Immaginate una città che, al posto di mura e di bastioni fortificati, sia circondata, tutt’attorno, da fabbriche; che dalle fabbriche partano strade che attraversano ampie piazze porticate, e lungo le quali si mescolano le case degli operai, degli impiegati e dei dirigenti, senza divisioni gerarchiche. Che accanto alle case e alle piazze, lungo le direttrici geometriche delle vie, trovino posto l’asilo e le scuole per i figli dei lavoratori, la palestra per i ragazzi, i bagni pubblici, alberghi, un teatro e una sala da ballo per il tempo libero, un campo sportivo con ingresso monumentale e una colonia post sanatoriale per i malati di tubercolosi, all’interno di un grande parco. Il tutto secondo lo stile architettonico razionalista, in voga negli anni venti e trenta del secolo scorso. In realtà non serve un grande sforzo d’immaginazione, basta imboccare la Ferrara-Mare e, dopo una ventina di chilometri, prima di entrare nei territori della Grande Bonifica Ferrarese, arrivare a Tresigallo, che è la città di cui stiamo parlando.

Come appare oggi, Tresigallo lo è diventata tra il 1933 e il 1939. Prima di allora era un villaggio di povere case, fatte per lo più di fango e paglia, nel comune di Formignana, popolato da braccianti stagionali, pescatori e raccoglitori di canne palustri. Le condizioni nelle campagne ferraresi, tra la fine dell’ottocento e i primi decenni del novecento, erano di grande miseria: la mancanza di lavoro o le paghe da fame (quando il lavoro c’era) e il susseguirsi di una serie di cattive annate, portarono all’esasperazione il bracciantato agricolo, che nel frattempo aveva iniziato ad associarsi in Leghe. Erano leghe che s’ispiravano alle nuove teorie socialiste, di quella particolare corrente rappresentata dal sindacalismo rivoluzionario che organizzò i primi grandi scioperi agrari del 1897 e del 1901. In questo contesto politico e sociale matura l’ascesa di colui che diventerà l’artefice dell’odierna Tresigallo: Edmondo Rossoni.

Nel 1933, anno della rifondazione della sua città, Rossoni è un uomo politicamente sconfitto. Passato dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo all’inizio degli anni venti, a capo del Sindacato fascista, da lui fondato, via via accumula nelle sue mani un potere enorme: basti pensare che nel 1928 la sua organizzazione contava circa undici milioni di iscritti, una base molto più omogenea e coesa, oltre che più numerosa, dello stesso Pnf. Forte di questo potere e dell’ideologia sindacale fascista, coltiva il sogno corporativo del sindacalismo integrale, ossia di riunire in un unico sindacato i lavoratori e i datori di lavoro; progetto che verrà contrastato sia da Confindustria che dallo stesso Mussolini (che vedeva in lui un pericoloso concorrente) e che sfocerà nel cosiddetto sbloccamento sindacale del 1928, ossia la divisione del sindacato unitario in sette confederazioni e il suo conseguente indebolimento.


Foto di Piero Cavallina

Sconfitto a livello nazionale il progetto di sindacalismo integrale, Rossoni medita la propria rivincita nel suo paese d’origine. Così commenta al riguardo Stefano Muroni, autore del libro “Tresigallo, città di fondazione – Edmondo Rossoni e la storia di un sogno”, edito da Pendragon:

Rossoni intende trasformare Tresigallo in una città corporativa. Vuole dimostrare, cioè, come, tramite la costruzione di una nuova città, sia possibile realizzare la collaborazione tra le classi attraverso l’architettura e l’urbanistica. A Tresigallo, infatti, la casa del dirigente confina con quella del capo reparto, che a sua volta è vicino a quella dell’impiegato, del contadino e dell’operaio, creando, in questo modo, un dialogo tra i vari soggetti del mondo del lavoro. Questo è il corporativismo rossoniano: ognuno ha le proprie mansioni all’interno della fabbrica, ma tutti hanno un unico obiettivo, che è quello della produzione. Dove prima c’era un piccolo villaggio senza futuro, viene tirata su una città in cui, a regime, erano attive ben sedici industrie, che richiamarono operai e tecnici da tutta la provincia e da altre regioni d’Italia, e dove vennero ad abitare oltre nove mila persone. Pensate soltanto che, prima della costruzione, nel ’33, della Rossonia, la strada che collega Tresigallo a Ferrara, per andare in città o ci s’imbarcava su una zattera a Final di Rero, lungo il Po di Volano, oppure si prendeva una diligenza a sei posti ed erano delle vere avventure.

Erano quelli gli anni in cui il regime fascista aveva, per dirla con Antonio Pennacchi, il “mal della pietra”; erano gli anni delle bonifiche delle pianure pontine e della fondazione di città come Littoria (oggi Latina), Aprilia, Sabaudia e dei tantissimi borghi rurali in cui furono letteralmente deportate anche tante famiglie di braccianti ferraresi. Ma Rossoni non voleva ripetere l’esperienza delle “città di fondazione” dell’Agro Pontino. Mentre, infatti, la realizzazione di queste fu affidata ai grandi architetti del tempo e venne pubblicizzata al massimo dal regime per ragioni di propaganda, Tresigallo fu, invece, costruita in sordina, quasi artigianalmente. Continua Muroni, nostra guida d’eccezione in questa visita al paese:

Tresigallo non è stata edificata in seguito ad una legge nazionale, non ci sono un piano regolatore o un bando di concorso nazionale a cui parteciparono i grandi nomi dell’architettura, come Petrucci, Mazzoni o Terragni. Il piano urbanistico stava nella testa di Rossoni: lui da Roma pensava alle costruzioni e a come dovevano essere realizzate. Poi inviava le istruzioni al suo uomo di fiducia, Livio Mariani, il macellaio del paese, il quale le trasmetteva a Carlo Frighi, giovane ingegnere tresigallese che Rossoni aveva fatto studiare a Roma a sue spese. Spessissimo, poi, tornava al paese per controllare lo stato dei lavori.

Anche concettualmente l’operazione portata a termine a Tresigallo è diversa e all’avanguardia rispetto a quella realizzata in Agro Pontino: mentre là, infatti, sono costruiti tanti borghi agrari isolati gli uni dagli altri, secondo l’ideologia fascista che privilegiava la “ruralizzazione” contro l’industria, Rossoni, che conosceva i problemi del mondo del lavoro nell’industria contemporanea (grazie alle sue esperienze all’estero, in particolare negli Stati Uniti, come agitatore sindacale) capisce che il futuro non è nella sola agricoltura, ma nell’industria che trasformi i prodotti della campagna. Per citare ancora Pennacchi: “si può dire che l’agroindustria, almeno nell’accezione moderna… se l’è inventata lui”.

A Tresigallo sorgono, così, tra le altre, una distilleria per l’estrazione dell’alcol dalle bietole con annesso lo zuccherificio; un burrifico per la trasformazione del latte prodotto nelle stalle della zona; un canapificio per la lavorazione della canapa prodotta in gran quantità, allora, nelle campagne ferraresi; un’industria metalmeccanica per la costruzione di macchine agricole, tanto da far dire a Muroni che “Tresigallo è stata la prima città autarchica costruita in Italia”, in sintonia con la politica economica adottata dal regime negli anni trenta. “Se ci si fa caso, Tresigallo è pensata con le chiusure prospettiche. Basta spostarsi nel reticolato esterno, lungo i muri perimetrali formati dagli edifici, che la città si apre alla campagna, a simboleggiare l’armonia tra l’industria e la produzione agricola”. La principale di queste fughe prospettiche è quella che va dal cimitero (col portale a tre arcate sfalsate e il mausoleo funebre di Rossoni, costruito dall’architetto Ugo Tarchi, insieme all’angelo che lo sovrasta e che ricorda le fattezze ruvide di un operaio), attraversa via Filippo Corridoni e la dechirichiana piazza della Rivoluzione (oggi della Repubblica) e si chiudeva, in origine, con la torretta dello zuccherificio, quasi a rappresentare un’unione tra la vita, il lavoro e la morte. Oggi lo zuccherificio non c’è più, è stato raso al suolo qualche anno fa e al suo posto sorge un supermercato. “Per ironia della sorte – commenta Muroni – la chiusura prospettica è stata ripristinata con la torretta del supermercato”.


Foto di Piero Cavallina

Dopo anni di oblio, negli ultimi tempi la storia di Tresigallo è, piano piano, stata riscoperta e valorizzata.
Prosegue Muroni: “Dei fabbricati dell’epoca, ne sono rimasti in piedi il novantacinque per cento; negli ultimi dodici anni sono arrivati circa trenta milioni di euro dall’Unione Europea per la ristrutturazione degli edifici razionalisti, di cui il simbolo è il recupero del bellissimo palazzo che oggi ospita la biblioteca comunale (ex Casa della GIL), come pure del palazzo dei vecchi bagni pubblici. Tanto è stato fatto, ma molto ancora si potrebbe fare, soprattutto per ripristinare l’originario arredo urbano”. Alcuni passi in avanti, poi, sono stati compiuti anche dal punto di vista turistico: Tresigallo, infatti, oggi è inserito nel circuito dei Borghi Autentici d’Italia (http://www.borghiautenticiditalia.it/assobai/comune-di-tresigallo-fe/).

Stefano Muroni non può certo essere bollato come un nostalgico del fascismo. La condanna di quel regime e, quindi, dello stesso Rossoni, è stata scritta definitivamente dalla Storia. Quello che a lui interessa, e che ha rappresentato la molla del suo straordinario lavoro di ricerca (ancor più eccezionale se si considera la sua giovane età), è il ruolo di “riformatore illuminato” che, per la sua gente, questo gerarca fascista ha rivestito. Un aspetto che emerge anche dalle tante testimonianze di quelli che Muroni chiama, affettuosamente, “i miei vecchi” (e che erano ragazzi durante gli anni della rifondazione) che, in sostanza, considerano Rossoni un benefattore per averli riscattati dalla miseria e averli trasformati da braccianti indebitati in operai stipendiati, protagonisti di quella che Stefano definisce, pasolinianamente, una “rivoluzione antropologica”. “Mi sembrava impossibile che nessuno avesse scritto la storia di Tresigallo e di quello che Rossoni, qui, aveva realizzato – racconta Stefano- . Allora mi sono fatto regalare da mio padre una telecamera e a quattordici anni, nel 2004, ho iniziato a intervistare chi quel periodo, tra il 1933 e il 1939, l’aveva vissuto per esperienza diretta. Mi sono, poi, documentato all’Archivio Centrale dello Stato, a Roma, e al Centro Studi Architettura Razionalista”. Un lavoro il cui valore scientifico è stato riconosciuto anche dall’Istituto Treccani, nella cui sede romana, il 3 marzo scorso, Muroni ha presentato il suo libro, alla presenza di Antonio Pennacchi, Folco Quilici e del professor Giuseppe Parlato.

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