La scorsa settimana al civico 34 di via Medini è stato inaugurato un nuovo spazio di vicinato, un luogo dove le 300 famiglie del caseggiato più grande della città, gestito dalla cooperativa Castello, possono liberamente incontrarsi come facevano quarant’anni fa, quando l’insediamento è stato costruito e c’era molta più socialità. Alle pareti del nuovo spazio ci sono delle foto, perché è partendo dalla memoria degli abitanti che il quartiere sta costruendo il proprio futuro.

Saverio è seduto sul divano di casa, sembra assorto, guarda un punto imprecisato davanti a sé. Accanto a lui c’è un cuscino.
“E’ quello su cui la moglie, che ora non cè più, faceva il pisolino pomeridiano – spiega Giacomo – lui lo ha scelto come oggetto della memoria”. Giacomo Stefani è un operatore sociale ed un fotografo, che per alcuni mesi ha osservato da vicino la vita di via Medini.

“Sono riuscito ad entrare con una certa facilità – spiega Giacomo – grazie al precedente lavoro svolto dalla cooperativa Camelot e dalle ragazze del Teatro Nucleo. Già da qualche mese l’attività del progetto Porte A.per.Te scorreva tra i palazzoni di via Medini, quindi io sono stato presentato ai vari interlocutori inizialmente da persone che avevano già seminato un bel clima di fiducia e di partecipazione. Poi, durante lo svolgimento del mio progetto, ho proseguito ed incentivato queste conoscenze”.

Andreina che sorride orgogliosa accanto al disegno di Dragon Ball fatto dal nipote è un momento molto più intimo di quanto non si possa immaginare. Il nipote ora non c’è più, e lei è l’immagine della nonna di tutte le nonne, che pur ignorando la storia dei manga giapponesi, tiene al disegno come alla cosa pià cara perché fatto dalla persona che amava e che ha perduto.

Viste da vicino, sono tutte vite comuni e assieme straordinarie, ma perché tutta questa attenzione attorno a questa via nascosta dal verde, che segna il confine tra i quartieri di Doro e Barco, alla periferia di Ferrara?

Foto di Stefania Andreotti

Il primo motivo, come detto, sono le dimensioni che ne fanno una delle più grandi aree residenziali della città, e quindi con un maggiore rischio di disgregazione dei rapporti, e l’altro, l’invecchiamento dei suoi abitanti.

Quando era stato costruito nel 1979, il complesso di via Medini aveva accolto i tanti che avevano risalito lo stivale per venire a lavorare nella fiorente industria chimica di Pontelagoscuro.

Courtesy Giacomo Stefani

I primi erano stati anni di grande condivisione e socialità. Con cocomerate di Ferragosto al centro della via, cene tra vicini, sedie fuori dalle porte, sotto gli alberi, per farsi compagnia. Poi il tempo è passato l’età è aumentata, e con essa i bisogni. Per questo, Comune di Ferrara, ASP ed Azienda USL, la primavera scorsa, hanno avviato un’attività di facilitazione per raccogliere le nuove esigenze degli inquilini e rispondere alle loro richieste. Per farlo, si sono avvalsi del supporto della cooperativa Camelot, che da anni svolge mediazione sociale nel rione, e del Teatro Nucleo, oltre che di singoli cittadini e realtà della zona.

Sono stati organizzati vari momenti di condivisione, confronto e ideazione, come camminate di quartiere, feste tra le case, laboratori teatrali, interviste video, riunioni di abitanti, tutti parte del progetto Porte A.per.Te, nato nell’ambito del percorso regionale di partecipazione attiva Community Lab. La richiesta più frequente raccolta dagli operatori che hanno seguito gli abitanti, è stata quella di tornare a stare assieme, a vivere di più in spazi comuni, come accadeva all’inizio. Ed è così che, grazie ad un ambiente messo a disposizione dalla cooperativa Castello, ed un contributo del Comune, si è arrivati, lo scorso venerdì, ad inaugurare la nuova “casa del quartiere”.

Questo spazio di vicinato, sembra un faro nella nebbia. L’unica luce accesa all’imbrunire, sotto l’intrico dei rami che sovrastano la lunga strada che corre in mezzo ai condomini.
Sulla porta c’è Loredano. “Mi sarei aspettato più partecipazione – dice – qui vivono 300 famiglie ed ora siamo in venti”. Chi ha profuso il proprio impegno nel percorso partecipato, oggi vorrebbe già veder rivivere i momenti di socialità passata. Invece ricostruire la rete dei rapporti, richiede più tempo. Ma i primi segnali ci sono. Alla festa di inaugurazione gli abitanti leggono i ricordi che hanno raccolto nel laboratorio teatrale condotto da Natasha Czertok e Greta Marzano, parlano di quando nella zona si diffondeva l’odore di mandorla amara, ed invece era cloruro di vinile, e delle visioni suggestive per il futuro, come gli scivoli per collegare le case fra loro. Queste suggestioni sono emerse nel corso del laboratorio teatrale sulla memoria del quartiere “Teatro tra le case”, condotto dal Teatro Nucleo, che ha anche coordinato le riprese del video “Abitare al Doro” di Martina Pagliucoli, oltre che la ricerca fotografica di Giacomo Stefani.

Foto di Giacomo Stefani

“Alle persone che ho ritratto – racconta Giacomo – ho chiesto di pensare ad un “oggetto della memoria”, che testimoniasse il loro vissuto in quei luoghi e a cui fossero particolarmente legati, insomma che in qualche modo li rappresentasse. E’ stato emozionante vedere come dietro a oggetti all’apparenza banali o anonimi, si celassero ricordi così intensi. In alcuni casi l’oggetto apparteneva alla persona più cara che non c’è più, in altri aveva effettuato innumerevoli traslochi, altre volte ancora rappresentava la propria realizzazione personale”.

Tra le foto esposte nello spazio di vicinato, ci sono anche delle vedute esterne.

Foto di Giacomo Stefani

“In parte si tratta di piccole stampe a pellicola risalenti al ’79, e custodite dall’archivio dell cooperativa Castello, in cui i luoghi erano spogli e ancora privi di vita, in grande contrasto con il calore tipico della pellicola. Partendo da queste “memorie dei luoghi” la mia indagine si è diretta verso la ricerca dell’identità di questi spazi, di come negli anni siano stati caratterizzati dalle persone che li hanno abitati. Una cosa che salta all’occhio è di come questa area sia stata interamente circondata dal verde, donandole un’atmosfera ricca di contrasti, dettati dalla rigidità delle architettura che si rapporta con l’ambiente in continuo mutamento”.

Che effetto ti ha fatto il quartiere?

“Il quartiere è particolare, una zona franca un po’ al di fuori delle classiche dinamiche che caratterizzano i dintorni: qui la presenza di immigrati e di giovani è molto inferiore rispetto ai quartieri che la circondano. Molti non si conoscono ancora, per via del ricambio che c’è stato negli ultimi tempi, mentre altri si sono legati da amicizie di una vita”.

Il complesso è stato concepito per dare alloggio a chi, pur non potendo permettersi una casa di proprietà, nemmeno aveva diritto agli alloggi popolari.
“Chi entra qui – dice Daniele Guzzinati, presidente della cooperativa Castello – può rimanerci tutta la vita con un canone d’uso convenzionato, controllato dal Comune e dalla Regione”.

In realtà l’ampliarsi di questa fascia intermedia di popolazione, sta portando molti giovani a ripopolare gli appartamenti. Come Cristian, classe 1980, educatore e attivista politico, che dopo esserci cresciuto, ora vive in un mini appartamento in via Medini perché vuole rimanere vicino agli affetti che lo circondano da sempre.

“La cosa bella che ho visto – conferma Giacomo – è la voglia che molti degli abitanti hanno di far rivivere le atmosfere che caratterizzavano i primi periodi di vita, lo spirito cooperativo che la distingueva dalle altre dimensioni abitative, la proprietà indivisa che sta tornando ad essere una risorsa n questo periodo di crisi economica. I primi passi verso questa prospettiva nuova sono stati fatti assieme, ora gli spazi condivisi sono vari e diversi, la disponibilità del comune e della cooperativa Castello c’è stata, adesso la speranza è quella che gli abitanti li facciano fruttare per creare maggiore coesione e solidarietà tra di loro”.

E per fare quel famoso barbecue condominiale invocato da tutti e al quale ci piacerebbe tanto partecipare.

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