Nel suo libro Splendori e miserie del gioco del calcio, lo scrittore uruguagio Eduardo Galeano descrive il calciatore professionista come la vittima di un sistema che si è fatto industria, mortificando la spontaneità del gioco per trasformarlo in un affare lucroso: «Ma lui [il Giocatore]- scrive Galeano- che aveva iniziato a giocare per il piacere di giocare, nelle strade sterrate della periferia, ora gioca negli stadi per il dovere di lavorare ed è obbligato a vincere o…vincere». Anche Carlo Petrini, con il suo Nel fango del Dio pallone, si è incaricato di mostrarci il lato oscuro del calcio professionistico, fatto di ragazzini sradicati dalle loro famiglie e dalle loro realtà e catapultati in un mondo fasullo dove l’inganno, sotto forma di doping o di partite truccate, sembrerebbe essere la regola.

Ma ogni regola ha la sua eccezione e, nel mio caso, ne ho avuta la conferma un pomeriggio di nebbia, andando a trovare, nella sua casa di Calto, in provincia di Rovigo, una leggenda calcio italiano degli anni ‘60, Saul Malatrasi. Ho conosciuto una persona che ha amato profondamente questo sport e che è riconoscente a quell’ambiente cui deve tanto, se non tutto. «È veramente bello giocare a quei livelli- confessa candidamente mentre, circondato dai trofei della sua carriera, mostra con giusto orgoglio le foto del suo sterminato archivio-. Io venivo da una famiglia poverissima, mio padre è morto che ero ancora bambino lasciando mia madre e noi quattro fratelli, ma grazie al pallone ho conosciuto il mondo e ho capito che si impara tanto dalla gente che ha più esperienza di te».

Malatrasi è stato il solo capace di vincere tutto sia con la maglia dell’Inter (la Grande Inter di Angelo Moratti e del Mago Herrera), sia con quella del Milan di Rocco e Rivera. La sua carriera sportiva nel calcio che conta è, però, indissolubilmente legata ai colori, il bianco e l’azzurro, della Spal, con cui esordisce in Serie A, a Ferrara contro la Juventus, il 21 settembre 1958 e dove torna, ormai carico di gloria e di trofei, nel 1970 per giocare gli ultimi due anni prima del ritiro. «Ho iniziato nel Castelmassa. Avevo sedici anni ed ero già capitano della Rappresentativa del Veneto. Un giorno giochiamo contro la Rappresentativa emiliana e mi notano gli osservatori di Paolo Mazza, che mi portano subito alla Spal, dove sono rimasto tre anni, dal 1956 al 1959, salendo ogni anno di un gradino, fino ad arrivare alla prima squadra». Saul racconta un episodio che la dice lunga sulla passione che lega i ferraresi alla Spal: «I primi anni giocavo nella De Martino, la squadra che partecipava al campionato riserve, e ogni giovedì a Ferrara c’erano circa cinque mila spettatori a vedere le nostre partite, una cosa impensabile oggi. Nella De Martino giocavano alcuni calciatori della prima squadra, per lo più infortunati che dovevano recuperare il ritmo- partita, e quattro o cinque ragazzi, tra i quali io. Quando uno dei titolari giocava male, si sentiva gridare dal pubblico: “Fa zugàr cal putin lì ‘à dmenga! Tira zò cal bidòn!”. E questo per noi ragazzi era di grande incoraggiamento».

Foto di Piero Cavallina

L’esordio in Serie A, a dir la verità, non è stato dei più promettenti. A Ferrara arriva la Juventus di Boniperti e Charles: uno squadrone. «Il sabato prima della partita io e il mio compagno di squadra Vitali andiamo in stazione a prendere l’arbitro Marchese, un omettino coi baffi che veniva da Napoli: “A guagliò– mi fa- debutti domani, mi raccomando!”. La notte prima della partita aveva piovuto e il terreno era viscido; il mio avversario, Stacchini, era un giocatore tutto finte e dribbling e, all’ennesima finta, abbocco e lo butto giù. Espulso! “Sono rovinato”, penso. Per fortuna l’arbitro, che mi aveva conosciuto e sapeva che ero un debuttante, non mi ha squalificato e, così, ho potuto giocare la domenica successiva a Trieste, dove abbiamo vinto. Magari se avesse giocato un altro, la mia carriera avrebbe preso un’altra piega».

L’anno dopo Malatrasi è ceduto per ottanta milioni alla Fiorentina, facendo le fortune di Mazza, che lo aveva acquistato per cinquecento mila lire, e trova come allenatore un certo Hidegkuti, centravanti della Grande Ungheria di Puskas, uno dei migliori attaccanti del dopoguerra insieme a Di Stefano. Ha inizio una carriera sfavillante che dalla Fiorentina (con cui vincerà nel 1961 una Coppa delle Coppe) lo porterà, dopo una parentesi di un anno alla Roma, all’Inter del Mago Herrera («Uno spilorcio- confessa ridendo- quando si andava a prendere un caffè insieme lasciava sempre pagare agli altri») e poi, nel 1967 al Milan di Rocco. Unico rimpianto, aver dovuto saltare il Mondiale del Cile nel 1962: «Quella avrebbe dovuto essere la mia grande occasione in Nazionale- commenta Malatrasi- Il commissario tecnico era proprio Paolo Mazza, che mi aveva garantito il posto in squadra perché aveva bisogno di un jolly difensivo come me». Poche settimane prima di partire per il Cile, però, in una partita di campionato contro il Napoli, Saul s’infortuna gravemente e vede sfumare il sogno azzurro.

Al Milan disputa quella che è passata agli annali come una delle partite più violente della storia del calcio. Siamo nel 1969 e, dopo aver vinto la Coppa dei Campioni contro l’Ajax di Cruijff a Madrid, i rossoneri giocano la doppia finale dell’Intercontinentale contro gli argentini dell’Estudiantes. Dopo un facile 3-0 a Milano, il Milan vola a Buenos Aires per la gara di ritorno, che si annuncia una formalità. In realtà si tratta di una vera e propria corrida: «Già negli spogliatoi gli argentini ci hanno accolto a sputi- ricorda Malatrasi-. Noi siamo entrati in campo per primi con la bandiera dell’Argentina (si giocava alla Bombonera, il leggendario stadio del Boca Juniors), e poi sono arrivati gli avversari, ognuno con un pallone in mano e ce l’hanno tirato sul muso. Inizia la partita e dopo pochi minuti passiamo in vantaggio con un gol di Rivera e da li in avanti è successo il finimondo: calci, pugni, pestoni, un arbitraggio vergognoso. Alcuni giocatori dell’Estudiantes subirono lunghe squalifiche dopo quell’incontro, altri furono addirittura arrestati per comportamento violento». A fare le spese di questo clima da caccia all’uomo fu soprattutto l’attaccante del Milan, Nestor Combìn, francese di origini argentine che, terminata la gara, fu arrestato con l’accusa di renitenza alla leva. «Per fortuna alcuni ex calciatori argentini che avevano giocato in Italia, come Sivori e Maschio, si sono dati da fare e, alla fine, la polizia l’ha rilasciato. Il dramma più grosso, però, è stato quando Combìn è risalito sul nostro aereo, dopo due ore che aspettavamo in pista e, a un certo momento, l’hanno richiamato giù: non voleva più scendere e ha cominciato a piangere come un bambino. Quella scena me la ricorderò sempre, a volte la sogno di notte».

Malatrasi racconta queste esperienze con una leggerezza disarmante («Quando uno c’è abituato…», ci ride su) e dalle sue parole è come se prendessero vita le ombre di quei miti del passato che avevo conosciuto soltanto leggendone negli almanacchi o in tanta letteratura. Di Stefano, Pelé, Eusebio, Cruijff, George Best: tutti campioni che Saul ha affrontato in carriera, anche se, inaspettatamente, quando gli chiedo quale sia stato l’avversario più difficile, mi sorprende con un nome a me sconosciuto: «C’era un certo Albert, nazionale ungherese che giocava nel Ferencvaros, che sembrava Van Basten, era molto alto ed elegante nei movimenti e mi ha fatto impazzire».

Nel 1970, Malatrasi torna alla Spal, in Serie C, per concludere, due anni dopo, la carriera. Appese le scarpe al chiodo, rimane a Ferrara, per fare da vice a Mario Caciagli, in quella che è stata, forse, la Spal più amata di sempre dai suoi tifosi. «Caciagli è stato l’unico allenatore che sia riuscito a tener testa a Mazza- commenta- Avrebbe meritato di allenare ad alti livelli, ma era uno che diceva pane al pane e vino al vino e questo non gli ha giovato. Un giorno (campionato di Serie B 1974-75) il presidente mi chiama e mi fa: “Saul, io lo caccio via e l’allenatore lo fai tu!”. “No presidente”, rispondo io, “se caccia Mario me ne vado anch’io”…e Mazza cacciò entrambi». Dopo quell’esperienza, Malatrasi ha continuato la carriera da allenatore fino ai primi anni ‘90, senza, però, la stessa fortuna che ebbe come giocatore.

Oggi, a quasi ottant’anni, vive nella sua Calto, nella casa che si è costruito grazie ai guadagni da calciatore e, ogni tanto, riceve la visita di qualche giornalista o di qualche nostalgico che si spinge fino in questo lembo di polesine per ascoltare i suoi mille aneddoti di un’epoca irripetibile per il calcio. A Ferrara è rimasto molto legato: in città vivono sua figlia e il suo nipotino che, non poteva essere altrimenti, è tifosissimo della Spal. Prima di andare non posso sottrarmi dal fargli la domanda fatidica: quest’anno la Spal ce la farà a salire in B? «La Spal quest’anno è squadra, per me può essere l’anno buono!». E se lo dice Malatrasi, c’è da sperarlo davvero!

Nel salutarci, gli chiedo se ha conosciuto Carlo Petrini: «Certo- risponde- siamo stati compagni al Milan nella stagione 1968-69. “Pedro” era molto giovane e molto irrequieto, ma io ero uno dei pochi con cui andava d’accordo, anche perché cercavo sempre di dare qualche consiglio ai più giovani. Lo dice anche nel suo libro». E, infatti, sfogliando Nel Fango del Dio Pallone, trovo questa frase in cui Petrini scrive: «All’interno della squadra c’erano luci e ombre. Sormani, Malatrasi e Hamrin erano le luci: tre uomini nel vero senso della parola, sempre pronti a dare consigli a noi giovani…». Un bell’omaggio per il calciatore e per l’uomo.

 

6 Commenti

  1. Giorgio78 scrive:

    Un grandissimo articolo per un grandissimo uomo.

  2. Siimone Airoldi scrive:

    Ho letto questo articolo con grande interesse, mi avrebbe fatto piacere conoscere personalmente il signor Malatrasi nei miei anni a Ferrara, sono sicuro che da lui avrei imparato molto. Forza Spal!

  3. beppe scrive:

    a malatrasi per la sua tenacia e caparbietà si dovrebbe elogiarlo maggiormente visto le vittorie conseguite

  4. marino murzilli scrive:

    Grande uomo e grande Mister!!!!!

    Marino Murzilli

  5. Roberto Cambise scrive:

    Grande Malatrasi.Ho fatto tifo per lui prima come giocato del Milan e poi ha allenato L Angizia!!!

  6. Mario scrive:

    Grande giocatore è grande persona, un onore averlo avuto come allenatore nel nostro paese, la grande Angizia luco, ricordo che era molto amico di mio nonno, la sera giocavano sempre a carte al corallo….un saluto da Mario..

Lascia un commento

Prima di lasciare il tuo commento, ricordati di respirare. Non saranno ospitati negli spazi di discussione termini che non seguano le norme di rispetto e buona educazione. Post con contenuti violenti, scurrili o aggressivi non verranno pubblicati: in fondo, basta un pizzico di buon senso. Grazie.