Domenica sera Calcutta al circolo Bolognesi. Riordino gli appunti dell’intervista e mi chiedo se a chi legge interesserà sapere del suo amore spudorato per Morrissey, “uno di noi”, o delle giostre che da bambino non poteva frequentare.

A me quello che ha interessato è stato vedere la gente cantare. Credo di non aver mai visto il pubblico del Bolognesi cantare, ma nemmeno quello di Zuni o del Renfe. O per lo meno: non cantare così. Qualcuno che canticchia ogni tanto può capitare, ma lo fa come quando si è per strada, e si avrebbe voglia ma si teme il giudizio e ci si vergogna. Ieri è stata una serata senza vergogna e mi sarebbe piaciuto fare domande a tutti, sapere quando e perché hanno imparato a memoria le canzoni, cosa pensano quando trascinano la u sul “non importa se non m’ami più”. Ma non ho altro che la mia esperienza, e quella vi servo. Ho imparato “Frosinone” durante le vacanze in montagna, da sola, camminando duemila metri sopra il livello del mare per delle ore. La ascoltavo la sera nella mia stanza, e ogni mattina un passo alla volta la mandavo a memoria, che tanto per chilometri attorno non avevo nessuno.

Quando l’ho raccontato a Calcutta sembrava contento di sapere che in quel momento stavo bene, ero felice, che “Frosinone” contiene sicuro un po’ di dolore, ma non solo quello.

La gente vuole stabilire se le cose sono allegri o sono tristi, ma possono essere tutte e due le cose, dipende da chi sei te. Se sei triste pensi che faccio solo pezzi tristi e che io sia malinconico, ma il depresso sei tu. Alla fine trovi quello che cerchi. Credo la grandezza, lo spessore di un prodotto artistico si possano quantificare attraverso la varietà delle sensazioni che dà. Più lo specchio è grande più sono le persone che ci si possono specchiare.

Un modo carino per dire che l’etichetta del “disagio” – appiccicatagli addosso da Repubblica e tanti altri giornali  – ha davvero stancato. Lo stesso vale per l’esasperato Latina-centrismo su cui insistono tante recensioni.

Non ha nessun senso concentrarsi su questo, la gente è pazza. Il posto è importante, ovvio che influenza le cose che fai, ma il centro sono le sensazioni. Ho un amico che viene dalla provincia calabrese, esperto di stregoneria ancestrale, e al prossimo che scrive “disagio” manderò una maledizione.

Foto di Giulia Paratelli

Pacifico su IL ha scritto che gli fai schifo, come Luca Carboni. Questo si può scrivere?

Sì perché è uno schifo buono, lo schifo delle cose un po’ luride. Quella è una delle poche recensioni che ho letto, Pacifico lo conosco, abbiamo amici in comune. Lo stimo e lo rispetto.

calcutta-mainstream-cover“Mainstream” è uscito a novembre, come sta andando il disco?

Non mi aspettavo questo livello di attenzione ma fa piacere, anche se stanca fisicamente. Ieri a Cesena abbiamo dovuto suonare due volte, un po’ come quelli che fanno i matrimoni. Ci abbiamo ironizzato tutta sera. Viva gli sposi! Sono soddisfatto ma in tutto questo c’è anche una componente ansiogena. Non è tanto ansia da prestazione ma paranoia generale. Mi domando, ma non è che la gente si sia sbagliata? Poi quando sono sul palco vedo che stanno tutti bene, sono contenti, mi passa. Non voglio essere populista, ma è bello vedere chi viene ai concerti e sorride. Finché sta bene a loro sta bene pure a me, mi passa l’ansia.

(questo è il momento in cui si parla dell’ansia di quando c’è meno ansia)

Un po’mi preoccupa però il fatto di abituarmi, perché la paura ti tiene dritto. Non vorrei che ne risentisse il live.

Va bene, ma sarai anche contento…

Del disco sì, penso sia coerente. Forse avrei voluto un suono ancora più nitido, spartano. Pop come sono le canzoni di Mc Cartney. La canzone che ho fatto più fatica a finire è stata “Cosa mi manchi a fare”, ed è quella che all’inizio mi sembrava non fosse coerente con il resto… e invece lo è diventata. Avevo ritrovato un video dove la suonavo con una tastiera giocattolo e ci stava proprio bene. Abbiamo provato ad arrangiarla in mille modi diversi ma nessuno valeva come quella tastiera, alla fine l’abbiamo tenuta e ci abbiamo suonato sopra altri strumenti.

Adesso ti faccio venire un po’ di paranoia, così poi il concerto va meglio. Stasera verrà a vederti metà Ferrara e tutti si aspettano tantissimo, sarà un pubblico veramente esigente. Hai già suonato qui?

Ero già venuto qui, per una laurea, mai a suonare. Del pubblico tu scherzi ma è vero. Penso che in questi posti ci sia una cultura musicale diffusa, una grande preparazione. E chi è in grado di giudicare giustamente vuole esercitare il proprio giudizio.

Il concerto è filato liscio, più o meno. Sono stati registrati: uno spettatore andato via prima dell’inizio perché scandalizzato dal ritardo, cinque o sei lamentele perchè suonava troppo pop, due deficienti che evidentemente non avevano ben capito dove fossero e nel bel mezzo di “Gaetano” cantavano “Domenica lunatica” di Vasco Rossi. Tutti gli altri giuravano di tornare a casa a guardare un film.

Il resto sono state divagazioni su Micheal Stipe, “Double Fantasy” di Yoko Ono e John Lennon, “Insieme a te non ci sto più”, Morrissey e autoscontri.

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