testo e foto di Valentina Mantovani Sarti

Un pasto più che sufficiente e soddisfacente

Così Mario Soldati, nel lontano 1958, definiva la salamina da sugo nel suo splendido programma “Viaggio nella valle del Po”.

Direi che descrizione più azzeccata non c’è. Concisa e in grado di descrivere appieno l’esperienza culinaria che questo splendido insaccato offre. Certo, vi chiederete che diamine di ragionamento profondo possa scaturire da un’agglomerato di carne di porco, vino rosso e spezie racchiuso in una vescica. Questo giunonico insaccato rappresenta molto di più, nel mio immaginario è ormai asceso a simbolo sino quasi a raggiungere le alte vette di una sorta di trasfigurazione laica. E per questo motivo mi riferisco al sopra citato insaccato come Lei.

Malinconia, e pace. Anche quest’anno è finita. I giorni delle abbuffate, scanditi dal vapore che sale dai pentoloni ricolmi di squisito brodo, intervallati da una fetta di panettone e dall’amato sonnellino pomeridiano (uno dei piaceri nascosti che più preferisco) sono finiti. La nebbia continua a penetrare tra le stradine del centro, lasciando l’ingrato compito alla luce soffusa dei lampioni di rivelare le ultime decorazioni natalizie che qualche ritardatario non ha ancora avuto il tempo di riporre nello scatolone per il prossimo anno. La mente ricomincia a rimettersi in moto vorticosamente, saltando da un pensiero all’altro e riprendendo il frenetico lavorio. Ma ecco che, tra la fine di un pensiero e il prossimo, ritorna l’immagine paciosa di una matronale salama da sugo. E tutto si ferma, anche solo per un breve attimo. La tradizione delle mie radici sbuca all’improvviso e riporta a galla le sensazioni sopite delle feste natalizie.

L’elogio della lentezza, il permanere di un momento di stasi. Le attese, le ore del giorno interamente lasciate al proprio volere. Il mondo esterno continua a muoversi intorno a me ma io resto immobile, soave e leggera mi dimeno tra un pranzo con gli amici o i parenti, qualche passeggiata (per aiutare l’organismo a sopportare il suddetto insaccato), letture. La preparazione lenta di un prodotto locale che a partire da materia solida e liquida, con il sapiente trattamento dei salumieri del ferrarese, si trasforma in perfezione. Il tempo scolpisce su di Lei quelle forme morbide che la rendono seducente e voluttuosa, le gentili muffe si depositano sull’esterno, proteggendo il miasma di aromi, sapori, colori che rimangono intatti all’interno. E così in questi giorni passati di feste, nella mia uggiosa Ferrara, chiudo la mente anche io per tentare di riappropriarmi dei miei colori, dei miei sapori. E lascio maturare i pensieri, lentamente come Lei si lascia maturare appesa nelle umide cantine. La nebbia fuori dalla finestra aiuta a smussare i contorni, le forme diventano più lievi e rotonde, qualcosa non è visibile ma non importa. Ed è in questo che Lei, la salamina da sugo e così come Lei gli innumerevoli tesori del territorio ferrarese che ritornano al loro splendore in questo periodo dell’anno, si ergono a simboli.

Attraversando le storie dei ducati estensi, approdano ai tempi attuali dove dai banchetti luculliani alle corti dei duchi passano alle tavole imbandite a festa, tra l’anno passato e quello nuovo che incombe. Una tradizione che riporta i ritmi lenti del passato nella frenetica vita di questo presente: lentezza, pazienza, attesa. Il desiderio dell’attesa, i piatti che lentamente occupano ogni spazio visibile del tavolo, intrecci di mani che si scambiano portate ricolme di sentori della propria infanzia. E con la consapevolezza che un solo boccone di quella dorata salamina ti accompagnerà nella tua notte insonne, intervallata da sogni metafisici e da frequenti sorsate d’acqua. Nonostante ciò, nulla si metterà tra te e Lei. Nulla. E allora, forse anche da qui, dalle innumerevoli lotte tra il tuo apparato digerente e Lei, negli anni hai imparato la forza di volontà e il sacrificio. Un impegno preso si deve onorare. E così ad ogni anno, in un continuo altalenare tra ribrezzo e bramosia, ricado nelle voluttuose forme di questa tradizione culinaria ferrarese, conscia che indulger in questo peccato per un tempo breve e che dovrò godermi ogni boccone.

Perché, e spero di avervi convinto arrivati alla fine di questa elucubrazione, ogni singolo boccone porta con sé storia, tradizione, impegno e sensazioni dimenticate, che almeno una volta all’anno dobbiamo recuperare.

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