Se ti chiedi cos’è, allora non lo saprai mai. Sembra aver risposto proprio così, Louis Armstrong, quando gli chiesero: Ma che cos’è il jazz? Io me lo chiedo lo stesso, correndo il rischio che una risposta non la possa trovare davvero, oppure nella possibilità di scoprire un mondo musicale che, qui a Ferrara, vive nel Torrione S.Giovanni, sede del Jazz Club dal 1999. Vado, metto in fondo alla tasca del cappotto la scomoda domanda, e attraverso la sera di città, ad incontrare uno spazio che non so, forse una parte di me che ancora non conosco. Il Torrione, nella prospettiva che si avvicina, mi appare come una sentinella. Di quelle che il tempo è passato, ma loro sono ancora là, sulla linea di confine, a difendere un mondo prezioso con radici lontane, ma con lo sguardo che scruta l’orizzonte, verso il nuovo che avanza. Sentinella che da una parte custodisce e dall’altra riceve. Lo fa per tre sere alla settimana, da quando si è aperta, il 31 gennaio, la seconda stagione di questa sedicesima edizione di Ferrara in jazz.

Fino al 27 aprile, ogni venerdì, sabato e lunedì, gli antichi mattoni del Torrione svelano i suoi due locali: al piano terra quello piccolo con ristorante e bar, mentre al piano superiore la sala per i concerti più importanti, con la balconata che la abbraccia dall’alto. Per capire meglio cosa succede là dentro, vado a tre serate diverse, a vedere l’effetto che fa. E’ venerdì, e nello spazio del piano terra, il sorriso di Eleonora Sole accoglie all’ingresso, mette subito a proprio agio, in sintonia perfetta con l’ambiente caldo e leggero che si apre. È una specie di densità mobile, quella che mi appare, nella luce tenue della sala, mi slitta piacevole addosso il vivo chiacchierio delle persone, ai tavoli, al bancone del bar, sui divanetti. I musicisti hanno già cominciato a suonare, e tutto scivola fluido.

Il venerdì è Somethin’else: quel qualcosa di diverso che è la conoscenza di un luogo attraverso i suoi sapori e la sua musica. Prima si cena, poi si ascolta. Si viaggia per mondi con uno sguardo diverso. Così nella serata di Una notte in valle, con i sapori comacchiesi e la musica di Pietro Cavalieri D’oro e i Gipsy Strike, in un’atmosfera morbida e sospesa, come scivolare con una barchetta nell’acqua, leggeri, un po’ dondolanti, sarà il clarinetto, sarà l’influenza della musica manouche, la sintonia tra gli artisti, l’equilibrio mai esasperato o forzato, ma lineare, scorrevole, tranquillo. Sembra contagiare tutti, quel tappeto morbido di suoni, complice anche il vino, non so, o l’atmosfera raccolta, ma i pensieri evaporano, vorresti forse sempre trovare una musica così, che quasi impercettibile ti accompagna quando sei stanca, quando hai voglia di calma. In the mood of jazz. Voglia di jazz.

Foto di Luca Malaguti

Poi però, la sera seguente, cambia tutto. Quasi tutto. C’è sempre Eleonora e la sua gentilezza, al piano di sopra, ad accogliere, ma la musica si trasforma. Serata di un sabato dedicato alle sonorità argentine, dove il jazz va a ballare un po’col tango, con il gruppo di Javier Girotto e gli Aires Tango. Perché Jazz, è anche questo, intuisco: contaminazione, incontri. Fa giri strani, insomma, e mischia le carte in tavola. Se pensavo di aver capito, la sera prima, non è proprio così. Rivedo molti dei visi della sera prima, tra il pubblico, ma c’è più gente, e appare meno omogenea, meno lineare. Platea con più giovani, e dai vestiti si capisce, è quella delle intelligenze irregolari del chissenefrega stasera mi metto i jeans, o il cappello lo giro storto, non devo necessariamente apparire, voglio essere me stesso. Sembra un rapportarsi con la musica e il posto in maniera sincera. Guardo attorno, nelle note che vanno, ognuno sembra in uno spazio suo, c’è chi muove a ritmo la testa, chi le gambe, chi resta inchiodato secco, come ipnotizzato, non un muscolo che si muova. La musica attraversa il corpo di ciascuno, e lo fa in maniera personale. C’è anche chi sembra dormire, non si capisce, forse è solo concentrato, e si riprende agli applausi, applaude anche lui, come ritornato in sé.

Strano effetto, sarà il sax, sarà il tango, ma è un jazz diverso, lo sento più distante, forse a raccontare una specie di nostalgia, in una melodia di partenza che poi si perde, non si trova più. Immagino un viaggio lontano, a cercare qualcosa di diverso, poi però tac, ecco che ritorna, inalterata, quella melodia dell’inizio. Sarà a dire le radici, la tradizione, ma a me sembra anche quasi una gabbia, magari dorata, comunque un eterno ritorno, un ovunque andrai, ci sarà una parte di te immutabile. Sarà anche il trovarsi dentro ad una struttura circolare, strana sensazione essere in uno spazio rotondo, senza angoli, dove alla fine torni sempre al punto di partenza. Perfino la scaletta che unisce le due sale è un giro verticale, una stretta chiocciola, che a farla, anche da sobri, sembra un ipnotico avvitarsi su se stessi.

L’appuntamento del lunedì invece si chiama Happy go lucky local. Dai, provateci anche voi, a pronunciarlo. A sentire il suono che fa, con tutte queste elle, soprattutto per un ferrarese, poi, sono vere soddisfazioni. Parole in fila che dicono già l’aria giocosa delle jam session che seguono i concerti. Quel lunedì con Carlo Atti Superbalance, è stata un’esperienza ancora diversa. Introduce il gruppo, come sempre, il direttore artistico Francesco Bettini. Atti, formatosi a Bologna nella fila degli artisti hard bop, suona anche a New York. Mi arriva una musica inquieta, che corre da tutte le parti, molto sax, quasi un continuo inseguire qualcosa, ma non capisco cosa, come a salire su una montagna con mille tornanti e presi troppo in velocità. Con la sensazione di non arrivare mai in cima, di non fermarsi un attimo a respirare l’aria e a guardare l’orizzonte. Il mio sguardo scivola un po’ verso il perimetro della balconata in alto, sulle foto in bianco e nero dei grandi della storia del jazz, che sembrano sempre lì, immortali. E intanto cammino su un pavimento di mattoni irregolari, belli perchè imperfetti, unici, perchè nessuno è uguale all’altro. Scendo la scaletta a vite, indenne, prima dell’invasione della jam session. Il salotto morbido infatti poi si riempie di voci e movimento.

Si parte con l’improvvisazione, il gioco, l’incontro. Comprende tante anime, il Torrione. Quella di chi è appassionato e sa già, e quella di chi è curioso e vuole conoscere. In un posto suggestivo, dove si può essere se stessi, divertirsi o rilassarsi. Il programma è ricco di appuntamenti, l’accoglienza è speciale, e la musica è uno spazio di conoscenza. Chiedo a Silvia, che fa il conservatorio, ed è lì anche lei, se condivide la mia sensazione che il jazz sia un mondo complesso da conoscere, da amare, forse. O se la musica è musica a prescindere, linguaggio universale, capace di arrivare comunque. Le chiedo se secondo lei è un colpo di fulmine, o un ascolto che va educato, coltivato con pazienza. Vale un po’ tutto, mi risponde, è vero che la musica è musica, è vero che c’è chi ama il jazz e se ne innamora subito, chi invece si appassiona col tempo. E’ una musica matura, mi dice Vito, lui che è un grande appassionato. Sicuramente non una scelta casuale, puntualizza. Ci arrivi forse in modi diversi, ma non la ascolti per caso. Capisco anche che è una musica non omogenea, che è trasformazione viva nel momento, improvvisazione, che dipende da chi la suona, dagli strumenti, dal contesto, dall’atmosfera che si crea. Perfino da chi la ascolta, da quanto si è disposti a ricevere. Forse ha a che fare con una disposizione dell’anima, mi viene da pensare, si crea una sintonia tra chi suona, chi ascolta, e l’ambiente attorno. Così che lì ci puoi trovare anche un po’ di te, ascoltando e ascoltandoti, lasciando che la musica entri dentro. Magari farà giri strani, inconsueti, difficili, ripidi dislivelli, strette curve su curve, ritorni, oppure scivolerà lieve e malinconica, tappeto morbido sui pensieri, velluto. E’ un non sapere cosa arriverà, e lasciargli spazio. Una disposizione d’essere. Come scrive Bollani: «Non solo nella musica, ma anche nella vita, il vero spettacolo è ascoltare».

1 Commento

  1. Dino scrive:

    Piacevolmente coinvolto da questa gradevole lettura. Nulla toglie, con la sua leggerezza, al contenuto che ti fa capire che chi scrive ne sa. Quindi pregevole la capacità di trasmetterlo attraverso i suoi articoli in grado di disegnare gli argomenti che racconta.
    Non sono mai stato al Torrione che conosco solo attraverso i suoi programmi ma dopo questa lettura sono incuriosito perché dovrebbe essere un luogo dove il musicista può dare il meglio di se’ e di conseguenza l’ascoltatore verrebbe ad essere soddisfatto dalle proprie attese.
    brava Federica !

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