Se il Burlesque vi sembra una faccenda frivola e vanitosa siete sulla strada giusta. Forse però non sapete una cosa o due sull’argomento. Per Baudelaire (o per qualcuno che gli somiglia molto) Frivolité è un nome odioso dato a preoccupazioni legittime perché corrispondono a bisogni reali e Vanité, demonizzata dai moralisti, è la ricerca dell’approvazione degli altri, quella che nelle grandi cose si chiama amore per la gloria. E il Burlesque è tutto tranne che tette al vento.

Per saperne di più andiamo a casa di Nuit Blanche, che di nome fa Giulia Moser, tra le altre cose insegnante di Burlesque al Caribe Club di Ferrara. Il salotto sembra l’anticamera di un cabaret. E Giulia sembra Kirsten Dunst in tuta da ginnastica. Il grammofono dona un’atmosfera languida. Porzia, la gatta bianca e nera, ronfa felice sul divano.
Il nome di Giulia mi è stato segnalato da Lien Dereere, una che nel mondo del burlesque in Europa conta eccome. Giulia si è esibita da Bologna a Berlino, da Lione a Vienna. E a novembre si è portata a casa ben due corone: premiata come Queen of Neo Burlesque all’Amsterdam Burlesque Festival Award e come Best Classic Act al Milan Extraordinaire Festival. Non ci s’improvvisa regine del Burlesque. Alle sue spalle sfilano dieci anni di teatro amatoriale e danza jazz Forse l’avete già vista nel primo Talentshow di Burlesque su Sky nel 2011. Oppure conoscete le Silk Ribbon Sisters, l’associazione fondata nel 2009 con le sue socie, che si occupa della promozione di eventi, corsi e workshop. Tra una tazza di tè in stile Alice e il Cappellaio Matto celebriamo la rottura di un paio di stereotipi.

Contrariamente a quello si dice in giro, il burlesque è un’arte fatta dalle donne per divertire le donne. «Il Burlesque è un genere femminista» dice Giulia. Stiamo esagerando? Facciamo una rapida valutazione mentale. L’ostacolo più grande da superare per molte donne è di piacere a tutti i costi. L’idea che ogni donna ha di se stessa è determinata dal suo corpo, che lo vogliamo o no, è il nostro complice e il nostro nemico. La valutazione che ne fa il mercato in base agli standard imperanti definisce il valore di una donna. L’adeguamento ai desideri altrui non è un problema solo femminile, certo. Dovremmo tutti smetterla di perdere tempo a pensare a che cosa pensano gli altri. L’autoaffermazione e il rispetto per noi stessi dovrebbero spazzare via l’ansia di piacere. C’è da dire però, sia negli uffici sia sulle scene, gli uomini sembrano liberi di ingrassare e di essere sciatti. Mentre noi o siamo troppo brutte o troppo belle per avere qualcosa da dire. La nostra è una cultura tossica della bellezza. Il Burlesque sembra dire questo è il mio corpo e io mi piaccio così, è divertente perché a farlo sono donne normali.

«Il Burlesque crea unione» spiega Giulia «non competizione, e fa leva sulla diversità di ogni donna. Ognuna di noi è diversa, puntiamo all’unicità. Promuoviamo la diversità, l’autocoscienza, l’accettazione di sé». Contrariamente a quello che si dice in giro, siamo anni luce dallo striptease (che comunque è un’arte anche quella). È un genere complesso nato in Inghilterra come reazione alla rigida epoca vittoriana, quella che copriva anche le gambe dei tavoli per capirsi. Come dice Giulia, in ogni epoca, ad una forte proibizione corrisponde un potente tumulto underground di risposta. Il Burlesque è un mix di teatro, cabaret, satira, danza, mimica, gestualità e giocoleria. L’importante, però, è restare umili. «Alla fine finisci pur sempre con le tette di fuori».

Giulia, com’è la scena a Ferrara?
Sto cercando di costruire la scena qui, faccio difficoltà a trovare la location giusta. Il format vincente sarebbe un locale con bar, cucina, palco e ristorante. Un dinner show o un café chantant sono la formula ideale per uno spettacolo. La formula della cena con intrattenimento si è persa in questa cultura dell’aperitivo. La cultura dello spettacolo italiana è quella dell’applauso solo alla fine e all’inizio, ci portiamo dietro una tradizione molto ingessata. Invece le donne burlesque cercano l’accompagnamento del pubblico, l’incitamento.

Courtesy Giulia Moser

Negli ultimi anni il Burlesque sembra tornato di moda. Il cinema e la TV hanno rispolverato un genere di nicchia, non sempre rendendogli giustizia. Quella italiana è una società adatta ad accogliere e comprendere il Burlesque?
Il Burlesque sarà sempre un genere di nicchia, è troppo punk per essere mainstream. Di certo in Italia domina una mentalità conservatrice ma non avrebbe senso spostarsi a Berlino o Londra. Perché andare altrove? La battaglia è qui.

Come si diventa una donna Burlesque?
L’importante è non prendersi troppo sul serio. Ci vuole coerenza e onestà, se sei volgare lo sei nell’anima. Importante è come lo fai, non cosa. Una donna burlesque è una donna libera, forte, sveglia, ironica e padrona di se stessa. L’intelligenza è sexy.

So che insegni al Caribe Club a Ferrara. Cosa si studia?
Recitazione teatrale, musical timing, coreografia, trucco vintage anni ’20, ’40 e ’50. Abbiamo anche un piccolo laboratorio per personalizzare i costumi. Da questo mese partiamo con i corsi per principianti. La storia del burlesque è importante, bisogna conoscere il punto di partenza delle cose prima di attualizzarle. Bisogna sapere cos’è un café chantant e perché negli anni ’60 il burlesque è entrato in crisi. È successo perché è scoppiato il fenomeno del porno nelle sale cinematografiche, chi andava più a vedere le donne che non si spogliavano neanche?

C’è spazio anche per gli uomini?
Certo. Il Boylesque si sta affermando, soprattutto tra i gay, ma anche tra qualche etero. Gli uomini hanno alle spalle secoli di virilità da sostenere, per loro non è facile sbarazzarsi dei cliché.

Com’è stata l’esperienza in televisione?
Il Talentshow del 2011 su Sky è stato un’esperienza importante. Da un lato la TV è un tritacarne, fa di te un personaggio che il pubblico deve amare o odiare, montando le interviste in modo da farti dire quello che è stato già deciso, da un lato mi ha dato una grande visibilità e la possibilità di lavorare con personalità come Angie Pontani, una stella internazionale, o Dirty Martini.

Cosa pensi di Dita von Teese?
Non è il burlesque che amo. Certo le camminate alla Dita vanno studiate ma mi sembra di scimmiottare un’epoca già passata. Basta con queste gonne a pois, gli anni ’50 non si riducono a questo! Il mio burlesque gioca sulla musica e sugli stereotipi contemporanei.

Quella del burlesque è una sensualità gioiosa e noncurante, manifesto di una femminilità semplice anche sotto ciglia finte, gloss e giarrettiere, antica come il mondo e terribilmente moderna. Perché è quando le donne iniziarono a vestirsi che iniziò il gioco della seduzione.

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