Devo confessare che ero molto intimidito all’idea di incontrare un personaggio come Bobby Solo. Forse anche per colpa di mia madre e dei suoi COMPORTATI BENE CON BOBBY EH, lanciatimi contro come anatemi per una settimana. Non so come si potesse sentire Lester Bangs quando ha intervistato Dick Clark, ma adesso ne ho una vaga idea.
Io, scribacchino punkoide al cospetto di un gigante della vecchia scuola. Io e la mia fidatissima fotografa arriviamo al sottomura puntualissimi, alle 16, come concordato con Bobby al telefono. Ovviamente sappiamo benissimo che nell’ambiente musica-dal-vivo i ritardi sono un must almeno quanto i bis. Ci limitiamo quindi ad attendere e a cercare di assorbire l’aria che precede il tutto. Ci sediamo sotto al tendone, guardandoci attorno furtivi, proprio come quegli animali nei documentari di Superquark. La band monta la strumentazione, ma di Bobby ancora nessuna traccia. Ci resta una sola cosa da fare: recensire la birra. Buona direi, di quelle che piacciono a me. Germaniche il giusto. I preparativi fervono ovunque. Chi mette i posacenere, chi fa avanti indietro in macchina, chi si cuoce sotto al sole sul palco cavi-in-mano.

Bobby arriva sulle 17 circa, al volante di una station wagon contenente famiglia. Parcheggia davanti al palco e inizia a scaricare cose dalla macchina. Chitarre, trolley, un passeggino. Sale subito sul palco, scende a ispezionare un po’ tutto lo spazio e torna su per fare il check. Chiede una Fender specifica che chiama TITANIO. Una Strato modificatissima. E qui mi scatta il momento empatia perché capisco già che è un fissato con le sue chitarre.

Blocca il check per un’intervista continuando comunque a dire la sua sui bassi della voce. Sembra un gran perfezionista. A quel punto approfitto della pausa e concordiamo un appuntamento per le 19, a check finito. Allora capisco che c’è una sola cosa da fare: un attimo di pausa anche per me. Un giretto fuori e una volata dal mio negoziante di fiducia: Alimentari Porta S. Pietro. Perché sono povero. Rientro in tempo per beccare un po’ di check e qui ho a che fare con la prima esperienza mistica della giornata.
Il buon Bobby, infatti, si lancia in una versione di The Nearness Of You, vecchio classico di Hoagy Carmichael, che io ho conosciuto grazie a Keef.
La voce è ancora super. Finito il check preparo foglietti, penne e pennarello e mi avvicino allo sciame dei richiedenti autografo davanti alla Bobbymobile.

Colgo il momento con una mia vecchia tattica: offro il pennarello ai bisognosi e ne approfitto per chiedere due autografi; uno per mia madre e uno per me.
Bobby è davvero ciarliero. Mentre firma canticchia Una Lacrima sul Viso ed è lui stesso a ricordarmi dell’intervista. È un momento davvero rock’n’roll perché partono le foto con i fan e a me quasi parte un attacco di cariche di braccio come al miglior Elvis della fase tuta bianca. Finito il momento giapponesi-a-Venezia io, Bobby e fotografa ci sediamo davanti al palco. Sta per piombarmi addosso un’esperienza mistica.

Intanto come sta andando il tour?
Il tour chiama 30 date e ne ho 10 a settembre, 4 a ottobre. Direi che non potrei farne di più. A novembre poi faccio questo disco, come piace a me.

Spiegaci bene questo come piace a me.
Prima di tutto: quand’ero giovane dovevo cantare quello che dicevano i discografici. E a volte non mi piaceva. Anzi, parecchie volte. Sono stato collocato perché in quest’ambiente ti collocano e ognuno è prigioniero del proprio stereotipo. Famoso, meno famoso, anni-’60, gruppo di protesta, progressive. Invece io sono un segno dei pesci ascendente pesci, sono un matto. Ma non è colpa mia. A me piace cantare reggae, latino-americano, musica cubana, Edith Piaf e Juliette Greco, blues, le ballate delle isole inglesi di Norman Luboff, mi piace JJ Cale, tutti i generi possibili. Non mi limito ma mi ispiro a quei generi con la mia voce perché io ho una voce sola. Chi riproduce per 50 anni le stesse cose del ’64 raffinandole sempre di più è coerente. Quindi per me è un difetto, non un pregio essere come me e voler rischiare. Ma non posso andare contro la mia natura.

Foto di Simonetta Caiozza

Prima mi dicevi che ti è piaciuto molto Le Noise di Neil Young. Ciò che mi stai dicendo è una cosa che sottoscriverebbe anche lui…
Sì, del resto tutti gli artisti… ad esempio, un Clapton passa da Tears In Heaven a un blues di Robert Johnson. Ma da noi, se canti in un modo devi morire in quel modo. Però per me quella è la morte di un artista. La musica è un’emozione. Vedi Willie Nelson. Ha fatto un disco anche di reggae, ce l’hai?

(purtroppo no, rispondo.)

Perché guarda che son rari quei dischi. Lui ha 82 anni ed è ancora in forma perché fa quello che vuole. Si fa 7-8 canne al giorno e a lui non fanno male. Perché c’è anche gente a cui fa male l’acqua minerale. Io ho smesso di fumare sigarette perché avevo sempre la gola infiammata. Sono delicato. Lui non è delicato ha 15% di sangue indiano.

(Io qui cado dal pero, ma penso che se WN ha sangue indiano dev’essere per forza Cherokee. Ci azzecco e io e Bobby ci perdiamo a fare i nerd di WN.  Mi consiglia questo libro in cui Willie “fa un po’ il guru”, dice. Titolo: THE TAO OF WILLIE. Capisco subito che LO DEVO AVERE. Lui mi cita qualche highlight e sono ancora più in scimmia.)

Tornando al disco come piace a te mi ricordo due dischi di circa 10 anni fa. Uno di cover di John Lee Hooker e uno di cover di Johnny Cash. È da un po’ che fai un po’ più come piace a te.
Il Mucchio mi ha dato 4 stelle per quel disco. Non me l’aspettavo. Ho dovuto fare 14 pezzi in due giorni. Vado là con l’acustica, l’elettrica e comincio con una batteria finta che si chiama grooveagent (canticchia Folsom Prison). Faccio chitarra acustica, batteria, ci faccio l’elettrica stoppando come Luther Perkins (stoppa con la bocca). Poi faccio i cori (canticchia Daddy Sang Bass) ma non c’era il basso. Però avevo un octaver e allora con la Strato ho fatto il basso. E quando ho inciso Girl From The North Country , il fonico mi ha detto: pura magia. (Canticchia)

Ultimamente cosa ascolti?
Quand’è uscito Happy mi è piaciuto molto. Era un rhythm’n’blues. Mi piacciono i Coldplay. Ho un sacco di dvd del Newport Folk Festival e di Lightnin’ Hopkins ma il mio idolo attuale è Tony Joe White. (E qui riecco l’esperienza mistica: l’ho ascoltato proprio prima di uscire per andare a beccare il nostro uomo.)

E mentre vi spostate in furgone?
Lì nella mia macchina ho The Undiscovered Masters di Ray Charles, Johnny Cash, Hendrix, una compilation, e poi Hank Williams – i gospel.

Una top 5 dei tuoi “pezzi-della-vita”?
È difficile ma la faccio anche se poi la rifarei diversa.
Good Rockin’ Tonight di Elvis
What I’d Say di Ray Charles
People di Barbra Streisand.
Siamo a 3… Just The Way You Are di Billy Joel
e Sapore di Sale di Gino Paoli.

Sapore di Sale è geniale. Quand’ero giovane ero preso solo da Elvis come uno preso dalla Juventus. Per me non esisteva niente. Invece poi ho capito come si può creare un’immagine di un’estate dei ’60 e di una coppia innamorata, fissarla così, con 4 accordi e 4 parole. È impressionante.

Visto che dici questa cosa direi punkissima sui 4 accordi ti posso chiedere cos’hai pensato all’arrivo del punk?
Adesso non so se sono punk ma in macchina ho i Clash, London Calling. Lo ascoltavo ieri sera. Il punk è un’ottima forma musicale e a me piace la musica fatta bene. Ma il perfezionismo dei discografici italiani… tutto questo lavoro chirurgico… editare, intonare. Allora Dylan non avrebbe mai venduto una copia. E qua in Italia funziona così perché abbiamo un po’ il fardello dell’opera. (Canticchia)
In London Calling ci sono un paio di stonature ma ci stanno bene. Perché stonare humanum est.

A quel punto c’è un’altra intervista che fa toc toc e ce lo rubano. Purtroppo non gli ho potuto fare LA DOMANDA: ricciola di pane o di sfoglia?
Facciamo una foto ricordo, ci invita ad andarlo a trovare a Pordenone. “Portatevi il computer, vi passo tutta la musica che volete”. Mi saluta con un sei forte tu. Dio mio, il rock’n’roll. Ce ne andiamo verso un’altra birra carichi come due apostoli con le lingue di fuoco in testa.

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