Traduzione italiana dell’articolo “A Writer’s “Tomb of Words, and the People Who Took It Personally”, di Michael Z. Wise, comparso sul New Yorker del 16 settembre 2015. 

Un venerdì pomeriggio dello scorso luglio partecipai alla celebrazione dello Shabbat in una sinagoga del Cinquecento a Ferrara, in Italia, città situata circa trenta miglia a nordest di Bologna, descritta da Jacob Burckhardt, grande storico del Rinascimento, come la prima città moderna d’Europa. (Burckhardt aveva in mente le ampie assi viarie, costruite nel 1492 per espandere la città ducale). Quando si concluse la preghiera venni presentato al presidente della piccola e sopravvissuta comunità ebraica locale, Andrea Pesaro, che mi invitò a casa sua. Ero andato a Ferrara per vedere il paese descritto con grande forza evocativa da Giorgio Bassani, noto soprattutto per il romanzo “Il giardino dei Finzi-Contini”, del 1962. Pesaro mi raccontò che la sua famiglia ispirò il romanzo – il cognome da nubile di sua madre era Finzi-Magrini.

“Il giardino dei Finzi-Contini” ebbe un successo molto rapido in Italia. Parla di una famiglia ebrea appartenente alla buona società che viveva in un antico palazzo medievale, circondato da un parco di venti acri, nel cuore della città. Il nucleo famigliare era emarginato e sfiancato dalle leggi razziali che si facevano sempre più pressanti e che avrebbero decretato presto la sua scomparsa. Alberto e sua sorella Micòl passavano il tempo giocando a tennis e sognando ad occhi aperti mentre incombeva l’Olocausto.

Pesaro vive principalmente a Milano, ma trascorre i weekend nella residenza ferrarese della famiglia. Il campo da tennis privato ora è fatiscente ma Bassani vi giocava dopo esser stato espulso nel 1938 dal club cittadino. (Oggi il nome di Bassani si può leggere nei trofei dei tornei organizzati del club, una sua fotografia è appesa sotto la pergola del giardino e mostra il giovane campione in bianco, con i capelli brillantinati). Umberto, zio di Pesaro, così come Alberto nel romanzo, morì a causa di una malattia del sistema linfatico prima che gli altri membri della famiglia cadessero preda dei fascisti. Pesaro – commerciante in pensione, di settantotto anni – riuscì a sopravvivere alla fine della guerra fuggendo in Svizzera. Si ricorda di aver letto “Il giardino dei Finzi-Contini” segretamente, appena uscì, perché suo padre Marcello in casa l’aveva proibito.

Anche Marcello fu presidente della comunità ebraica, nel 1962 raccontò a un quotidiano milanese che Bassani prese in giro sua moglie, reclamando il fatto che fosse stata usata per costruire Micòl, descritta come “una ragazza ebrea senza moralità”, trasformata nella “donna più disonorevole mai apparsa nella letteratura italiana”. Nel romanzo Micòl ha una relazione con un simpatizzante comunista. “Uno scrittore ha il diritto di offendere qualcuno”, mi disse Pesaro bevendo un espresso nel suo soggiorno, arredato con ritratti ad olio e un pianoforte a coda Pleyel dell’Ottocento, con una menorah appoggiata sopra. “D’altro canto la gente ha il diritto di sentirsi offesa. Per mio padre, la famiglia era un mito. Considerava un attacco qualsiasi cosa avesse intaccato il suo onore”.

I Finzi-Magrini non furono i soli a risentirsi. Bassani raccontò di una Ferrara reale e immaginaria. Sconcertò gli amici d’infanzia e le persone vicine, la cui mentalità era chiusa, rompendo il tabù e tuffandosi a capofitto nel destino degli ebrei italiani sotto il fascismo. “Il giardino dei Finzi-Contini” descrive gli ebrei di Ferrara come “un gregge oppresso”, implicando così la passività delle pecore. Molti ebrei supportarono Mussolini fino all’adozione delle leggi razziali nel 1938, e tra questi vi erano alcuni importanti ebrei fascisti di Ferrara, dove un sindaco ebreo in camicia nera governò per vent’anni, fino al momento in cui le leggi antisemite vennero applicate. “La vera tragedia degli ebrei italiani”, disse Bassani in un’intervista del 1984, “e nessuno ad oggi l’ha ancora pronunciata, è stata che finirono a Buchenwald e ad Auschwitz anche se, per la maggior parte, erano fascisti convinti. Lo dico e lo ripeto: il rabbino di Ferrara, insieme a tanti altri, era amico di Italo Balbo”.

Il ferrarese Balbo, apparentemente l’erede di Mussolini, venne ucciso in un attacco aereo in Libia nel 1940. Il padre di Bassani si iscrisse al partito fascista ben prima che il Duce assunse il potere, nel 1922, mentre Bassani si unì alla resistenza prima del 1938. “La mia religione è stata quella della libertà”, disse l’autore dopo la guerra, dichiarando sé stesso capace di scrivere con assoluta chiarezza a proposito dei suoi compagni ebrei, senza per questo essere di parte.

L’ex prigione cittadina, dove Bassani venne rinchiuso per resistenza al regime fascista, ora è stata trasformata nel Museo Nazionale dell’Ebraismo e della Shoah. Sharon Reichel, che cura le esposizioni al suo interno, mi dice che si è ripetutamente confrontata con gli abitanti di Ferrara ancora furiosi con Bassani. “Si sentono come se avesse preso le loro storie personali e le avesse esposte in pubblico. La prendono molto sul personale”. Bassani rispose a molte critiche spiegando che i suoi personaggi erano inventati o composti da tante persone. “La città è piccola, una specie di grande famiglia”, scrisse in un’altra novella, “e dalla famiglia puoi avere tutto, ma non puoi fare a meno di conoscere gli altri”.

“Il giardino dei Finzi-Contini” venne adattato in un film di Vittorio De Sica, nel 1970, con un affascinante Dominique Sanda nel ruolo di Micòl. Parteciparono all’anteprima mondiale, a Gerusalemme, Golda Meir e Moshe Dayan. Scrissero che la pellicola lasciò il primo ministro di Israele in lacrime. Il film vinse l’Oscar come miglior film straniero e portò fiumi di turisti a Ferrara alla ricerca dell’omonimo giardino.

Ma non c’è alcun giardino: Bassani descrisse molti luoghi fedelmente, altri li inventò. Non c’è traccia della radura narrata dal racconto, con pioppi, olmi, pini, “addirittura palme ed eucalipto”. Lo scultore Dani Karavan, che ha progettato un monumento a Bassani per uno dei parchi di Ferrara, mi ha detto che per la sua opera si è ispirato a un tour in autobus lungo corso Ercole I d’Este, alla ricerca del paradisiaco giardino. “Ho pensato che avrei creato qualcosa che non esiste”, mi ha detto Karavan al telefono, da Tel Aviv. “Esiste solo nel libro”.

Due archivi e centri studi dedicati ai lasciti di Bassani stanno per aprire a Ferrara il prossimo anno, in tempo per il centenario della sua nascita. I suoi principali lavori sono stati recentemente tradotti in inglese. Penguin Classic ha iniziato a pubblicare nuove traduzioni per il Regno Unito, realizzate dal poeta inglese Jamie McKendrick. Norton progetta di pubblicare nel 2017 sei libri di Bassani – il ciclo di raccolti e novelle brevi ambientate attorno a Ferrara – raccolti in un unico volume, titolato complessivamente “Il romanzo di Ferrara” (Bassani, che scrisse anche poesie, descriveva la sua prosa come un lavoro unitario).

Bassani, che morì nel 2000, spese il resto della sua vita a Roma, facendo amicizia e lavorando al fianco di Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia e Michelangelo Antonioni, scrivendo e riscrivendo ossessivamente una serie di racconti e storie inerenti la città e connesse tra loro. “Pensate che potrei rassegnarmi a marcire per il resto della mia vita in questo buco di provincia?” chiedeva un personaggio in uno dei suoi primi racconti.

Secondo il giovane poeta e giornalista ferrarese Matteo Bianchi, i libri di Bassani insegnano ai giovani italiani “l’importanza della diversità e il valore di chi è considerato debole in una società a cui importa solo l’apparenza”. Bianchi mi ha mostrato la nuova redazione del quotidiano locale, La Nuova Ferrara, dove passaggi tratti da “Il giardino dei Finzi-Contini” sono dipinti alle pareti dell’ufficio di Stefano Scansani, il direttore della testata. “Il giornale deve essere immerso nella città e nei suoi personaggi, compresi attraverso chi prima di noi li ha raccontati”, ha spiegato Scansani.

Roberto Pazzi, popolare romanziere ferrarese, è convinto che Bassani sia adesso “entrato nel DNA della città, amato e riconosciuto”. I libri di Bassani sono discussi al Festival del libro ebraico, che si tiene annualmente a Ferrara dal 2010. La scorsa primavera il festival ha celebrato il Premio Nobel Patrick Modiano; la stampa di Ferrara l’ha chiamato “il Bassani francese”. Anche Pazzi ha confermato che la critica di Bassani al provincialismo ferrarese ancora punge qualche abitante. “Ha fatto una foto dei ferraresi e li ha catturati nel lampo del suo flash. La borghesia qui si è sentita accusata e intrappolata nel lampo della sua scrittura”. La conquista di Bassani, diceva Pazzi, è stata quella di “costruire una tomba di parole per gli ebrei che non avevano tomba, perché morirono nei campi di concentramento e fu come se non fossero mai vissuti. La letteratura di Bassani è un atto di pietà, un omaggio ai defunti”.

Dopo aver incontrato Pazzi al bar vicino alla cattedrale medievale, incontrai il rabbino Luciano Caro, di settantanove anni, che aveva appena concluso la funzione del venerdì sera e cercava tra le offerte nella libreria vicino alla sinagoga. “É una vita difficile qui”, disse a proposito dell’attuale comunità ebraica, composta da cinquanta membri, la cui presenza risale ad almeno ottocento anni fa. “Non ci sono matrimoni. Il futuro è nero. Ma noi speriamo sempre ci sia un futuro”.

Nel mio ultimo giorno a Ferrara visitai il cimitero ebraico, dove nomi provenienti da tanti Paesi diversi riempivano il registro dei visitatori. Bassani è sepolto in un angolo nascosto, ma è impossibile non notare la sua lapide. Lo scultore Arnaldo Pomodoro – le cui opere sferiche si possono ammirare anche al Vaticano, all’Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington, D.C., alle Nazioni Unite a New York – ha forgiato nel bronzo un monumento inclinato. È ricoperto da incisioni che somigliano a ferite suturate che non riescono a guarire. Sia il materiale che il design si discostano dagli altri cippi funebri, punteggiati di licheni. Come vuole la tradizione ebraica, la base della tomba è coperta di sassi, deposti in omaggio.

(Traduzione a cura di L. Vignotto, revisione a cura di S. Macchi, E. Ciccone)

4 Commenti

  1. silvana onofri scrive:

    Una iniziativa encomiabile quella di Listone magazine di pubblicare la traduzione integrale dell’articolo di Michael Z. Wise, il giornalista di religione ebraica che nel luglio di quest’anno ha “battuto” tutta Ferrara alla ricerca di testimonianze su Giorgio Bassani. Mi risulta che volesse scrivere più articoli in occasione del centennario bassaniano . L’ho incontrato all’Istituto di Studi Superiori dell’Università di Ferrara, sede organizzativa della Fondazione Giorgio Bassani, dove aveva fissato un appuntamento per consultare materiale di e sul nostro grande scrittore.

  2. Paola scrive:

    Articolo molto interessante ! Grazie

  3. sebastiano comis scrive:

    Tre traduttori per scrivere”..si era iscritto al partito fascista prima che Mussolini ‘assunse'(sic) il potere..”. A parte questo, vorrei che qualcuno mi spiegasse “M’avessi da bambino/serbato alla tua legge/stato sarei del gregge/ dei morti a capo chino..”. Bassani non era religioso, ma che differenza faceva nel ’43?

  4. Florio Piva scrive:

    Tutti dovrebbero leggere questo articolo affinché il ricordo di questo passato doloroso sia un perenne omaggio alle vittime innocenti coinvolte e perpetua condanna per i responsabili di tanta malvagità.

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