«Passi dal Pachi a prendere la ricotta?»
«Ok. Prendo anche due birrette. Ti servono filtrini? »
«Nope»

Sabato sera, via Mortara, ore 21:45. A quest’ora è troppo tardi per comprare qualsiasi cosa. E la cena è ancora tutta da mettere in piedi. Il titolare del minimarket mi conosce bene. Scatolette di tonno, Colgate, birra fredda. Certo non ci ho mai fatto una spesa vera e propria. Si contano di più le emergenze delle spese fatte come si deve, con la lista delle cose da prendere scritte in un foglio piegato in quattro. Insomma, per fortuna ci sono loro, i Pachi. Tutti ne parlano, nessuno sa di cosa parla. Chi sono, da dove vengono, perché tengono aperto fino alle 23, come funziona la storia degli alcoolici dopo mezzanotte?

«Sono le stesse domande che mi sono fatto io» dice Nicolas Frizziero «Chi sono questi imprenditori, da dove arrivano, quali cambiamenti provocano nelle dinamiche di una città?». Nicolas ha osservato per sei mesi (settembre 2014 – marzo 2015) la situazione di via Cortevecchia, dal giorno dell’apertura del diciassettesimo minimarket bangladese in città. Ha intervistato commercianti, imprenditori locali e studenti universitari, confezionandoci una tesi di laurea in Scienze e Tecnologie della Comunicazione (“CORTEVECCHIA, La trasformazione sociale di un’area urbana ferrarese dopo l’insediamento di un minimarket bangladese”).

La prima cosa da sapere è che i Pachi non sono Pachi. La loro Heimat, infatti, è il Bangladesh. Chi sono questi nuovi attori sociali e da dove vengono?

Provengono da un Sudest asiatico povero, scosso da continui cambiamenti climatici, in una situazione di forte immobilismo sociale e inattività lavorativa. L’emigrazione è diventata una consuetudine, soprattutto in Inghilterra. C’è da dire che solo le famiglie agiate possono permettersi di emigrare. All’interno di una famiglia dalla struttura patriarcale è il primogenito maschio a partire, di solito per l’Inghilterra. I gestori del minimarket di via Cortevecchia hanno vinto un bando per gestire l’attività commerciale, dato che il negozio è di proprietà del Comune.

Come si passa da immigrato semplice a imprenditore immigrato?

C’è stato sicuramente un passaggio di stato. La crisi economica ha colpito anche la comunità bangladese: dopo anni di lavoro umili e sfruttati si è ritrovata senza occupazione. Grazie all’auto mutuo soccorso finanziario ha saputo reinventarsi, ricominciando una nuova vita con il minimarket. Spesso ci sono più punti vendita gestiti da una sola famiglia o da un unico gruppo di persone.

Quanti bangladesi ci sono nella nostra regione?

L’Emilia Romagna conta 6000 immigrati bangladesi e a Ferrara si registra il punto più alto, in crescita del 18%, secondo i dati Istat del gennaio 2015, mentre a Bologna si regista un calo del 0,1%.

Come mai hai scelto il negozio di via Cortevecchia per la tua ricerca?

È un buon campione rappresentativo. L’esercizio di Cortevecchia presenta le classiche caratteristiche con cui si possono confrontare gli altri minimarket presenti nel territorio ferrarese: posizione strategica di facile raggiungimento e di continuo passaggio, piena disponibilità di servizio con orario di apertura continuato dalle 9:30 alle 24:00, anche nei giorni festivi, prezzi dei prodotti bassi e competitivi, merce in vendita di tutti i generi. Si tratta di una piccola economia di quartiere in competizione con bar e mini market. Gran parte dei guadagni di questi minimarket avvengono grazie alla vendita di alcolici, soprattutto a studenti. Il mercoledì universitario è la serata ad altissima frequentazione.

Foto di Johnny Lodo

Come ha inciso l’apertura del minimarket nello spazio urbano di via Cortevecchia?

Il rapporto che si può sviluppare in uno spazio urbano tra la comunità degli imprenditori immigrati e quelli locali è delicato. E’ facile accusare l’imprenditore immigrato di invadere gli spazi autoctoni. Gli immigrati riempiono in maniera spesso creativa spazi svuotati da altri. Ad ogni modo Il minimarket è diventato il punto di riferimento principale del flusso serale di studenti. Prendere la birra “dal Pachi” è diventato un vero e proprio rito.

Gli attori sociali in gioco sono tre: i bangladesi, gli studenti e i commercianti locali. A questo punto le domande sono tante. Tra gli attori sociali si può parlare di conflitto vero e proprio? Il caso della vendita di alcolici provoca davvero una riduzione della clientela ai titolari dei bar della zona?

Per gli studenti il minimarket offre un servizio economico e dilatato in termini di orari, che a Ferrara mancava. Gli altri esercizi commerciali di questa zona sono probabilmente fuori target per gli universitari. Le testimonianze dei commercianti locali, però, rivelano malumore e nervosismo. Questioni di aspetto concorrenziale e competitivo si mescolano ad argomentazioni legate all’integrazione e a questo nuovo aspetto multiculturale che sta prendendo piede anche a Ferrara. Alcuni commercianti, come i gestori di ristoranti e macellerie, non sentono il peso della concorrenza, ma considerano comunque il minimarket fuori posto. Non è il posto giusto per loro qui”, mi ha detto uno di loro “questa è una via di negozi alimentari di ceto medio alto”.

E cosa ne pensano i gestori del minimarket bangladese di questa situazione?

Per loro l’accusa di vendita sleale è fuori luogo. Sentono di offrire un servizio che mancava e di cui la gente ha bisogno: apertura ad orario prolungato e prodotti alimentari a basso prezzo.

In che modo possiamo evitare che il malumore si trasformi in una situazione di conflitto?

Il problema è che non si sono attivate politiche sociali e di mediazione tra i gruppi sociali coinvolti. La trasformazione del tessuto sociale di un territorio può portare a delle frammentazioni sociali e al conflitto vero e proprio. Sono le istituzioni locali le responsabili dei processi di inclusione e sono loro a dover promuovere azioni per facilitare la convivenza tra immigrati e locali. Resta dunque da vedere quale sarà il ruolo degli amministratori: se si faranno carico della situazione intraprendendo politiche di inclusione e mediazione tra le due comunità, oppure se abbandoneranno Cortevecchia a se stessa.

Intanto la vita continua a scorrere come sempre, i bangladesi continuano a lavorare quindici ore al giorno e gli universitari continuano a chiamarli Pachi. E a volte capita anche qualcosa di nuovo. Capita che un locale gestito da immigrati faccia del bene ad un’attività commerciale del posto. Ad agosto in via del Turco è spuntato un nuovo esercizio bangladese, si chiama Mia Birreria e vende solo alcolici dalle 22 alle 2. Pare che quest’estate la storica Creperia di via del Turco abbia spalmato più Nutella del solito.

1 Commento

  1. andrea strocchi scrive:

    Ottimo! Sarei curioso, personalmente e professionalmente, di leggere la tesi di Frizziero.
    E’ evidente come questi negozio abbiano sostituito, nella logica commerciale, i nostro vecchi “generi alimentari”. Sono un necessario contrappeso allo strapotere della grande distribuzione. Un servizio al residente, spesso anziano, spesso economicamente disagiato. Definirli ‘spacciatori di alcolici’, come capita di leggere e ascoltare, è nella rappresentazione collettiva una facile forma di scaricabarile. Il soggetto terzo in questo caso non fa altro che svolgere il proprio lavoro di commerciante un un’area governata dal libero mercato. Se poi vogliamo utilizzare stigma, leggi, ordinanze, ammende e quant’altro per nascondere l’incapacità della società educante entriamo in un altro campo di discussione, l’unico lecito in questo caso.

    .

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