Uno dei sogni di chi scrive di musica è di avventurarsi nella scrittura di una biografia. Il giornalista ferrarese Samuele Govoni si è dedicato a quella di Daniele Tedeschi. Dietro il titolo ‘Una batteria in valigia’, infatti,  c’è un pezzo di storia musicale che attraversa quattro decenni. Il batterista bolognese, ma residente in provincia di Ferrara da diversi anni, si racconta in un flusso di aneddoti e di avventure. Dalla conversazione alla conservazione entra poi in gioco il lavoro del giornalista. Il libro sarà presentato il prossimo 29 luglio, alle 19.45, al Giardino delle duchesse, nell’ambito della rassegna ‘Autori a corte’. E all’autore Samuele Govoni abbiamo rivolto le nostre domande.

Ci racconti in quale occasione hai conosciuto il batterista Daniele Tedeschi?

«A dicembre 2012 mi misi in testa di intervistare Daniele Tedeschi e così, dopo averlo chiamato, ci demmo appuntamento per il pomeriggio dell’1 gennaio. Andai a casa sua e sentii un certo feeling, fin da subito. Lui, gentilissimo, mi accolse e parlammo per ore. Più che un’intervista fu una vera e propria chiacchierata. Quando ci salutammo l’orario della cena era passato da un pezzo e lui, accompagnandomi alla porta, mi disse: “Sai, mi piacerebbe raccogliere storie e aneddoti in un libro… Di cose da raccontare, ce ne sarebbero parecchie…”. La cosa non ebbe un seguito immediato. Ci salutammo e per un po’ non ci sentimmo più».

Come è nata quindi l’idea di dar vita a un libro su di lui?

«Un anno dopo, a fine dicembre 2013, mentre stavo leggendo un libro su John Lennon, mi tornò alla mente quella proposta di Tedeschi. In verità non me ne ero mai dimenticato, l’avevo sempre tenuta lì… nel cassetto, fino a quando non ho sentito che era il momento di darsi da fare e così l’ho richiamato. Gli chiesi se l’idea del libro fosse ancora valida e lui rispose affermativamente. Non persi un secondo, fissammo un appuntamento e andai da lui per iniziare il progetto».

Quanto tempo avete impiegato per rendere concreto il progetto?

«Il lavoro è durato più di un anno. Ci siamo visti per mesi, un paio di volte alla settimana. Durante i nostri incontri registravo tutto, non volevo perdere pezzi di racconto. Alla fine mi sono ritrovato con quasi diciotto ore di audio registrato da sbobinare. Ho trascritto tutto così com’era, allo stato grezzo diciamo, e poi ho iniziato a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle».

Da cosa è nata la scelta del titolo?

«L’idea del titolo è venuta a lui. Ci stavamo chiedendo quale potesse essere quello giusto. Una cosa che fosse esplicativa e allo stesso tempo simpatica. Avremmo potuto optare per qualcosa di autocelebrativo, ma non era quello che ci interessava. Non ci sono autocelebrazioni, infatti, all’interno del testo. Ci sono storie, episodi, racconti di una vita vissuta in tour e, visto che Daniele ha suonato in varie parti del mondo, ‘Una batteria in valigia’ ci è sembrato il titolo più appropriato».

Tedeschi 1

Quanti sono i personaggi legati alla musica che hanno incrociato la strada di Tedeschi?

«Daniele ha suonato con tantissimi artisti. Nel libro si ripercorre quella che è stata la sua carriera, dai primi colpi sulla batteria ai grandi stadi italiani e alle piazze internazionali. Dai dancing emiliani al Madison Square Garden, da Plaza de Toros di Madrid a San Siro. Sicuramente la collaborazione più duratura è stata quella con Vasco Rossi, ma ha diviso il palco anche con tanti altri, tra cui Miguel Bosé, Andrea Mingardi e Massimo Ranieri».

Quanto è corretto definire questa esperienza un libro a quattro mani?

«Definirlo un lavoro a quattro mani è corretto, nel senso che è stato un progetto portato avanti insieme. Dopo le interviste io mi sono concentrato sulla scrittura, ma gli incontri con Daniele sono stati comunque frequenti. Ci vedevamo per fare il punto della situazione, correggere, aggiungere, limare. Abbiamo letto i capitoli insieme, selezionato le foto… È stato quindi un lavoro portato avanti da entrambi».

Per diversi anni Tedeschi ha suonato con Vasco Rossi. Senza svelare troppo, che ritratto emerge del cantautore di Zocca?

«Vasco e Daniele hanno diviso il palco per dodici anni: dal 1984 al 1996. I fan sanno che quelli sono stati anni estremamente particolari per il rocker di Zocca. Il successo ha iniziato a crescere sempre di più, dalle discoteche si è passati ai palazzetti, ai campi sportivi, e nel 1990 ci fu la consacrazione con ‘Fronte del palco’: il live che venne immortalato anche su disco. Ci furono altri tour, concerti all’estero e nel 1995 ‘Rock sotto l’assedio’, altro evento rimasto nella storia del Blasco. Ma non fu tutto rose e fiori quel periodo perché, sul finire degli anni ’80, la Steve Rogers Band (ovvero i componenti storici del gruppo) si staccò da Vasco per fare strada a sé. vasco rimase ‘solo’. In un primo momento Daniele li seguì, ma poi per divergenze lasciò la band e dopo diversi mesi incontrò Vasco, che lo rivolle al suo fianco. In ‘Una batteria in valigia’ ho cercato di raccontare quei dodici anni scalfiti da avventure, emozioni, grandi soddisfazioni e amarezze».

Tedeschi 2

Le pagine del libro attraversano una carriera quarantennale. C’è un genere di pubblico al quale il testo si rivolge?

«Il testo si rivolge in primis ai fan di Tedeschi, a tutti coloro che lo hanno seguito durante il suo percorso, e che lo stimano come uomo e come musicista. Non credo che sia necessario essere fan di Vasco, o di Bosé, per avvicinarsi al libro; anche se questo indubbiamente può essere un incentivo. Penso però che le storie, gli aneddoti e le avventure di una vita basata sulla musica siano interessanti e piacevoli a 360 gradi. Quanti, vedendo artisti e musicisti, si chiedono: “Chissà cosa succede in tour? Chissà come deve essere fare una vita così, on the road?”… Beh, in queste pagine si racconta di questo: di una vita vissuta al di fuori dell’ordinario».

Ultima domanda. Scrivere di musica, per un appassionato di musica, è più difficile o più gratificante?

«Scrivere di musica per me è stato sia difficile sia gratificante. Una bellissima esperienza. All’inizio mi sono buttato nel progetto a capofitto senza nemmeno sapere bene come sarebbe andata a finire. Sentivo la responsabilità di trasmettere un po’ di quelle emozioni che io ho provato intervistando Daniele. Spero di esserci riuscito».

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