Chi sono i nostri calzolai? Quante botteghe esistono nel centro di Ferrara? C’è ancora chi va in questi negozi? Tra le mille cose che non ho fatto nella vita, una di queste è stata recarmi da un calzolaio per riparare un paio di scarpe. Mi sono sempre chiesto come questi artigiani potessero sbarcare il lunario, forse convinto che il mio atteggiamento fosse una sorta di regola generale, completamente ignaro di chi frequentasse i loro laboratori, o del perché ci fosse seduto spesso qualcuno in una sedia posta vicino all’ingresso.

Io generalmente le scarpe le porto fino alla distruzione e, finito il loro naturale ciclo, ne acquisto un altro paio, magari in offerta. Quelle poche volte che mi sono trovato dentro una bottega di un calzolaio è stato per farmi fare al volo due fori alla cintura, diventata misteriosamente troppo stretta dopo le feste di Natale o di Pasqua. Così, questa volta, sono stato in cinque negozi destinati alla riparazione delle scarpe con intenzioni diverse dal farmi allargare la cintura: volevo soddisfare le mia curiosità.

Ho chiesto a chi opera dietro il bancone in cosa consista il lavoro, se fosse cambiato qualcosa dall’inizio della loro attività, cosa significhi essere oggi un calzolaio. Ho scoperto con mia grande sorpresa che a Ferrara le scarpe si riparano spesso, e che la clientela è anche molto varia: uomini, donne, anziani, giovani. Le mie precedenti e poco solide convinzioni vacillano infatti già al primo negozio, dove vengo liquidato gentilmente ma in fretta. Il proprietario è oberato di lavoro e non ha il tempo di fermarsi a rispondere a nessuna domanda. Così, costretto a riprendere la bici appoggiata fuori, mi dirigo verso il negozio successivo.

Quando scopro che altri titolari sono in grado di dedicarmi più attenzione tiro un sospiro di sollievo. Nel corso delle interviste vengo fatto accomodare in una sedia sistemata vicino all’entrata, destinata ad accogliere gli avventori che devono effettuare le riparazioni più veloci. I locali dove viene svolta l’attività, spesso piccoli, sono circondati da un numero indefinito di scarpe che si stringono le une sulle altre all’interno di scaffali appoggiati alle pareti. L’aria sa di cuoio, colla, solventi vari, eppure non impregna le narici in modo fastidioso, è quasi piacevole.

Vittorio Leggieri – Foto di Giulia Paratelli

Il negozio più ricco di oggetti è sicuramente quello di Vittorio Leggieri, in via Saraceno. Oltre alle scarpe e alle macchine da lavoro ci sono diverse fotografie, un poster con la scritta “don’t panic and carry on”, una piccola lampada dove sono appesi annunci di lavoro. La foto più particolare, che mi colpisce, sembra vecchissima. Mostra una famiglia in posa vicino ad una macchina da cucire. Sono i vecchi proprietari di una cucitrice che ancora oggi viene usata nel negozio dove è appesa adesso la foto. Con un secolo di storia alle spalle la macchina è ancora funzionante. La difficoltà nell’avere uno strumento così antico consiste sicuramente nel trovare i pezzi di ricambio. Vittorio sembra avere l’arte di aggiustare le cose nel sangue. Anche la sedia dove ogni giorno lavora è stata recuperata, non so dove, ricostruendo il sedile con del cuoio, lo stesso che usa per riparare le scarpe.

Mauro Travagli – Foto di Giulia Paratelli

Un altro bellissimo negozio è quello di Mauro Travagli, in via Bologna. Qui l’ambiente è più grande. Oltre le diverse calzature si vedono foto di motociclette d’epoca, riviste varie, e oggettistica. La mia attenzione cade su delle piccolissime sculture che inizialmente scambio per pipe. In realtà sono bocchini per sigari. Mauro è un appassionato di antiquariato. Prima di andare via mi mostra gli esemplari più belli.

Dell’attività che svolgono questi calzolai ciò che mi rimane impresso è il legame che sussiste tra il cliente e il negoziante. Mi ricorda, in un’immagine nascosta nelle mie reminiscenze di ragazzino, l’atmosfera tipica delle botteghe di periferia. Si tratta di un rapporto che si avvicina all’affetto, fatto di non semplice cortesia, un qualcosa che va oltre la vendita di un prodotto di consumo, lontano dalla logica dei grandi centri commerciali.

È con sorpresa che durante l’intervista mi trovo coinvolto a parlare anche con alcuni clienti che si sono fermati nel locale per il semplice gusto di fare due chiacchiere. Tutti gli intervistati svolgono la propria attività da soli, senza l’aiuto di nessun apprendista. Hanno imparato il mestiere presso un familiare che ha tramandato loro l’arte di riparare le scarpe.

Gabriele Prearo – Foto di Giulia Paratelli

Spesso non amavano svolgere questo lavoro da ragazzini, ma lo hanno apprezzato solo nel corso del tempo. Fa eccezione Gabriele Prearo, in Corso Isonzo: «mi è piaciuto fin dall’inizio, quando incominciai con mio padre. È grazie a lui se ho iniziato». Gabriele, che in negozio ascolta Jazz, suonava il trombone e ha ancora la passione per la musica. Ripara sia scarpe che borse, ha studiato da ragioniere, e la cosa più bella su cui ricorda di aver lavorato sono calzature e accessori per vari gruppi che oggi realizzano rievocazioni medievali.

Vittorio Leggieri, invece, ha iniziato con lo zio. Allora non sopportava l’idea di essere bloccato all’interno di una bottega. Mentre il cielo sulla piazza dove affacciava il negozio era infestato di rondoni che svolazzavano liberi, lui era confinato all’interno. Si promise che non avrebbe mai fatto questo mestiere nella vita. Un tempo tutte le scarpe venivano realizzate e riparate interamente a mano, senza l’utilizzo di macchinari, ogni accomodatura richiedeva diverse ore di lavoro. Il costo del prodotto era più elevato rispetto a quello di oggi, ed anche i materiali utilizzati erano differenti.

Mauro Travagli ha incominciato proprio dentro un laboratorio, insieme alla sua famiglia, dove le scarpe venivano prima disegnate e poi realizzate. È convinto che una delle difficoltà maggiori nello svolgere questo lavoro oggi sia fare i conti con le moderne calzature. Molte di queste, dice, sono spesso difficili da riparare perché costruite in parte o del tutto in plastica. Può succedere che il costo della riparazione superi quello di un nuovo paio di scarpe e non risulti più conveniente al cliente. Spesso i produttori di mastici e collanti forniscono alcuni campioni da sperimentare sui prodotti più ostici, ma non sempre ciò basta a superare l’ostacolo. A differenza degli altri calzolai, Mauro non è sicuro che rifarebbe lo stesso mestiere potendo tornare indietro: «se potessi riportare le lancette del tempo a quando era ragazzo probabilmente continuerei gli studi».

Quando gli chiedo che fine farà questo lavoro risponde: «Non avremo più artigiani, calzolai compresi. In questa società se non guadagni devi chiudere e non hai ragione di esistere. Ci stiamo muovendo verso una direzione sbagliata che non dà il giusto valore alle cose, all’artigianato. Facciamo sempre gli stessi errori».

Vittorio Peron – Foto di Giulia Paratelli

Oggi alle mani del calzolaio si sono unite le macchine, facilitano notevolmente il lavoro anche se richiedono un investimento di denaro davvero notevole. Ciò che sicuramente accomuna tutti i calzolai è la difficoltà legata a trasmettere la propria esperienza. A detta degli intervistati la legislazione attuale non aiuta a prendere qualcuno nel proprio negozio che possa continuare in futuro l’attività: un apprendista risulta svantaggioso, un impegno troppo gravoso. Secondo Vittorio Peron (via Garibaldi), che preferisce parlarmi fuori dall’orario di lavoro per darmi più attenzione e non trascurare nessun cliente, dice: «sarebbe necessario che le associazioni di settore fossero ancora più presenti. Dovrebbero dare più valore all’artigianato anche attraverso la promozione di corsi, magari serali». È quasi convinto che in queste condizioni fare il calzolaio sia un’arte destinata a svanire.

Un dato interessante è notare come oggi Ferrara sia carente di coramerie: tutti i calzolai si riforniscono per l’acquisto dei materiali necessari all’attività da aziende fuori città; non che non ci siano mai state, ma molte hanno chiuso nel corso del tempo.

Ciò che gli intervistati amano di più nel loro lavoro è potersi sbizzarrire nella riparazione della scarpa, creare un prodotto di qualità che soddisfi il cliente, cambiarlo il più possibile. Sembra non esserci niente di più bello per un artigiano che veder soddisfatto chi ritira le sue scarpe completamente rinnovate grazie al lavoro di chi le consegna. A volte non parliamo di una semplice riparazione di una suola, o di un tacco rovinatosi a causa dei ciottoli ferraresi, ma il poter mettere mano alla calzatura modificandola, magari utilizzando diversi materiali, nei limiti del possibile e delle esigenze della clientela. Esempi possono essere trasformare uno stivale a gamba stretta in uno a gamba larga, riuscire a trasformare una scarpa chiusa in una scarpa aperta. Vittorio Peron ricorda di aver lavorato su una scarpa normale per realizzare un modello più particolare, destinato ad una cubista, modello che in seguito è stato anche esposto in un negozio del settore.

Oggi il lavoro di calzolaio, nonostante l’introduzione delle macchine, ruba ancora tempo e impegno. Vittorio Leggieri ammette che ciò che gli manca di più è non avere la possibilità di prendersi più di un minuto per fare altro, magari curare un orto dietro casa o seguire un interesse personale.

Questo mestiere, a differenza di un tempo, permette di vivere dignitosamente come in altri tipi di attività, tenendo conto ovviamente delle normali difficoltà che ogni piccolo imprenditore è costretto ad affrontare. Confrontando le opinioni degli intervistati sembra che i grandi centri commerciali non siano riusciti a schiacciare del tutto questi negozi. Gabriele Prearo mi spiega: «questo aspetto, secondo me, non è così rilevante. Chi acquista una scarpa di qualità ci tiene a ripararla, non la getta via». Non è del tutto d’accordo invece Mauro Travagli, che ritiene invece che i nuovi modelli di scarpe, spesso costruiti con materiali in plastica, più economici, rendano comunque più gravoso fare il calzolaio oggi.

Vittorio Peron prima di salutarmi mi fa notare come a Ferrara un tempo ci fossero più negozi dediti alla riparazione delle scarpe. Ne ho forse una piccola conferma qualche minuto dopo; vorrei infatti effettuare un’ultima intervista in via Cavour ma mi rendo conto che del locale che cercavo è rimasto solo un indirizzo su internet. Peccato, cominciava a piacermi l’atmosfera che ho respirato in queste piccole o medio-piccole botteghe, ne avrei gustato ancora un po’, nonostante questa volta non mi servisse nessun buco alla cintura.

5 Commenti

  1. paola scrive:

    Articolo bellissimo e veritiero, peccato tu non abbia intervistato forse lunica donna calzolaio di ferrara..avrei avuto qualcosa da aggiungere

    • Stefania scrive:

      infatti! Mi aspettavo di leggere anche l’esperienza della “calzolaiA” di Ferrara, sarebbe stato interessante

    • Carlo (Charlie) scrive:

      Ciao Paola, che dire… hai ragione. Prima di scrivere l’articolo ho fatto una piccola valutazione: decidere chi intervistare e dove. La scelta è caduta sui calzolai nei pressi del centro.
      Ho gironzolato con la bici e ho digitato “calzolai Ferrara” su Google per trovare i negozi.
      La verità è che non sapevo tu svolgessi questo lavoro e che sei forse l’unica donna calzolaio nella nostra città, insomma mi sei sfuggita.
      Un mio errore, e ora mi dispiace, perché sarebbe stato un bel punto di vista da raccontare.
      Detto questo sono contento che l’articolo ti sia piaciuto.
      Grazie mille per il bel commento e buon lavoro. 🙂

  2. Peron Bruno scrive:

    Sono il fratello di Vittorio Peron e quindi sono parte in causa, ma volevo ugualmente complimentarmi per il bel servizio che avete eseguito, non solo a causa della mia parentela ma anche perche’ articoli sugli artigiani puri sono sempre un incentivo a far capire ai giovani che il lavoro del calzolaio artigianale e’ una professione che, in questi tempi di crisi, puo’ essere una via di sfogo e, oltre a Voi giornalisti, avremmo bisogno di piu’ attenzione anche da parte delle associazioni e , sopratutto dai nostri governanti.
    Complimenti ancora.

    Peron & Peron

  3. Fatima scrive:

    salve io un’anno fa ho fatto un’intervento per l’alluce valgo e purtroppo non riesco a piegare molto il piede e vorrei sapere se si possono fare delle come queste ma con il plateau più alto in modo che non piego molto il piede ( http://www.ebay.it/itm/Scarpe-Donna-Decolte-Gioiello-Sposa-Bianco-Panna-Strass-Tacco-13-Destiny-06R-/271413654040?var=&hash=item3f3183b218:m:m5HXf0RR6zSTL1iOZDmrBcw )

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