copertina-nociebauliGli occhi. Tutto convive negli occhi-laghi increspati di grigio: disappunti, rimproveri, piacere, consapevolezza ed irrequietezza, per ciò che avverrà e per ciò che è stato[1].

Raccontare partendo dagli occhi, dalla vita sedimentatasi negli occhi, cercando di intrecciare le rispettive parole, armonizzando movimenti pensieri sguardi. Incrociandosi e perdendosi, tentennando e rincorrendosi, cercando un groviglio allentato, una scintilla d’incontro. Raccontare Lucia, cantare Lucia, donna e poetessa.

Lucia Boni, diplomata all’Istituto d’Arte Dosso Dossi e all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dal 1982 fino al 2015 ha lavorato presso il Laboratorio delle Arti del Comune di Ferrara. Oltre a pubblicazioni di suoi testi di poesia e prosa su antologie, raccolte, riviste di letteratura e cataloghi della Galleria del Carbone (per la quale collabora alla Direzione Artistica), Lucia ha pubblicato la raccolta di poesie Imbuti di Cristallo (La Carmelina edizioni, 2009), il racconto Pensieri di cioccolato e menta (Associazione Bondeno Cultura, 2010), e la raccolta di racconti Noci & Bauli (La Carmelina edizioni, 2014), per il quale ha vinto il Premio Niccolini 2015 nella sezione Narrativa.

Lucia è nata il 7 novembre alle ore 7 al civico 7. È testarda misteriosa intuitiva. È precisa puntuale seria ma non cupa. Tanto materna quanto ferma, tanto docile quanto incisiva. Sogna un maso in montagna, non il mare (…davvero?).

Gli occhi, la bocca. Prendiamo avvio dal frastuono lento del quotidiano vivere che lei sa poetare, che lei sa cogliere, elevare, vestire di parole. Provo a fermarmi ad ascoltare il suono acciottolante che fanno i piatti[2] nei suoi racconti, nella sua casa dove vive col marito Paolo e col figlio Giovanni, dove sono ospite una sera, atteso per un invito inatteso. Nel passare dallo sguardo alla parola, dalla vista al gusto, si tratta di accarezzare il guscio, per poi romperlo, scavare nella personalità di Lucia, carpire senza farsi vedere, discorrere senza invadere con gli occhi. Poesia e realtà, parola e corpo, nell’aere e nella materia, risalire da uno all’altro, e ritornare, senza perdere mai l’unicità la consistenza la verità dei due piani.

Come spicchio di melagrana la tua gota, attraverso il tuo velo[3]. Involucro della melagrana, come quello della noce, come velo duro inaccessibile, corazza che protegge un’anima complessa, una ricchezza di linee forme intagli sinuosi, sculture marcite e redivive.

Cuore di melagrana / liquide gemme di rubino / celle di pelle trasparenti / tante ben accorpate / nei loro appartamenti / a un tratto e riluttanti / sgranano[4]. Come per un banchetto, esige lenta e silente preparazione la nostra poesia, attesa lunga gocciolante solitaria, la nostra prima cena. Nella casa rimbomba secco e prepotente, sempre atteso mai del tutto atteso, il pendolo dell’orologio, come campana a morto, come memento. Il suo movimento inumano ritma il tempo. Così la poesia, così la preghiera, così la vita.

Sgrano legumi / in un esercizio di / pazienza lento / quasi preghiera[5]. Nenie, cicliche cantilene, sgranare legumi come grani di rosario, come granate di melagrane, come ghirlande di lemmi, versi divorati e poi languiti, la nostra intima masticata preghiera[6].

Gli occhi, la bocca, le mani. Io ho sempre amato le parole, ne ho sempre ascoltato il suggellarsi, aria nell’aria, che uscendo allo scoperto dai miei pensieri più intimi, si converte in musica capace di senso, che provoca senso, soffio che emana fluttuanti sonorità, aromi dai profumi arrotati, vocalità aperte che si inalano con franca voluttà. Amo il suono che si raccoglie e quello che si dona, con le parole. E amo i silenzi[7].

Lucia, che cos’è la poesia? Quando un semplice pensiero, più o meno confuso, non è più tale ma diviene poesia? È l’identità tra ciò che si vuol comunicare e il mezzo, il modo di comunicarlo, il rapporto tra significato e significante. Inizia a scorrere dagli occhi, non dalle labbra, la parola. Iniziai a interessarmi alla poesia negli anni della Scuola Media, sentendo la mia insegnante leggere ad alta voce in aula alcuni versi. Negli anni ’80 ho iniziato a pubblicare sulla “Nuova tribuna letteraria”, poi ho provato a iscrivermi ad alcuni concorsi. Due poetesse, Marilla Batillana e Daniela Attanasio, mi apprezzarono e mi aiutarono molto nel proseguire.

A volte hai momenti di vuoto? Sì, certo. Ricordo che quando tornavo a casa dopo il lavoro, alcuni giorni sentivo il bisogno di stare da sola in silenzio, per meditare e scrivere, per raccogliermi.

Ti capita di non sentire più come prima certe poesie scritte in passato? Sì, a volte. In ogni caso, più agisco, più persone incontro, più idee mi vengono per scrivere. Le idee quindi non vengono stando in una stanza al buio. Sento il bisogno del contatto con le persone, insomma, e solo dopo ho bisogno del momento di silenzio per ricomporre tutto. Il pensiero è come la trama di un tessuto.

Non temi che ciò che scrivi possa essere frainteso, seppur in buona fede? E questo è simile, o ancora più radicale, rispetto al normale fraintendimento tra due o più persone? È frequente il fraintendimento. La parola vive per se stessa, non è una didascalia fatta per immagini, la parola evoca un immaginario. Io non amo mai gli assoluti, ma tutto ciò che ha una negazione.

Perché a un certo punto hai deciso di iniziare a pubblicare? Ho deciso di pubblicare per mettere un punto fermo, così non posso più rimaneggiare, ma andare avanti. Quando le stampo, le poesie non sono più mie, ma di altri.

Leggere e rileggere le proprie poesie, le altrui poesie, come un breviario. Macinare il valore delle parole, imparandole a memoria, masticarle e rimasticarle. Al primo sapore ne seguono altri, che pazienti fluiscono. Da una sensazione improvvisa, immediata, si passa oltre, si ripassa ripensa rivive.

Corpi abbandonati

Vedi, in questi silenzi in cui le cose / s’abbandonano e sembrano vicine / a tradire il loro ultimo segreto, / talora ci si aspetta / di scoprire uno sbaglio di Natura, / il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, / il filo da disbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità[8].

Nel torpore prima del sonno, pensieri sparsi, leggeri, irreali. Ma distesa nel letto, fuori, via, lontano, in apparente silenzio: ho sentito, sento, gli sguardi e le decisioni per me[9]. Riaffiora in questo limbo un mare mai desiderato, mai inseguito, inevitabile: Qui, di fronte al vento, sono solo pensieri divergenti e frantumati che sembrano perdere ogni riferimento a persone, cose, luoghi[10].

Nel chiudersi, riemergono gli occhi, nello svanire del sogno, riappare. Nell’immergersi, poesia estrema del sonno. Riaffiora in me una sequenza di Nostalghia di Tarkovskij, il sonno improvviso, le braccia affondate, il ticchettio della pioggia.

Sento il bene di uno stare fermo e lasciarmi toccare dalle spighe del mare, sento questa
acqua
che accarezza
e queste sorde parole che mi recita,
passando e ripassando
acqua sul mio corpo[11].


[1]
Lucia Boni, Noci & Bauli, La Carmelina edizioni, Ferrara, 2014, pag. 98.
[2] Francesco Guccini, Lettera, 1996.
[3] Cantico dei Cantici 6, 7.
[4] Lucia Boni, Imbuti di cristallo, La Carmelina edizioni, Ferrara, 2009, pag. 35.
[5] Idem, pag. 33.
[6] C. S. I., Polvere, 2000.
[7] Lucia Boni, Noci & Bauli, cit., pag. 150.
[8] Eugenio Montale, I limoni, 1925.
[9] Lucia Boni, Noci & Bauli, cit., pag. 88.
[10] Idem, pag. 102.
[11] Idem, pag. 157.

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