Ma alla fine, questo albero di Natale di vetro, era bello oppure no? Mi rimane il dubbio, mentre sto scegliendo quale cartuccia prendere per la mia stampante, nelle corsie del Mediaworld durante un sabato pre-natalizio. Non riesco a decidermi, quelle di marca sono più affidabili, però vuoi mettere quelle compatibili, la compatibilità viene sempre via a meno, di questi tempi, e poi questo albero, di vetro di Murano, ma siamo a Ferrara, ma è Natale, ma è un espediente per attirare l’attenzione, in una città turistica (Ferrara, dico, non Murano) (anche se pure Murano è turistica, a pensarci, e Ferrara è molto più città), per far parlare di sé, di noi, basta che se ne parli, dicevano i saggi esperti di marketing, basta che funzioni, diceva invece Woody Allen, quando non parlava di frittate e di uova e di Annie. Non riesco a decidermi, se questo albero nuovo serve a illuminare il Natale, o il Natale a Ferrara, o il Natale a Ferrara sui social, sono tre piani che collimano per un lato soltanto ma in fondo sono sfasati, e poi perché bisogna incentivare il lato turistico di una città che di turistico ha ben poco: resti di un’antica civiltà che è scappata a gambe levate, dai papi dalle paludi dai terremoti, e ci ha lasciato ricordi, blasone, monumenti e soprattutto noi stessi, che senso ha accendere i riflettori su qualcosa di così effimero come i riflessi colorati sul vetro quando Ferrara è prima di tutto una città condannata a tralasciare il presente e ricordare eternamente il passato? E soprattutto, qual è il modello esatto della mia stampante? Non faccio in tempo a chiarirmi le idee che vedo tutti attorno a me fuggire verso le uscite di sicurezza, vedo lontano banditi che impugnano mitra e cassiere che stanno probabilmente ripercorrendo tutta la loro vita sollecitate dal calco freddo e acido di una pistola puntata sulla nuca. Così mentre torno a casa, passano i giorni e non so decidere di questo albero, di Murano, della laguna, della nebbia che pure a Murano è fitta come a Ferrara, e nasconde il presente, e ci rimane soltanto il passato, e forse allora non è esattamente l’albero di Natale più indicato, per alimentare l’economia di scala, e il turismo, e forse stiamo vendendo ai francesi che soggiorneranno qui per Capodanno l’idea che vogliamo, vorremmo avere di Ferrara, quando invece la realtà è, ma aspetta, «non voglio più straccioni nel mio liceo», leggo sul giornale, e penso che è stato anche il mio, di liceo, ma non come preside, come studente, e forse ancora più mio di un dirigente scolastico, e leggo che trattasi di scuola “in”, che forma la futura classe dirigente della città, e l’albero di Murano di vetro inizia a sembrarmi sbeccato, io non sono finito a dirigere nulla, il traffico, le scuole, le mie ansie, lascio sempre molto fare, specie in questo 2015 uscito da un’idea di Stefano Accorsi, alle circostanze, ma sarà bello questo albero, alla fine? E questa rapina, e ora questi jeans degli studenti di un liceo, non sarà che l’unica vera attuale contemporanea eccellenza del nostro territorio patrimonio Unesco non consiste nella produzione seriale di argomenti di conversazione per il pranzo natalizio?

Siamo così bravi, molto più degli Estensi, a girarci intorno, alle cose, ad accettarle, le circostanze, a far apparire dal nulla conversazioni basate su rapine nei sabati pre natalizi, proclami di buon costume lanciati da presidi, alberi di Natale di vetro allestiti per far parlare di noi, ma noi, ecco, questa parolina, non ricorderò il nome della mia stampante ma noi, sì, di noi ora mi ricordo. Noi dove siamo finiti? Condannati dentro una bolla di vetro di Ferrara, pienamente autoctona, a non esistere, a essere rifratti tra i riflessi delle conversazioni estemporanee che la cronaca locale sa regalarci e noi sappiamo far lievitare meglio del pasticcio ferrarese, noi schiacciati da un passato che si frappone tra noi e i turisti, noi e la realtà, noi e i muri del Castello larghi tre metri, larghi venti chilometri, muri impenetrabili, nemmeno dal terremoto, nemmeno dai botti di fine anno, che si sostituiscono sempre alle nostre pulsioni, ai nostri pensieri, alle nostre dinamiche emotive, sociali, produttive, Ferrara da fuori sembra solo il riflesso di un’epoca perduta, e noi, noi che invece beviamo da bicchieri di vetro non di Murano, noi che rompiamo bottiglie di birra sui sagrati non di Murano, noi che prepariamo il latte per i nostri figli prendendolo da contenitori di vetro non di Murano, noi non ci siamo mai. Ci sono le nostre opinioni, ecco, ma sono solo la copia di mille riassunti, come cantava Samuele Bersani l’altra sera, poco prima di Natale, al Clandestino, sovrastando la telecronaca muta di un posticipo serale qualunque, ecco, noi potremmo essere, casomai interessasse ai turisti che vengono qui per il vetro di Murano, durante Natale, quelli che ascoltano Bersani durante Inter-Lazio, e non ci trovano nulla di strano, e anzi si mettono a canticchiarlo pure, guarda, hanno espulso qualcuno, hanno segnato, taglia bene quell’aquilone.

Disegnare le cose per quello che sono, ho scritto su tutti i biglietti di auguri di regali che mi guardo bene dal consegnare, e terrò gelosamente dentro la mia credenza per tutto il resto dell’anno: e quindi il Natale è il presepe, è la nascita (vera o presunta tale poco conta, ai fini del significato) di un tizio che ci può più o meno stare simpatico, ma è il suo, di compleanno, se ancora il vocabolario ha un senso, che ci piaccia o no. E Ferrara è di Ferrara, e dei ferraresi, e non degli Estensi, o di Murano, se ancora un giornalismo, una narrazione, una comunità, una città ha senso, che ci piaccia o no.

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