Il cortile del Castello Estense sembra una scatola chiusa su cinque lati ma aperta verso il cielo, con i muri che assorbono ogni vibrazione sonora per restituirla sotto forma di vento, carezza, occhi chiusi. L’enorme mano invisibile di Ferrara sotto le stelle, ventesima edizione, cala dall’alto per depositare un cantautore americano, Andrew Bird, come se fosse una miniatura dentro una casa delle bambole. Ai piani alti le finestre sono chiuse: le luci sono spente negli uffici amministrativi della Provincia o tra le sale che adesso ospitano le opere di Boldini e De Pisis. Mi piace pensare che qualche dipendente provinciale sia rimasto barricato all’interno, per ascoltarsi le note del violino di Andrew Bird sdraiato sul pavimento, con i primi bottoni della camicia slacciati, fumando l’ultima sigaretta di giugno mentre fissa al buio gli affreschi sul soffitto. Al piano terra, invece, ci siamo noi, non tantissimi ma in numero sufficiente per rendere disordinata la vita al violino di Bird, piccolo e minuto ma con una voce che rischiara la notte come nuvole bianche la mattina dopo un temporale. Il cortile del Castello Estense è la nostra casa delle bambole, con un grammofono a doppia uscita che gira vorticosamente, e dentro ci siamo tutti noi, tutti piccoli e minutissimi con le nostre minuscole storie.

Giovanni Ansaldo, che ne sa molto più di me del musicista di Chicago ospite a Ferrara per l’unica data in Italia del suo tour, scrive su Internazionale: «Definire lo stile di Andrew Bird non è semplice. La prima parola che viene in mente è cantautore, ma non basta a definire l’ampio spettro musicale coperto dalle sue canzoni. Dentro ci troviamo tanti generi: folk, jazz, gypsy e rock, per citare quelli più evidenti. Grande violinista e improvvisatore, dopo aver studiato per anni musica classica, Andrew Bird negli ultimi anni ha sviluppato una sensibilità pop sempre più spiccata e imprevedibile». Credo di possedere un paio di suoi mp3 impolverati, vecchi ormai di anni, residui di un’epoca in cui ancora ascoltavo tutta la musica che usciva e avevo abbastanza spazio a disposizione dentro di me per farla accomodare tutta. Poi gli anni passano, e sui letti e sul divano e sul pavimento di casa tua finiscono per riposare sempre gli stessi gruppi, si diventa conviventi con loro e gli ospiti improvvisi, repentini, invece, non si sa più dove piazzarli. Andrew Bird è, per quanto mi riguarda, l’eco quasi dimenticato della mia fame musicale sopita che invece riscopro ancora viva in tante delle facce sconosciute nel Cortile del Castello. Il suo violino ci ha trascinati sulla battigia come oggetti galleggianti in mare: bottiglie vuote, rami, tronchi, i detriti delle stagioni precedenti, delle alluvioni dei mesi invernali che in un modo o nell’altro trovano finalmente requie sulla sabbia di Ferrara sotto le stelle. Soldatini di piombo che tengono le mani in tasca o limonano selvaggiamente o rovesciano birre o mordono bicchieri di plastica: stasera ci sono infinite storie spiaggiate in questa scatola a cielo aperto.

Foto di Eugenio Ciccone

Bird ha l’espressione incuriosita di chi si è appena svegliato e di sicuro il mare non lo vede molto spesso. Il candore della pelle, i lineamenti precisi come il suono che esce dal violino pizzicato con le dita, la batteria che lo accompagna è gentile e pulita e delineata come il suo aspetto. E questa voce dosata, chiara e fresca riesce a levare via ogni patina di tristezza e ci lascia soltanto un retrogusto di malinconia che ha lo stesso effetto dello zenzero in una centrifuga di frutta. Poi Bird fischietta, anche, fischietta tonante e perentorio, e suona lo xilofono con fare quasi dispettoso, e imbraccia la chitarra e ci sembra di finire anche noi, dalla spiaggia, nei campi di grano dell’Illinois. «Questa sarebbe perfetta per sentirla in macchina», dici, e non ha importanza per andare dove, penso. Bird con il piede campiona le tracce di violino che servono ad arredare la casa delle bambole, Ferrara sotto le stelle invece campiona le storie di chi è arrivato a riva: gli articoli da mandare al giornale entro un certo orario (riuscendoci, miracolosamente), le sorprese di una giornata che non sai come prenderle, e questo violino suona così posato e incalzante come una vecchia amicizia di cui ti puoi fidare, e ti fidi e le racconti proprio lì, sui ciottoli del pozzo del Cortile.

I piedi si muovono e sigillano un paio di secondi dello sguardo indulgente di chi ti ha appena fatto i complimenti e da lontano poi ti scopre carponi a terra a sorridere, e forse pensa che in qualche modo ce la stai facendo. Un istante per non andare a smentirlo. Cambio di pedale, altri venti secondi di quella storia di due autostoppisti, americani come Bird, che al tramonto erano al casello di Bologna Arcoveggio, e chiedevano un passaggio mostrando un cartello rabberciato, “Venice“. Bird ci chiede un passaggio per riportarlo in America, e tiene in mano un cartello di cartone scritto a mano, “Hole in the ocean“. Quindici secondi della bionda signora Auser, che di solito sorveglia le sale del percorso museale del Castello, mentre stasera staziona in bagno ad armeggiare con il cellulare. Un secondo di abbracci che finiscono senza motivo, e riprendono senza abituarsi mai. Un concerto intero di suoni che escono puliti, precisi, sempre controllati. Bird diventa il padrone di casa, riarrangiando con vigore inaspettato (?) i suoi pezzi, mentre noi prendiamo posto arredando gli spazi del Cortile. Per una sera, per una notte, forse riusciremo ad addormentarci dimenticandoci da dove siamo venuti, fischiettando convinti prima di finire a sbattere su altri scogli.

Sempre nell’intervista rilasciata a Internazionale, Bird spiega così il suo rapporto con le vecchie canzoni folk, che sembrano fatte apposta per guarire le persone trascinate dalla marea: «Certo, le belle canzoni hanno un valore curativo. Quando mi sento vuoto e senza energia, suono le canzoni degli Handsome family o di altri artisti che mi piacciono. Ed è come se mi nutrissero, dandomi forza per continuare». Finito il concerto, la scatola a cielo aperto si richiude, si spengono le luci anche al piano terra, ci disperdiamo sui ciottoli di piazza Castello e ci sentiamo tutti un po’ affamati. Passeremo la notte a decidere dove andare, con queste canzoni da ascoltare fischiettando in macchina, scrivendo la nostra destinazione con pennarelli su pezzi di cartone.

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