La prima volta che li ho visti è stato, come tutti, in un video di Youtube.
Fin qui nulla di strano, se non che a mandarmi il video è stata, ormai alcuni anni fa (è del 2011), una cara amica musicista classica dai gusti piuttosto difficili, soprattutto se si tratta di colleghi.
Allora mi stupì, non tanto l’idea di eseguire Smooth Criminal di Michael Jackson con due violoncelli, ma il fatto che la mia amica concedesse loro la sua benevolenza.

Bravi, ma non mostruosamente bravi come altri, la loro audacia e sfrontatezza nell’eseguire e spettacolarizzare la contaminazione tra musica classica e rock, non l’aveva indignata, ma anzi le aveva fatto pensare che ogni tanto ci vuole qualcuno (non sono i primi, Apocalyptica docet) che provi a svecchiare la musica classica e farla girare anche fuori dai circuiti tradizionali.
Tanto più, aggiungono i profani, se a farlo sono due ragazzi piuttosto carini, giovani e che riescono sempre a salvarsi dal trash grazie ad una furba autoironia. Perché mettere assieme gli Iron Maiden e Rossini (in The Trooper (Overture)) può anche essere un’operazione fallimentare. Invece i due violoncellisti croati (sul loro sito sono entrambi croati, altrove sono uno sloveno e l’altro croato, misteri…) Luka Sulic e Stjepan Hauser, in arte 2Cellos, ne hanno fatto un successo mondiale che oggi 30 luglio approda al palco di Ferrara Sotto le Stelle, dopo, per dire, il Madison Square Garden, l’Olympia di Parigi, il Queen’s Diamond Jubilee, e gli Emmys di L.A.
E intanto qui, storditi dall’afa e dalle cicale, non si parla d’altro: a Ferrara è già “cellomania”, ovunque.
Tutti esperti, tutti critici.

Ai margini di questa pazza folla, ritirato in una casa sprofondata nella campagna alle porte della città, c’è un signore che esperto di violoncelli lo è davvero, perché li costruisce. Si chiama Sergio Scaramelli, ha 61 anni e fa il liutaio. Il contesto è decisamente meno glamour di quello dei video dei 2Cellos, ma non meno suggestivo.
Entrare nel suo laboratorio significa lasciare alle spalle il mondo reale e immergersi in un’odorosa nuvola di trucioli.
“Se sono entrato nel mondo della musica, lo devo ad Ares Tavolazzi (celebre bassista e contrabbassista ferrarese, ndr), che ha pochi anni più di me. Da ragazzino l’ho visto ad un concerto dove suonava il basso elettrico ed era circondato da ragazze. L’ho avvicinato e mi ha spiegato che studiava al conservatorio, il giorno dopo mi sono iscritto. Forse non è un inizio molto nobile, ma è andata così!”.
Mentre studiava contrabbasso al conservatorio “Girolamo Frescobaldi” di Ferrara, Scaramelli veniva spesso incaricato di portare gli strumenti a riparare nella bottega di Gaetano Pareschi, tra i più noti liutai ferraresi del ‘900 assieme al suo maestro Ettore Soffritti. E lì ha capito che non gli interessava solo far colpo sulle ragazze, ma in quel mondo c’era qualcos’altro ad attrarlo.
La liuteria italiana, da Stradivari in poi, è sempre stata la più ricercata del mondo. Gli strumenti più costosi sono quelli levigati dalle sapienti mani dei nostri artigiani, che hanno fatto scuola insegnando a loro volta, anche se di scuola per imparare questa arte, ora ce n’è una vera e propria: l’istituto di istruzione superiore Antonio Stradivari di Cremona, un centro di alta qualificazione nel campo della costruzione degli strumenti ad arco. Ora abbiamo perso l’esclusiva perché in tanti ci hanno copiati e anche in Cina sanno riprodurre un Guarneri o un Amati. Ma la combinazione di materiali (abete rosso della Val di Fiemme e abete rosso della Val Canale per la tavola armonica, pioppo bianco della Pianura Padana per fondo, fasce e manico), precisione, qualità e creatività nelle soluzioni tecniche rimane una peculiarità tutta italiana. Come anche il concetto di bottega, che nonostante la concorrenza non tramonta, assieme a quel misto di rispetto e fratellanza che si respira nell’ambiente, in mezzo all’odore di abete e colla.

Foto di Giacomo Brini

“Ogni volta che andavo in laboratorio da Pareschi – racconta Scaramelli – rimanevo affascinato, mentre lui, quando mi vedeva, si metteva le mani nei capelli. In quel periodo ho capito che quello sarebbe stato il mio lavoro”.
Infatti dopo il diploma a pieni voti e un periodo di insegnamento, Scaramelli, a trent’anni, decide di realizzare il suo primo contrabbasso, grazie anche all’incoraggiamento dell’amico liutaio Alessandro Ciciliati. E da allora non ha più smesso di costruire o restaurare contrabbassi, da quelli dei maestri ferraresi fino al Gasparo da Salò del 1590, appartenuto a Domenico Dragonetti, ma anche violini, e, appunto, violoncelli.
Oggi Scaramelli costruisce una decina di strumenti all’anno, e ne restaura altrettanti, che vanno in tutto il mondo, dall’orchestra di Cordoba a quella di Toronto. Da quella di Philadelphia a quella della Malesia.
“Al violoncello sono arrivato tardi, ho costruito i primi, quattro o cinque anni fa, poi me ne sono follemente innamorato”. Ora ha progetti ambiziosi, dice, tra cui quello di imparare a suonarlo.
“Mi sono rimesso a studiare come un ragazzino, ma se impari bene lo strumento, sarai capace di una messa a punto acustica superiore. E’ stato proprio questo ad aiutarmi nella costruzione del contrabbasso. E poi con la concorrenza e la crisi che ci sono oggi, bisogna sempre dare il massimo, ad ogni età”.
Prima di lasciarlo tornare ai suoi legni sinuosi, gli facciamo la domanda: “Ma lei andrà a sentire i 2Cellos?”.
“Certo!”, risponde senza esitazione.
Allora è veramente “cellomania”.

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