La rete rimane ben salda sotto il trapezista. Gli anni trascorrono e la sua funzione non cambia. Proteggere dalla caduta chi ha perso tutto, perfino i requisiti minimi per ottenere il gratuito patrocinio in un processo. Mentre il nucleo della propria esistenza è circoscritto dai confini di tre parole. ‘Senza fissa dimora’. Se il trapezista è la popolazione degli ultimi costretti a fare i salti mortali per la ricerca di un pasto e di un letto, la rete è quel servizio che tenta di restituirle i più elementari diritti. «Noi siamo la rete che sta sotto il trapezista», mi aveva detto un paio d’anni fa Raffaele Rinaldi, direttore dell’associazione Viale K e coordinatore dello sportello ferrarese dell’Avvocato di strada. Per tracciare un bilancio di questo prezioso servizio a Ferrara, sono tornato da lui. L’occasione per incontrarlo di nuovo è offerta dai dieci anni che l’attivazione dello sportello è destinata a compiere nella città estense, a ottobre.

Quante persone hanno bussato a questa porta nell’arco di dieci anni?
«A bussare ed essere seguite lungo il loro percorso sono circa centoventi persone. Poi ce ne sono circa ottocento che abbiamo ascoltato e poi dirottato verso il gratuito patrocinio».

Le esigenze delle persone sono cambiate con l’aggravarsi della crisi?
«Sì, sono ormai sette anni che perdura una crisi che ha colpito prevalentemente il ceto medio-basso. L’Istat ha individuato nel 2014 un crollo dei consumi alimentari, senza che venga accompagnato da un calo dei consumi dei beni di lusso. Quello che si nota non è tanto la povertà che coinvolge chi vive nell’emarginazione, ma i così detti impoveriti. E le esigenze sono cambiate. Qualche giorno fa un piccolo imprenditore mi ha raccontato di essersi dichiarato evasore e di avere chiesto di potere usufruire della messa in prova. Un istituto, previsto per reati con una pena non alta, che consente all’autore di svolgere prestazioni di pubblica utilità a favore della comunità. Lavori da svolgere anche in enti di volontariato. La scorsa settimana un pensionato anziano, con un figlio adulto disoccupato, dopo essere stato colto in flagrante a rubare del formaggio, mi ha chiesto informazioni, anch’esso, per accedere alla messa in prova».

Quanti sono gli avvocati che qui hanno dedicato e dedicano volontariamente tempo ed energie?
«Adesso sono tre che ci danno una preziosa mano, oltre a un paio di praticanti e a due che ci aiutano da esterni. In passato ne abbiamo avuti altri cinque. Tutti che collaborano gratuitamente. Mi piacerebbe poter contare anche su altri avvocati. Sarebbe bello poi creare una collaborazione con l’Università».

Le tutele richieste riguardano più il settore civile o penale?
«Se facessi una statistica, direi che per l’ottanta per cento il settore coinvolto è quello civile. Penso, per esempio, alle questioni legate alla residenza, oppure ad assegni di mantenimento dopo cause di separazione. Per i restanti casi di diritto penale, mi vengono in mente per lo più furti di lieve entità».

Quali sono i diritti collegati alla residenza?
«Io definisco la residenza la madre di tutti i diritti. Grazie a essa si può accedere al diritto alla salute per via della tessera sanitaria. Poi c’è il diritto al lavoro. E anche il diritto al voto».

L’età, la provenienza, l’estrazione sociale sono ancora fattori discriminanti, oppure la povertà è un fenomeno trasversale?
«Trasversale. Anche persone insospettabili possono trovarsi in situazioni di povertà».

Attualmente quante persone sono seguite dallo sportello?
«Nei primi tempi, il trend era di circa venti persone all’anno. Lo scorso anno ne abbiamo seguite quarantacinque. Nel primo semestre del 2015 abbiamo già sorpassato la ventina».

Quando è stato introdotto il reato di clandestinità, quante persone straniere si sono rivolte qui?
«In realtà, non tante. Si trattava di persone che già vivevano in condizioni di marginalità. Paradossalmente quella norma, che intendeva scoraggiare la clandestinità, l’ha invece agevolata».

Sei ancora in contatto con chi ha lasciato Ferrara, dopo l’assistenza dell’Avvocato di strada?
«Sì. C’è chi ha messo su piccole attività con cui riesce a vivere. E c’è anche chi, a distanza di tempo, ritorna a Ferrara dopo essere stato seguito fuori da qualche altra associazione».

Dopo avere ascoltato tante storie attraversate dalla povertà, cosa ti ha insegnato questa esperienza?
«Che occuparsi di lotta quotidiana alla povertà non deve essere un semplice atto caritatevole, ma uno strumento di giustizia. Non è soltanto filantropia, ma è un’occasione per restituire un diritto».

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