Il prossimo anno sarà quello del centenario dalla sua nascita. Nell’universo di Giorgio Bassani c’è stato posto per tante cose. Dagli ideali di libertà al rapporto fra sport e letteratura, dalla passione per il tennis all’impegno contro il fascismo. Oltre a una produzione di opere che lo hanno reso uno degli autori più importanti del Novecento. A mantenere viva la sua memoria c’è l’attività dell’omonima Fondazione, che raccoglie documenti e promuove iniziative culturali legate ai vari interessi dello scrittore. Fondatrice e presidente è la figlia Paola, storica dell’arte. Le sue parole per raccontare il padre restituiscono le tessere di un mosaico dalle numerose sfaccettature.

È vero che suo padre, a chi gli chiedeva quale fosse il suo mestiere rispondeva di essere un insegnante?

«Diceva che il suo lavoro era il professore. La scrittura era la cosa a cui teneva di più il mondo. Un fatto legato all’ispirazione. E l’ispirazione non può essere un lavoro regolare. Mio padre non pensava ai soldi quando scriveva. L’insegnamento invece gli permetteva di vivere e gli assicurava una stipendio».

In che misura ha influito nella sua vita l’esperienza di insegnamento di Italiano e Storia agli studenti ebrei espulsi dalle scuole pubbliche, nei primi anni Quaranta?

«Quando è andato a insegnare alla scuola ebraica in via Vignatagliata, a Ferrara, ha fatto di tutto perché gli studenti non si sentissero emarginati. Il suo proposito era di trasmettere loro il senso della cultura italiana. Voleva che si sentissero orgogliosi di quella cultura, centrale per l’umanità».

Poteva la parola scritta, per lui, rappresentare uno strumento efficace contro la repressione fascista?

«Mio padre era impegnato fino all’osso. Non c’era bisogno che scrivesse di politica in senso stretto. Come antifascista andava alle riunioni del Partito d’azione. Quando scrisse i suoi primi racconti cercava di dire qualcosa di nuovo per una cultura diversa. Molti suoi romanzi sono l’eco dell’Italia che usciva dalla guerra. La storia arriva come uno shock, uno spigolo che colpisce un personaggio. Mi viene in mente il protagonista di ‘Una notte del ‘43’».

All’interno della sua biografia c’è spazio per la passione per il tennis. Che cosa gli piaceva di questo sport?

«Gli piaceva fare il servizio. Lanciava la palla nel campo avversario come se pregasse, se cantasse. Sentiva il tennis come un’arte, un talento che bisognava coltivare. Un po’ come la scrittura, lo distoglieva dai pensieri, gli svuotava la testa. E poi gli piaceva vincere. Aveva un dritto eccezionale e un forte rovescio. Ed era molto bravo nell’anticipo. Prima che la palla arrivasse, ne intuiva la traiettoria. Era molto mobile con le gambe e si spostava facilmente. Su un piano simbolico, il tennis per lui era uno sport di un’incredibile eleganza. Un combattimento educato, civile. Un dialogo fra due avversari. Un modo per organizzare gli spazi e calcolare le distanze. C’è un passaggio, nel romanzo ‘Il giardino dei Finzi-Contini’, nel quale si evoca un campo da tennis all’imbrunire. Una cosa forte e bellissima».

Che rapporto aveva con un altro artista ferrarese, il regista Michelangelo Antonioni?

«Si conoscevano da molto tempo ed erano amici. Ricordo quando io e mio padre andammo a vedere ‘Blow-Up’. Un film di Antonioni che gli piacque tantissimo per il bisogno di scontrarsi con la realtà attraverso il vetro della fotografia. Un vetro che fa da imbalsamatore a un uomo che è morto. E la partita di tennis simulata nel finale rappresenta una sorta di cerimonia funebre».

Nel mese scorso, a Ferrara si è svolto un evento dedicato alla figura di Giorgio Bassani. In una sessione della conferenza si è fatto riferimento al suo essere uomo, padre, ebreo e intellettuale. Che legame c’è, nella sua persona, fra queste quattro parole?

«Difficile definire il risultato di tutte queste cose insieme. È stato un uomo completo. Per noi figli è stato un maestro. Mi ha insegnato a leggere facendomi divertire. Giocava con noi, ma sapeva essere molto severo. Era ricco di sfaccettature. Voleva essere uno scrittore italiano con radici ebraiche. La sua bibbia era Dante Alighieri».

In che cosa suo padre può essere definito ferrarese?

«Ha vissuto a Ferrara fino al 1943 ed era molto fiero di essere ferrarese. La sua ‘ferraresità’ va vista dalla centralità dell’Italia. Mio padre aveva un senso globale della sua appartenenza. La sua prima realtà è stata Ferrara, con la sua società particolare. Una città che è stata sua ispiratrice, come la morte è stata sua ispiratrice universale. Ricordo quando ero piccola le nostre passeggiate al cimitero, in modo allegro».

Qual è la finalità della Fondazione Giorgio Bassani?

«La Fondazione siamo noi. Io e mio fratello, i nostri amici più stretti, e giovani studiosi che tengono a lui. Il nostro proposito è continuare a far vivere mio padre attraverso studi e ricerche. Adesso due studiosi italiani stanno provvedendo a digitalizzare l’epistolario bassaniano. Una serie di lettere ricche di testimonianze. Un lavoro che richiede un grande sforzo e che, una volta concluso, sarà consultabile. L’anno prossimo, per il centenario della sua nascita, abbiamo in programma tanti progetti».

Illustrazione di Simone Campana

Illustrazione di Simone Campana

Lascia un commento

Prima di lasciare il tuo commento, ricordati di respirare. Non saranno ospitati negli spazi di discussione termini che non seguano le norme di rispetto e buona educazione. Post con contenuti violenti, scurrili o aggressivi non verranno pubblicati: in fondo, basta un pizzico di buon senso. Grazie.