di Valentina Sarti Mantovani

“Viaggiare , come raccontare-come vivere- è tralasciare.”
(C.Magris, Microcosmi).

Weekend nella capitale texana: oggi vi porto con me ad Austin.
Capitale mondiale della musica live, come è solita essere chiamata, si adagia dolcemente sulle anse del Colorado River. Ecco i suoi skyscrapers che gentilmente si inchinano verso il grande fiume avvicinandosi al Congress Avenue Bridge, ponte tra la routine lavorativa della settimana e la spensieratezza del weekend degli Austinites, tra food trucks e gigs live nei numerosi bar che costeggiano la omonima strada.
Vorrei evitare l’approccio Alberto Angela (non ne ho le capacità purtroppo) e partiamo dall’inizio.
Si ritorna a parlare di grandi distanze, ahimè, nemiche di chi ha poco tempo, pochi soldi e bramosia di vedere sempre un metro più in là da dove ci si trova.

Venerdì mattina, Houston.
Eccomi nell’ufficio di un car rental service, pronta a salire sulla vettura più economica e ad affrontare i 260 km che separano Houston da Austin ma soprattutto pronta ad essere ingurgitata dal traffic jam americano dell’interstate 10 e a dimenticare per l’intero fine settimana l’uso della gamba sinistra alla guida.
Cambio automatico, easy peasy.

Aldilà del parabrezza scaldato dal sole, nelle circa tre ore di viaggio, si susseguono cemento, ruote, semafori, prati erbosi costellati di bestiame, portoni di ranch segnalati dai tipici teschi di mucca, ed poi Exxon, Shell, Starbucks, Whataburger, agglomerati urbani dedicati interamente all’azione “swipe your card”, striscia la tua carta di credito, non importa se per cibo, oggetti per la casa o materassi.

Poi oltre una spira contorta di strade sopraelevate ricompare la campagna texana, e la strada diventa un dolce cullarsi sulle gentili colline verdeggianti che oltre La Grange conducono a Austin. E così, lentamente, il viaggio mi fa lasciare alle spalle la settimana di lavoro, la leggera malinconia di casa e la mente è libera di vagare, oltre a quel cancello “No trespassing, private property of Ranch whatever” e continua ad andare, nessuna distanza sembra troppo estesa, nessun ostacolo sembra invalicabile.

Foto di Valentina Sarti Mantovani

Austin. Sono arrivata. Il tempo non sarà clemente con me in questo fine settimana, ma il morale è troppo alto per farmi intimidire da qualche goccia e qualche nuvolone.

Tralasciare, lasciarsi indietro qualcosa. Di solito questo termine dovrebbe indicare il fatto che non si sta considerando qualcosa che, in linea di principio, è importante.
L’arrivo in questa vitale, giovane e frenetica città mi ha fatto tralasciare qualcosa, mi ha fatto mettere da parte per qualche giorno il guazzabuglio di riflessioni e domande che mi ponevo su questa America (o meglio su questa parte d’America).

Una pausa nella piena consapevolezza di non essere atterrata su di una terra aliena, in cui i divari tra chi tanto e chi ha poco (o chi ha perso tanto) non esistono, in cui alcune discriminazioni serpeggiano latenti sotto i piedi e riaffiorano ciclicamente.
Tralascerò tutto ciò sapendo che “it matters”, è importante e resterà lì nell’angolino del mio cervello, ma involontariamente la mente si chiude e inizia la pura avventura egoistica e dedita solamente a compiacere ogni mio desiderio di scoperta.

Una città attraversata da un fiume è sempre piena di vita, l’acqua stessa è fonte di vita e bagnando le rive di Austin, il Colorado River ha portato e porta il fermento umano lungo le strade principali di Downtown e di South Austin.
Dal ponte guardo giù, decine di canoe colorano le verdi acque del fiume, braccia laboriose che sfidano le intemperie e le correnti. Verso Downtown, lungo Congress Avenue, i palazzi si aprono per lasciare intravedere il Texas Capitol, luogo del potere legislativo dello Stato.

Aldilà del ponte le note di qualche gruppo che sta suonando si disseminano nell’aria, insieme ad odori provenienti dagli innumerevoli furgoncini che vendono cibo ai lati della strada: thai, burgers, tacos, indiano, southern cuisine, jambalaya, bbq….
E i negozi di cianfrusaglie usate attirano la gente che cammina come cercatori d’oro, intenti a scavare nelle pile di vecchie bandiere e foto qualcosa di incommensurabile valore.

Intanto sull’altro lato della strada ecco il Continental club, locale storico di Austin sul cui palco si sono susseguiti musicisti dagli anni 60 ad oggi, e nel parcheggio di un supermarket ecco una festa messicana in piena regola, credo per una quinceanera.
E i giorni passano così, tra musica live, due chiacchere che vengono scambiate al tavolone condiviso del food truck con gente del luogo, per due giorni e mezzo riesco ad essere un 3/4 di Austiniano: si gioca a Chicken shit (tavolo a scacchiera con dei numeri e gallina libera di scorazzare, si punta sul numero che si vuole e secondo voi qual è il ruolo della chicken?) davanti ad una birretta, si discute delle presidenziali del 2016, di quanto è bella l’Italia e mentre fuori compare un bagliore di sole, il tempo passa in fretta.

Lunedì ore 5:00 am. Sveglia per il ritorno.
Fuori è ancora buio, le luci soffuse dei lampioni dominano l’oscurità prima dell’alba.
E alla guida della scattante macchina a noleggio riprendo la via del ritorno.
La strada è semivuota, solo le insegne dei diner aperti 24/24 e di qualche camion emergono dal nero che mi circonda.
Ho tralasciato tante cose in questo fine settimana, forse troppe, forse dovevo prestare più attenzione alle differenze, alle discrepanze, ai volti di chi era seduto per strada con un bicchiere e chiedeva un dollaro, a chi era seduto in disparte sugli autobus, a chi entrava e usciva dai negozi il sabato pomeriggio, al ragazzo che suonava la chitarra al lato del ponte (ed era veramente bravo) e mi ha sorriso e ringraziato per il dollaro che gli ho lasciato cadere nella custodia.
Ma lasciare da parte qualcosa, per un breve tempo, credo sia salutare.
Lasciare la mente leggera, per affrontare il vivere in maniera meno pesante.
Gli eventi della vita ci portano inevitabilmente a trovare qualcosa e a perdere qualcos’altro, quindi il tralasciare in maniera cosciente potrebbe essere il rendersi conto che, in fondo, siamo sempre in viaggio e il cambiamento è intrinsecamente parte di questo processo.

E mentre albeggia, con in testa questi pensieri, ritorno verso Houston, consapevolmente soddisfatta.

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