro poiché differente da quello del luogo in cui passano le loro giornate, la loro vita (come per gli ospedali credo si possa affermare che esista “l’odore del carcere”). Hanno rivelato di non aver voluto conoscere i reati commessi da queste persone e, una volta scoperti, di esserne stati profondamente colpiti poiché oramai li vedevano come persone “normali”. Infine abbiamo saputo che, nascosto dal sipario, si è svolto un momento particolare, un momento in cui le guardie e i carcerati erano solo uomini, uomini orgogliosi di un progetto comune che ha mostrato a tutta la città un carcere diverso, del quale non vergognarsi e non avere paura.

Vorremmo concludere affermando che portare uno spettacolo quale Me che libero nacqui al carcer danno nel salotto buono di Ferrara è stata una scelta importante per tutta la comunità, una scelta che ha aperto uno squarcio in un luogo chiuso, inaccessibile e spesso volutamente dimenticato. Abbiamo visto come le persone possano trasformarsi da carcerati ad attori, da anime perdute in spiriti liberi e come noi stessi, sgombrando la mente da preconcetti e pregiudizi, possiamo guardare alla realtà del carcere con maggiore chiarezza e verità.

“I detenuti hanno il diritto di partecipare ad attività ricreative – sportive, giochi, attività culturali, hobby e attività di intrattenimento – e dovrebbero, per quanto possibile, essere autorizzati ad organizzarle”
Articolo 27.6 della PrisonRule europea

Un ringraziamento dovuto va ai detenuti/attori e a tutte le persone che lavorano nella Casa Circondariale di Ferrara, a Marinella Rescigno, Horacio Czertok, e Cristiano Lega, e al Conservatorio di Musica Frescobaldi che mi hanno aiutato a fare luce sul mondo complesso del progetto Teatro Carcere.

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