Il puzzle steso sulla parete si staglia con fierezza lasciando scoperti un paio di tasselli. L’altro puzzle, quello della sua carriera, continua invece ad arricchirsene, di nuovi. Nella pentola della disegnatrice Elisabetta Barletta, bolle un ultimo progetto che la coinvolgerà nel 2016. Degli studi trascorsi e dei diversi fumetti realizzati (presenti sul sito internet www.bettabarletta.it) abbiamo invece dialogato con lei nella sua casa-studio a Ferrara, città dove vive da qualche anno. I gusti soggettivi e l’evoluzione del proprio stile, il rapporto con gli sceneggiatori e lo studio indispensabile dietro al lancio di una nuova serie, sono alcuni degli argomenti sfiorati durante la nostra conversazione.

Quale ricordo hai dei primi fumetti che hai letto?
«Ricordo il mitico ‘Corriere dei Piccoli’ e ‘Il Giornalino’, adoravo Nicoletta di Clod».

Quando hai cominciato a capire che quel mondo sarebbe diventato la tua professione?
«Direi tardi, perché per lungo periodo non ho letto fumetti. Precisamente gli ultimi due anni del liceo scientifico, quando al solo pensiero del percorso universitario che mi si prospettava davanti, ho iniziato a maturare una sorta d’insofferenza. Non ho mai abbandonato il disegno negli anni, ma non lo avevo mai approfondito, se non un periodo in cui feci un corso di disegno e pittura. A quel punto è stato chiaro che avrei seguito l’indole ‘artistica’. Così ho fatto una ricerca e una serie di valutazioni e ho deciso di finalizzare tutti i miei sforzi verso il primo amore, ossia i fumetti».

Per l’elaborazione di un proprio stile, quanto sono necessari dei riferimenti?
«È il punto di partenza perché i riferimenti ti mettono su una strada principale (ognuno ha la sua, in base ai propri gusti), nella quale poi convergono e partono strade secondarie che puoi intraprendere in qualsiasi momento».

Hai frequentato la Scuola internazionale di Comics a Roma. Cosa ricordi di quel periodo?
«Tante cose. Le levatacce alle cinque di mattina, le ore infinite di treno, le amicizie nate sui treni che ancora durano. Il confronto con tanti aspiranti fumettisti. Un mondo che si apriva davanti a me… ».

Foto di Andrea Bighi

Da quella esperienza di studio alla realizzazione vera e proprio di un albo, che cosa cambia?
«Non c’è nulla che le accomuni. Lo studio resta studio, ti dice in teoria cosa fare, ma non hai mai tempo a disposizione per imparare tutto. Quindi, quando inizi a lavorare su una sceneggiatura lunga, capisci davvero cosa ancora non sai fare rispetto a quello che hai imparato a scuola».

Disegnare su una sceneggiatura scritta da un altro autore, in che misura incide sulla tua libertà espressiva?
«Io nasco come disegnatrice e non come autrice. Quindi non sento il limite alla mia interpretazione della storia, che in ogni caso resta unica e personale. In genere, se il disegnatore propone soluzioni alternative per migliorare la narrazione, sono bene accette».

Hai lavorato su albi come John Doe, Detective Dante, Cassidy e Saguaro. C’è un filo conduttore che lega queste diverse esperienze?
«Non so… Sono tutti personaggi maschili? Scherzi a parte, in comune hanno solo la mia volontà di andare sempre avanti e migliorare. Ognuno di loro è stata una bella sfida. E personalmente amo le sfide».

Dietro la realizzazione di un personaggio, quanto è importante la fase della documentazione?
«È fondamentale, soprattutto per il genere realistico, ambientato in uno contesto storico preciso. Per esempio, Cassidy e Saguaro si muovevano nella fine degli anni Settanta, e la documentazione precisa e adeguata serviva a catapultare il lettore in quegli anni. Poi si fa uno studio anche sulla personalità e la psicologia del personaggio, mentre fisicamente, in genere, si fa riferimento a un attore e lo si modifica un po’. L’aspetto che deve sempre prevalere è il fascino e il carisma… ».

Da alcuni anni vivi a Ferrara. C’è qualcosa di questa città che hai trasferito o che ti piacerebbe rappresentare all’interno di una tavola?
«Beh, in parte siamo riusciti a farlo proprio adesso grazie alla prima edizione del ‘Fecomics’ (in programma a Ferrara il 13 e il 14 giugno ndr). Sia io che Germano Bonazzi e Roberto Zaghi abbiamo realizzato un disegno con i ‘nostri’ personaggi incastonati in scorci della città. Per il resto si potrebbe pensare a un fumetto corale in cui i personaggi si spostano nel tempo grazie a delle biciclette speciali… ».

Oggi riesci a far coabitare in te la lettrice di fumetti e la disegnatrice?
«Assolutamente. Ho proprio bisogno di leggerli, mi piace aspettare le ‘uscite’ in edicola o in libreria. Seguo alcuni autori, mi piace collezionarli… ».

Ultima domanda. Se non avessi fatto la disegnatrice, che cosa avresti scritto sulla tua carta d’identità?
«Ci avrei fatto un disegnino!».

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