Valentina è una nuova recluta tra le guide ferraresi, da un paio di mesi accompagna flotte di turisti per le strade della città e le sale dei musei. Ci aspetta, tra una scolaresca e l’altra, per una visita guidata davanti all’ingresso del Palazzo dei Diamanti. La mostra che ci apprestiamo a visitare, intitolata “LA ROSA DI FUOCO – La Barcellona di Picasso e Gaudí”, è stata inaugurata il 19 aprile e proseguirà fino al 19 luglio. La città, assieme agli affezionati del Palazzo dei Diamanti, la stava aspettando con impazienza. I curatori, Tomàs Llorens e Boye Llorens, ci portano ancora una volta in Spagna e, più precisamente, nel cuore pulsante della Catalunya, per farci rivivere un’epoca, quella della Renaixença, segnata da una forte spinta rinnovatrice e da profonde contraddizioni.

Come ci tiene a precisare Valentina sin dall’inizio, non si tratta di una mostra legata ad una particolare corrente o ad un artista, è piuttosto il tentativo di far conoscere e comprendere il tumulto di una città, anarchicamente denominata “la rosa di fuoco”, in un periodo ben definito, che si snoda partendo dall’Esposizione Universale a Barcellona del 1888 fino ai moti di rivolta del luglio 1909, tristemente noti come “settimana tragica”.
Per cogliere a pieno le opere d’arte esposte, i sentimenti e le idee che le hanno ispirate, è dunque necessario comprendere le spinte e le tensioni che si intrecciarono a Barcellona sul finire del XIX secolo. Tra queste vi era il pensiero positivista e modernista, portatore di un fermento architettonico dal quale emergerà il genio di Antoni Gaudí, che verrà a scontrarsi con la realtà della disuguaglianza sociale; il crescente spirito nazionalista e indipendentista, che caratterizza la città anche ai nostri giorni, portatore sia di una rinascita, legata al recupero delle tradizioni, che di forti tensioni interne. Visibilmente in contrasto erano, inoltre, l’indolente borghesia, committente per eccellenza, e la massa povera e informe degli emarginati.

Foto di Andrea Bighi

Passeggiando lentamente per le sale, divise per macrotemi quali lo spazio pubblico e quello privato, il teatro, la femme fatale, ecc., ritroviamo senza sforzo le tematiche e le contraddizioni appena menzionate. In quest’ottica di contrasti, non stupisce che un artista come Ramon Casas possa spaziare, nella sua produzione di quegli anni, da raffinati manifesti pubblicitari in perfetto stile Art Nouveau, a opere di denuncia sociale, La garrota del 1894, per tornare a languide scene domestiche, come in Dopo il ballo del 1899, dove la noia pervade la giovane protagonista.

Nelle prime sale, attraversate al fianco della nostra, guida il clima ci appare disteso. Incontriamo foto d’epoca che immortalano le creazioni di Gaudí, splendidi gioielli dai motivi zoomorfi e floreali, sculture a soggetto nazionalista, scene di vita borghese, bozzetti teatrali, i ritratti degli avventori dell’ostello Els Quatre Gats. Tante forme d’arte diverse, che rimandano sovente alla Parigi fin de siecle, e che collaborano alla realizzazione dell’ideale wagneriano dell’opera d’arte totale. Ma nonostante l’atmosfera serena pare che qualcosa si muova sotto la superficie. Valentina ci mette in guardia, bisogna osservare con attenzione tra le opere. Non dobbiamo dimenticare che stiamo respirando lo spirito tra due secoli, uno spirito inquieto e in tumulto che sfocerà nella prima e nella seconda guerra mondiale. Gli artisti esposti intridono di questo spirito le loro opere che sovente, pur denunciando i mali della società, necessitano di uno sforzo interpretativo per rivelarsi a pieno allo spettatore.

Così, mentre procediamo, ci appare lo straniante abisso multicolore di Joaquim Mir, lo sguardo impenetrabile della giovane ritratta da Hermen Anglada Camarasa nell’opera Il pavone bianco del 1904 e, per finire, il Ritratto di Gustave Coquiot del 1901 eseguito da Pablo Picasso, che pare voler preannunciare al visitatore le porte stesse degli inferi. Una sorta di angoscia repressa esplode attraversando proprio la porta celata da quest’ultimo ritratto, la voce di Valentina si fa più bassa e ci ritroviamo con lei al centro della settimana tragica, nel cuore delle rivolte sociali che dilaniarono la città.
La classe operaia, emarginata e lontana dagli splendori artistici e culturali riservati ai borghesi, si ribellò al potere costituito e prese in mano la città, la rivolta, durata appunto una settimana, venne repressa nel sangue dall’esercito. Questa vicenda segnò la fine dell’epoca d’oro di Barcellona.

Foto di Andrea Bighi

Le ultime due sale dell’esposizione servono a mettere in luce la verità scomoda e malcelata. Il soggetto, ripreso da vari artisti, è il medesimo: i poveri, gli emarginati, i miserabili. Proprio ammirando le opere di Picasso e Isidre Nonell la nostra guida ci rivela che i visitatori, specialmente i bambini, riescono a percepire nel profondo il senso di solitudine e miseria che le pervade.

Quella che abbiamo visitato è una mostra dalla doppia anima. La prima è quella che cattura e incanta l’occhio del visitatore inebriandolo dello splendore di fine ‘800, la seconda e più complessa, poiché spesso sussurrata in sottofondo, rende percepibile il malessere di una società in crisi, una società che arriverà ad autodistruggersi. Per questo non si tratta di un’esposizione “facile” ma di un progetto importante e coraggioso, che per essere compreso appieno necessita di buona volontà, e magari un po’di approfondimento.

Torniamo infine con Valentina all’ingresso del Palazzo per ringraziarla e salutarla. La sua passione per l’arte e per il mestiere che ha appena intrapreso traspaiono dal suo volto e dalle sue parole. Certamente senza di lei non avremo potuto comprendere appieno i significati celati dalla Rosa di fuoco.

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