Nelle ultime settimane a Ferrara si è parlato molto di street art, sicuramente più del solito. Prima per l’apparizione dei collage anatomici di Snem, ben piazzati in pieno centro storico, poi per commentare la mostra bolognese dedicata a Banksy & Co. e la relativa polemica sugli stacchi di Blu e la decisione dell’artista di cancellare vent’anni di lavoro in un weekend, poi ancora – e arriviamo all’altro ieri – per l’avvio del progetto Ferrara Street Map, promosso dal Servizio Giovani del Comune per realizzare nuovi interventi sui muri cittadini, una mappa online dedicata ai graffiti e diversi appuntamenti di taglio divulgativo e didattico. Che succede? Da dove arriva tutta questa mossa?

Intanto va detto che il progetto ferrarese, nonostante sembri una risposta alle politiche attuate a Bologna da Fabio Roversi Monaco – promotore della mostra tanto contestata -, è stato ideato, presentato e finanziato con fondi regionali ben prima che si scatenasse la querelle. Bologna-avamposto-di-avanguardia perde credibilità, con una buona schiera di intellettuali schierati contro l’esposizione per difendere il paesaggio urbano violato. Ferrara mesi prima acquista bombolette e sceglie di ridipingere edifici polverosi e poco attraenti come la vecchia scuola Ginevra Canonici, oggi succursale del liceo Ariosto. Il nodo della questione, in entrambi i casi, sembra essere una domanda vecchia almeno quanto l’umanità: a chi appartiene la città? Quali sono i limiti, che rispettiamo o che valichiamo, nel momento in cui decidiamo di non agire o agire in uno spazio pubblico? La dicotomia fino a qualche decennio fa era chiara: istituzioni da una parte, libera iniziativa dei singoli o dei gruppi dall’altra, non senza una componente di critica al sistema. Oggi tutto pare essersi fatto più liquido e confuso. Le istituzioni si ammorbidiscono e non solo accettano ma sostengono ciò che fino a poco tempo fa era considerato degrado, i singoli d’altra parte non si irrigidiscono, abbassano la guardia e accettano il compromesso.

Sabato ho trascorso qualche ora assieme agli autori delle opere realizzate sulla Ginevra Canonici, in via Dosso Dossi, in occasione della jam “Fast Line”, organizzata assieme al collettivo Vida Krei: Sera, Beis, Moe, Bro, Takes, Klauds, Psiko, Over, Ubealles, Sfiggy. Dieci persone molto diverse una dall’altra, per età anagrafica, provenienza geografica, percorsi professionali e personali. I passanti che si fermavano a curiosare l’avranno senza dubbio notato: ad armeggiare con vernici e spray c’erano i ragazzini, allo stesso tempo spavaldi e insicuri, c’erano gli “anziani”, writers con alle spalle decenni di esperienza, c’erano gli artisti, quelli che si sono avvicinati ai muri alla fine di un percorso avviato tra tele e pennelli tradizionali, c’erano i poliedrici, quelli che da sempre intrecciano tecniche e discipline, c’erano i puristi del lettering e i figurativi per vocazione. Un gruppo eterogeneo con obiettivi e prospettive anche molto distanti, che su alcuni elementi chiave si raccorda in modo compatto.
Dalle chiacchiere che abbiamo fatto sono emersi diversi spunti interessanti, che cercherò di sintetizzare e connettere.

Foto di Corradino Janigro

L’IMPORTANTE È DIPINGERE. I graffiti nascono nell’illegalità ma conciliare l’impostazione originale e le occasioni che arrivano dagli enti pubblici o dai privati per riqualificare palazzi, interni ed esterni, non sembra così complesso. Certo, si perde qualche brivido, l’adrenalina della trasgressione ma soprattutto la coscienza di avere, da soli, creato qualcosa dove prima c’era il nulla, ma su tutto vince il piacere del gesto artistico, dell’espressione. Vince l’urgenza di chi non può fare a meno di dipingere, e agisce assecondando le circostanze, senza preclusioni e senza autolimitazioni. Non si sceglie il campo, tutti i campi sono buoni, purché ci si possa mettere alla prova, purché ci sia comunicazione.

NESSUN POSTO È BELLO COME CASA MIA. Lo diceva il Mago di Oz, lo dicevano – con parole diverse – anche gli artisti coinvolti nel progetto. L’amore per il proprio territorio non è scontato, soprattutto in questi anni. I media non fanno che raccontare gloriose esperienze di expat, oppure lamentare le misere opportunità offerte ai giovani italiani. Uscire la sera per bere una birra e trovarsi di fronte l’ennesimo amico che annuncia di partire – o per lo meno di voler partire, anche se poi non parte mai – è la norma. Ecco, in un contesto connotato da un simile sentimento di frustrazione e noia, ascoltare così tanti ragazzi dichiarare sincero attaccamento nei confronti della propria città è quanto meno insolito. Stupisce ancora di più se ci si ferma a ragionare sul fatto che i modelli esistenziali e professionali di questi ragazzi non sono nati tra i fossati umidi della pianura padana, ma tra le serrande e i grattacieli della metropoli americane. Si può guardare a New York e a Miami e allo stesso tempo scegliere consapevolmente – serenamente! – di restare a vivere a Comacchio, a Grosseto, a Ferrara? Evidentemente sì, e a ben vedere l’intervento nello spazio pubblico non può che arrivare da un sentimento di affetto. Affetto che non significa accettazione passiva dell’esistente, rassegnazione o mancanza di curiosità verso altri lidi e altri mondi: esistono i treni, esistono gli aerei, la mobilità legata al mondo dei graffiti è diffusa e ben strutturata grazie a una solida rete di festival e iniziative. Ma esiste anche la casa: con tutti i suoi limiti, le sue meraviglie e le sue necessità, a cui forse vale la pena provare a rispondere.

FERRARA, ALLA FINE. Come spesso accade, sono gli “stranieri” a ricordarci o a farci aprire gli occhi sul patrimonio che abbiamo. Nello specifico questo weekend è stato l’entusiasmo di chi arrivava da altre province e altre regioni, e si complimentava con una punta di invidia per quello che ha trovato qui. Avere lo studio di un collettivo artistico insediato negli spazi del vecchio Dopolavoro Ferroviario – Vida Krei, all’interno di Cargo – non è scontato. Come non è scontato che il Comune di una piccola città di provincia decida di documentare e mappare i propri graffiti, finanziando nuovi interventi e predisponendo incontri e dibattiti volti a far conoscere alla comunità il significato e il valore del writing e della street art. In Italia operazioni del genere sono state fatte a Roma e a Torino, ma probabilmente questa è la prima esperienza in un piccolo centro. La mappa – ferrarastreetart.it – è in progress, tuttavia conta già quasi trenta spazi e più di quaranta artisti. Basta darci un’occhiata per rendersi conto della quantità e della qualità dei lavori realizzati nel capoluogo e nella provincia, frutto di iniziative spontanee o private ma anche dell’impegno speso in quasi dieci anni di attività dal progetto GraffiaFe. Ai profani probabilmente non diranno molto i nomi degli autori coinvolti ma spesso si tratta di vere e proprie autorità, riconosciute a livello internazionale, nomi che tra qualche anno entreranno nei dizionari di storia dell’arte.

 

2 Commenti

  1. Robi scrive:

    Mi ha fatto molto piacere l’iniziativa che ha ridato vita alla mia vecchia scuola elementare. Abito vicino e tutte le volte che ci passavo davanti mi veniva rabbia e tristezza nel vedere come un edificio scolastico era brutto tanto quanto era imbrattato. Ho scritto anche alla provincia ma la risposta è stata burocraticamente deprimente “non abbiamo soldi non possiamo farci nulla se i maleducati imbrattano i muri”. Speriamo che altri edifici vengano rivitailzzati in maniera analoga e considero assolutamente positive queste attività anche perchè vedere artitsti al lavoro mi mette di buon umore.

  2. Maxi Sabbion scrive:

    Bel pezzo! Complimenti 🙂 io dall’altro lato del nord est mi occupo di Street padovana & c con Kenny Random, Tony Gallo, Alessio B, Boogie… solo per citarne alcuni. Bello leggere di arte e di artisti. Grazie per l’attenta e curata analisi fatta. Da diffondere e condividere!

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