Federica Veratelli, vive oggi a Parigi. Quando sei emigrata?

In realtà, nel mio caso, piuttosto che un di “quando”, parlerei di “quante volte”. Dal 2001, spesso, e molte volte sono rientrata, per poi ripartire di nuovo. Prima le Fiandre, poi il Nord della Francia. Sono arrivata nel 2008 a Lille, dove è nato Charles de Gaulle, e una certa idea di Francia che oggi si fatica a tenere assieme, e dove la Francia si dissolve nel Belgio senza soluzione di continuità. Si tratta di una zona densa di storia, dove i confini non esistono, almeno fino a Calais, e da dove si può ancora sentir pulsare il cuore di una certa idea d’Europa.

Poi è stata la volta di Parigi, da dove, per ora, non sono più ripartita. Un enorme contenitore da scoprire che non ha bisogno di introduzioni, e che tutte le volte mi lascia un po’ interdetta… è tanta, tantissima!

Cosa facevi prima? Cosa fai ora?

Sempre lo stesso lavoro, sono storica dell’arte, ho provato a smettere ma non ci sono riuscita. La ricerca, soprattutto quella vagante e precaria, lascia poco spazio, ti costringe a scelte repentine, assorbe quasi tutto il resto. Per me è stata per lungo tempo quasi una prigione, ora piuttosto la vivo come una condizione privilegiata, che permette di volta in volta di lanciarsi in nuovi progetti d’archivio o editoriali, e di realizzazione di mostre internazionali, che finora, grazie a Dio, non sono mai mancati. In realtà non mi sento un’emigrata “forzata”. Forse un tempo ho sentito il desiderio di scappare, ora vado dove portano le occasioni con curiosità e con la consapevolezza, che alla fine, dove stai non è poi così importante. La palla è sempre la valigia da preparare, per un mese, due mesi, tre anni, variabile incontrollabile alla quale supplisco con la sicurezza di avere tutto quello che serve per lavorare serenamente: un pc, un archivio, e una buona e aggiornata biblioteca.


Cosa ti manca?

Tante cose, ovvie e banali forse, che riconosco nelle voci degli altri che hanno scritto prima di me in questa rubrica. In questo periodo in cima ai miei pensieri nostalgici c’è sempre la Pianura Padana, l’orizzonte lungo e piano. Tutte cose che i tetti di Parigi, pur se affascinantissimi, non consentono di intravedere. Però risulterei un po’ ipocrita se non aggiungessi che dal mio terrazzino si intravedono da un lato la punta estrema della Tour Eiffel poco più in là il Sacré-Cœur in tutto il suo splendore. Un coup-d’œil mozzafiato che ripaga di molto le fatiche dovute alla taglia del mio mini-appartamento (se cosi si puo chiamare, 12 metri quadri) situato al sesto piano senza ascensore. A volte però la claustrofobia generata dai tetti ha il sopravvento.

Cos’hai trovato?

Ho trovato molte cose che stavo cercando, non solo legate al lavoro di storica dell’arte, ma soprattutto legate alla sfera umana, delle conoscenze, degli incontri. Dopo gli anni nel Nord-Pas-de-Calais, dove ho conosciuto altri aspetti della Francia, la possibilità di vivere a Parigi mi ha fatto immergere in una nuova dimensione: la vita di quartiere. Quando sono arrivata in rue Popincourt, ero felicissima e incuriosita dal ritrovare la via cosi ben descritta da Simenon in uno dei suoi Maigret (http://www.adelphi.it/libro/9788845926211), e tutta la zona che gravita attorno alla Bastille. Non ne sono rimasta delusa. L’undicesimo è un quartiere molto vivo e interessante, che ancora risente dei fatti tragici di gennaio alla redazione di Charlie Hebdo, ma che possiede una forza straordinaria. Soprattutto rumorosa. Ormai dipendo da tutti i suoni che scandiscono le giornate di lavoro a casa o i rientri dalla biblioteca: il rumore del carrellino dei cinesi che svuotano i camion e riempiono di merci i negozi di vendita al dettaglio, le urla dei francesi arrabbiati, le riverenze delle panettiere arabe che salutano ogni passante come se fosse l’ultima. E poi i rumori dei miei vicini, tutti parigini nati e cresciuti qua, ai quali devo uno stage che ormai dura da un po’ su quello che bisogna e non bisogna fare o dire a Parigi: c’è molto da studiare ancora…

http://www.timeout.fr/paris/quoi-faire-a-paris/75-phrases-que-vous-nentendrez-jamais-dans-la-bouche-dun-parisien

Che cosa mangi questa domenica? Con chi?

Dopo qualche vasca in piscina, come tutte le domeniche, direi mangiando e bevendo, e parlando, ad uno dei nostri consueti “pranzi di famiglia”, con un gruppo di amici italiani. Di solito ci ritroviamo per cucinare pasta tradizionale associata a qualche bottiglia di buon vino francese, senza eccessive pretese culinarie.

Le pretese culinarie, del resto, le ho già ‘liberate’ durante il pranzo pasquale, a Woking, in Inghilterra, dove vive invece mia sorella, e dove ci siamo ritrovati per un pranzo tutto ferrarese con altri ferraresi. I cappelletti (lavorati forse un po’ troppo spessi) sono stati introdotti da un aperitivo con un ottimo rosé francese, un melting-pot forse un po’ troppo azzardato se ci ripenso …

Come trascorri questa domenica?

Per concludere, la nostalgia padana verrà ulteriormente accentuata questa domenica da una visita alla bella (pare) mostra su Antonioni che è in corso alla Cinémathèque (http://www.cinematheque.fr/fr/expositions-cinema/michelangelo-antonioni1/evenement-antonioni.html ) con un’altra ferrarese doc, con la quale mi posso permettere ancora qualche espressione dialettale. L’uso del “maial!” a commento di persone o cose provoca quasi sempre un guizzo fulmineo negli occhi della mia conterranea, e ci riporta immediatamente ad un milieu sicuramente meno raffinato e meno internazionale del resto della città che ci siamo ritrovate per caso a condividere, un milieu che però non abbiamo nessuna intenzione di dimenticare…

 

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