L’inverno muore in giugno, con le mani strette all’arrivo e anche per 100km prima, con le canzoni di Piero Pelù abbandonate a bordo strada in mezzo ai pini, con il fango di piazza Ariostea ripulito da ottocento per due ruote di biciclette. E’ il secondo anno che partecipo alla Bike Night, da Ferrara al mare in bici, di notte, e nonostante conosca perfettamente il percorso, e la fatica e i problemi, non sono ancora abituato a tutto questo. Nel mio zaino ci metto un copertone di scorta, un giubbotto giallo fluo. Più tutto l’inverno di questo mondo: gli ho fatto un discorso, prima di partire, e mi sono giurato che soltanto uno tra noi due sarebbe potuto arrivare all’arrivo, al Lido di Volano.

Piazza Ariostea inizia a riempirsi quando non è ancora il tramonto. Arrivano tutti tremendamente preparati: ognuno con la sua bici, l’abbigliamento giusto, un tizio è a bordo di un’astronave con le luci, monopattini marchiati Red Bull, monocicli, anche, e poi risciò, c’è una bici con un cestino pieno di Moretti ghiacciate e fiori enormi, le solite bici vintage, una Bianchi, un paio di immancabili scatto fisso, un tandem, una sembra una moto, ha installato anche un finto tubo di scappamento da dove esce una fiammata vera. Sono davvero molti di più della prima edizione, e io sono davvero molto meno preparato a tutto questo. Non ho nemmeno una bici per partire, quando il sole è già calato, e sto pensando a tutto tranne che tra poco dovrò, di nuovo, farmi 100 km in bici di notte. Sulle panchine di marmo attorno alla statua dell’Ariosto un signore dalla barba e dai capelli bianchi dorme sdraiato, chiuso nella sua giacchetta gialla, sembra più il Dalai Lama che un partecipante di questa follia notturna ferrarese. «Faccio il fornaio e l’unico momento del giorno dove mi viene sonno è dalle 21 alle 24, quindi ora me la dormo», dice. Io non so cosa faccio, ma so che mi viene sonno sempre, e non dormo mai. Sulla panchina a fianco, c’è un signore del Texas spaurito, che si guarda attorno, ha la barba sfatta e indossa una maglietta disaggregata in mille colori: assomiglia più a un hippy californiano. Incrocio un concorrente mitteleuropeo che conosco, gli chiedo se il suo amico dalla Rep. Ceca con quella bici così strana sia poi riuscito a venire, e lui mi risponde che è stato arrestato per aver assalito un monumento comunista e che quest’anno non potrà essere dei nostri. Bambini con monopattino vanno a infangarsi nelle pozzanghere, diverse persone mi chiedono informazioni e risposte che non sempre so dare. Isso striscioni troppo corti per contenere tutta l’inaspettata folla della piazza, inseguo ciclisti ancora radunati nei bar a farsi un bicchiere di amaro prima di partire, e quando le mani si alzano e viene dato il via, io sono ancora in jeans e maglietta. Sono partiti tutti, e quando pensavo di averla già vista tutta, la Bike Night, scopro che dovrò farmela per ultimo, con mezzora di ritardo, a inseguire perennemente ottocento persone che non lo so, se siano qui per amore della bici o per amore dell’esserci o per amore della notte o dell’estate, ma sicuramente sono tutti già molto più avanti di me, che la bici e l’esserci e la notte e le estati le amo anch’io. Amare non è mai stato sufficiente per restare insieme.

Un po’ sembra un viaggio interstellare, a inseguire tracce lasciate da un’altra civiltà aliena chissà quanti anni luce prima. Quello che incrocio nel mio pedalare irremidiabilmente per ultimo sono gli echi del loro passaggio: i numeri di gara staccati dalle bici, mappe strappate in mezzo all’erba, viti, bulloni, pezzi di plastica. E soprattutto, lo stupore negli occhi degli spettatori lungo il percorso, che si ravviva al nostro passaggio come quando si soffia sulle brace che sta per spegnersi, nel camino, d’inverno, e regala un ultimo bagliore rosso. Per esempio a Francolino, al bar del paese che nel frattempo sta per chiudere, e gli avventori ci guardano un po’ strano. Non sono un partecipante ufficiale della Bike Night ma allo stesso tempo non sono nemmeno uno che si sta facendo un giro in bici, e non riescono a inquadrarmi. Quando salgo sull’argine tutto si spegne, la luce finisce nello zaino assieme all’inverno e ai panini, e rimane soltanto il silenzio. Le nuvole dei temporali del pomeriggio consentono a quei pochi fotoni nell’aria di rischiarare lo specchio d’acqua: come se dal futuro mi arrivassero gli ultimi resti di luce del Po. L’ultima posizione regala motivazioni inattese: inseguire per riuscire a raggiungere almeno uno, degli ottocento partecipanti, per arrivare prima che sia troppo tardi, per evitare di rimanere da soli in caso di invasioni aliene. Ma ogni piano di rincorsa si rivelerà poi utopistico e sconfortante: così decido di iniziare a gettare via dallo zaino tutto il peso superfluo, ovviamente tutto biodegradabile. La stanchezza dei giorni passati a prepararla, la Bike Night, cercando torce a batteria o cavalletti nascosti nei cortili di case di campagna: via. La sveglia all’alba per imbustare pacchi gara: via. Tutti i lavori arretrati che questo folle giugno mi ha gettato addosso: via. Le reazioni incontrollate: via. Alzare la voce quando tutto sembra confuso: via. Il perdersi d’animo quando le cose non vanno come avresti voluto: via. Cosa rimane?

Rimane, se fai la Bike Night per ultimo, staccato di mezzore da tutti gli altri, che vedi le cose per ultimo, o forse per primo. Non siamo nemmeno al primo ristoro e una stella cadente squarcia il cielo. Cade, lentamente, come una goccia di pioggia sul vetro di una macchina: prima sottile, poi si gonfia e poi scompare, incredibilmente verde. Potrebbe benissimo essere una capsula aliena inviata sulla Terra prima dell’invasione, ma è soltanto una bellissima stella cadente. E poi le lucciole, che da quanto vado piano sono loro che devono schivarmi, riuscendoci. E poi al primo ristoro, a Ro, quando se ne sono praticamente andati già tutti, ci sono i ragazzi del risciò che stanno lanciando lanterne cinesi in cielo, una va a incastrarsi tra i rami degli alberi in golena e penso che adesso si scatenerà un incendio e io brucerò, ma per ultimo. Invece la lanterna si alza barcollante, e si libra in cielo ma non vola via subito, no, rimane a stazionare per un po’ sopra di noi, sarà mica una sonda aliena pure lei? Capita di bersi l’ultimo bicchiere di vino del ristoro ad Alberone, a sorpresa, riuscendo a incrociare gli ultimi del gruppo, attardati per inconvenienti tecnici. Capita di venire nuovamente e irremidiabilmente staccati, dagli ultimi, e finire pressati dal famigerato “carroscopa”, il furgone di assistenza che chiude il gruppo e che mi spara addosso gli anabbaglianti facendoci sentire inseguiti dalla polizia stradale: «siamo ultimi, non ti preoccupare, e ci va bene così», e ci abbandona anche lui. Cosa rimane, nel mio zaino? La noia per un tratto di percorso infinito tra un ristoro e l’altro, le buche non viste, le luci della bici che saltano via e bisogna fermarsi a rimontarle sul manubrio, le file dei pioppi così scure, così nere, come catene montuose a cancellare ogni traccia del paesaggio, un fiocco colorato da circo perso da uno dei partecipanti. Raccogliamo tutto, spazio nello zaino ormai vuoto ne abbiamo. Non parliamo molto, più passano i km e più gli aneddoti, le battute, la psicologia spiccia da incoraggiamento decade sul fondo del bicchiere. Arriva l’alba, inaspettata, perché prevista molto più in là, prima del mare, e invece siamo ancora a metà percorso e il cielo vien alzato da una mano invisibile di un bambino, come se stesse alzando la coperta di un letto per vedere cosa ci sia nascosto sotto: giocattoli? Polvere? Scatole dimenticate? Sotto la coperta del cielo buio, a Serravalle, noi ultimi vediamo il sole, molto prima del previsto perché siamo arrivati molto più tardi, del previsto. Le nuvole sono i battaglioni degli alieni che se ne stanno andando e lasciano scoperto l’orizzonte, il sole, l’estate. Le nuvole scure sono l’inverno, che muore oggi, stanotte, quando vedo per la prima volta nella mia vita l’alba sul Po.

Io non lo so cosa avranno provato quelli che l’hanno vista sul mare, o nel Delta, come da programma, probabilmente molto meno stanchi e meno ultimi di me. So che nel vederla sul Po, pedalandoci a fianco, nascosta tra gli alberi, mi fa dimenticare dove sia finito, e perché: è incredibilmente arancione, sembra un tramonto al contrario, così caldo, mentre invece nell’ultima notte dell’inverno fa incredibilmente freddo. L’alba sul Po significa che d’ora in poi sarà estate, anche prima di arrivare al mare, sarà estate tutti i giorni e a tutte le ore, e questo cambia un po’ tutto. Prendiamo un paio di sorrisi lasciati dai partecipanti a bordo strada, ce li infiliamo, e pedaliamo un po’ più convinti. Iniziamo a dimenticarci un po’ di tutto il resto, del telefono che non sentiamo suonare nascosto in fondo allo zaino, della fatica, delle gambe che diventano di legno, delle manopole del manubrio che si sfilano, dei crampi alla coscia, dei ristori che troveremo sempre chiusi, ormai. Ad Ariano Ferrarese ci sono zanzare così grandi che sembrano la Marina Imperiale, ma ci viene comunque offerto un bicchiere di coca cola da discount, e sembra latte caldo nella tormenta. A Mesola non c’è nessuno, solo il Castello estense, e finiamo sdraiati sotto al ponte della Romea, sull’asfalto, a riposare. Ormai è mattino, appaiono i primi esseri umani sulla Destra Po, cani a spasso, e l’argine sembra un fiordo norvegese, di cui vedi a pochi passi l’altra estremità ma per arrivarci dovrai percorrere un’insensata e interminabile curva. Non so cosa hanno visti i primi, so che gli ultimi scendono dall’argine a Santa Giustina e trovano i ristori chiusi ma i primi bar aperti, la gente che inizia a svegliarsi nella case, papere che sguazzano nei piccoli maceri ricavati nel cortile di case di campagna, i confini del Boscone della Mesola dove non ci siamo mai entrati e anche solo vederlo dall’esterno è gratificante. Le cose nuove sono fatte così, basta sfiorarle con la mano per sentirle comunque tue, come quando incrociamo, dopo Torre Abate, di nuovo, altri concorrenti: sono quelli in monociclo, che da lontano ci sembrano alti come i pini a bordo strada, e quando ci passiamo a fianco sembrano invece così teneramente minuti, sopra a quelle ruote giganti, e rispondono con onomatopee eloquenti alle nostre domande su come stia andando: «mh».

Manca sempre troppo, o troppo poco, prima di arrivare all’arrivo. I bar iniziano a servire i primi cappuccini, e più che partecipanti di una pedalata notturna, alle otto del mattino sembriamo soltanto intrusi nella vita di questi posti di frontiera tra il giorno e la notte, tra il mare e la terra, tra l’inverno e l’estate. Sentiamo odori che non ci appartengono, odori di Maremma, di Puglia, di Francia, di boschi di montagna o di paludi. Veniamo superati da altri ciclisti, che non stanno facendo la Bike Night ma il loro allenamento mattutino. Non arrivare mai, da speranza alla Thelma e Louise sta diventando minaccia concreta. Ci si prende per mano, ci si prende in giro, ci si canta addosso come gavettoni a ferragosto. Promesse d’estate per riuscire a mandare giù rettilinei insopportabilmente dritti, e infiniti. L’ultimo ponte, sul Volano, a Volano, poi le sabbie mobili per entrare a Spiaggia Romea, le canne di bambù che mi ricordano Lost, e invece di vedere sbucare Wilson dalla vegetazione ci sono casette ordinate tutte in fila che mi ricordano la città degli Altri. Gli Altri che sono già arrivati, che dormono da ore sull’erba attorno al lago artificiale, che mangiano fritto misto e bevono sguazzoni, che raccolgono le testimonianze, che discutono di obiettivi, che sono appollaiati su cavalletti a sorvegliare reflex fissando l’asfalto, che sgonfiano archi, che scattano Polaroid, che sono rimasti a casa, che se ne sono andati da un’altra parte. Gli Altri, quelli che non sono partiti in ritardo e che hanno visto l’alba sul mare. La Bike Night Ferrara-Mare è come quelle città bellissime, ma con qualche difetto strutturale: tipo Venezia, o Roma, o New York. Bella, ma non ci vivrei. La Bike Night mi insegna tutti gli anni a separarmi dall’inverno e abbracciare l’unica cosa che conta, l’estate. Ma è faticosa, lascia segni sul corpo per ore, ti ruba il sonno. La Bike Night ti porta in bici dove non pensavi di poter arrivare, ma poi la bici la devi lasciare sul carrello del pullman che ti riporta a casa. La Bike Night è una prova di forza con sé stessi, e si riesce sempre a superarla: ma per stringere mani non ci deve essere sempre bisogno dell’estremo. Non so se questa sia stata la Bike Night di tutti gli altri ottocento iscritti. So che uno di loro l’ho incrociato tornando a casa, alle quattro del pomeriggio, per le strade di Ferrara. Era in bici, ancora, a petto nudo, sorridente, calmo, quieto. Probabilmente è tornato dal mare sempre pedalando, nonostante tutto. Ho pensato che giugno fosse davvero folle, che fosse tutto quanto un po’ folle e inspiegabile, e che non contasse poi molto essere preparati o meno. Contava pedalare a petto nudo in città alle quattro del pomeriggio, e vedere albe dove non se n’erano, ancora, mai viste.

12 Commenti

  1. Francesco scrive:

    Potevi anche pagarla l’iscrizione morto de fame..

    • Fabio Zecchi scrive:

      L’ho pagata, infatti 🙂

    • gibba scrive:

      dal racconto:”Non sono un partecipante ufficiale della Bike Night ma allo stesso tempo non sono nemmeno uno che si sta facendo un giro in bici, e non riescono a inquadrarmi” ……io ti inquadro come portoghese!!!

      • Fabio Zecchi scrive:

        vuol dire quel che c’è scritto, infatti: non ero nel gruppone degli 800, arrivando dopo, ma nemmeno lì per caso. Non ho mai scritto che non ho mai pagato.

  2. Alessio scrive:

    Io e mio papà siamo rientrati a Fe in bici…siamo arrivati alle 11.30 dopo aver bucato nuovamente a Viconovo, male dappertutto e paura di non arrivare mai…ma ce l’abbiamo fatta!! Alla fine erano 159 i lm totali…non scorderò mai la Ferrara Bike Night!!

  3. Blizzard scrive:

    “Quello che incrocio nel mio pedalare irremediabilmente per ultimo sono gli echi del loro passaggio: i numeri di gara staccati dalle bici, mappe strappate in mezzo all’erba, viti, bulloni, pezzi di plastica”

    “Ma ogni piano di rincorsa si rivelerà poi utopistico e sconfortante: così decido di iniziare a gettare via dallo zaino tutto il peso superfluo, ovviamente tutto biogredabile.”

    “E poi al primo ristoro, a Ro, quando se ne sono praticamente andati già tutti, ci sono i ragazzi del risciò che stanno lanciando lanterne cinesi in cielo, una va a incastrarsi tra i rami degli alberi in golena e penso che adesso si scatenerà un incendio e io brucerò”

    hipster amici dell’ambiente xD

  4. Modena1967 scrive:

    la Ferrara Bike Night, andrebbe fatta di giorno, con arrivo al tramonto…e in senso antiorario.
    il pezzo di notte fino alle 5,00 circa, non mi ha regalato emozioni,
    solo una folle corsa per rimanere nei tempi, avremmo potuto correre in loop, per 5 ore in un autodromo, e non sarebbe cambiato niente,
    non vi è stata interazione con l’ambiente circostante… una pura tappa di allenamento, gara non agonistica, micca tanto alla fine si è stati costretti a pedalare!!!
    Per assurdo la parte più bella è stata nella 4°tappa, ma si era troppo stanchi per apprezzare il paesaggio, il percorso puntava a sud, e la stanchezza non ti permetteva nemmeno di ruotare il collo,
    per poter dissetare gli occhi in quell’arancio insolito, di quell’alba spettacolare, i primi gabbiani, le timide nebbie che si levavano dai laghetti…
    La Ferrara Bike, dovrebbe essere di 24 ore, andrebbe fatta in altro modo, partendo da Ferrara di notte, e facendo 59 km tutti su strada asfaltata,
    passando per Tresigallo, Massa Fiscaglia, Comacchio,
    la vera partenza sarebbe nel punto di arrivo di questa edizione, All’incirca alle 5,00, per poter apprezzare veramente il paesaggio all’alba,
    e per tutte le altre ore, cosa si potrebbe fare, interagire con i piccoli paesini, perdersi nelle sterrate, sostare nelle aziende agricole, i baretti, le spiagge lungo l’argine…
    sarebbe una gita… e i ricordi sarebbero molto di più.

  5. francesco scrive:

    Complimenti, scrivi proprio bene e il racconto mi è piaciuto molto.

  6. Simone scrive:

    Ciao a tutti, sono l’organizzatore della Bike Night. Scusate il mio intervento ma ci terrei a sottolineare che l’autore di questo articolo ha percorso l’intera Bike Night da protagonista e non assolutamente da portoghese. Anzi, direi proprio che di portoghesi non se ne sono visti, questo mi ha fatto molto piacere!

  7. Paola scrive:

    La lettura del racconto è molto interessante e divertente. Bravo !

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