«Sognatori. Eravamo una casa piena di sognatori. La nonna sognava la sua casa nel lontano Abruzzo. Mio padre sognava di essere senza più debiti e di fare il muratore a fianco di suo figlio. Mia madre sognava la sua ricompensa celeste con un marito allegro che non scappava via. Mia sorella Clara sognava di fare la suora, e il mio fratellino Frederick non vedeva l’ora di crescere per fare il cowboy. Se chiudevo gli occhi riuscivo a sentire il ronzio dei sogni per tutta la casa, poi mi addormentai». 

Il sogno che scava dentro accende lo sguardo e provoca una sorta di ronzio. Penso a questo passo tratto da ‘1933. Un anno terribile’ di John Fante quando mi capita di rivedere il film ‘La scuola’ di Daniele Luchetti. E penso allo stesso ronzio che ritorna prepotente nell’omonima trasposizione teatrale. Tutt’un altro contesto rispetto al romanzo, si dirà. Di luogo, di tempo, di personaggi. Eppure sabato scorso, al Teatro Comunale di Ferrara, ho provato a chiudere gli occhi e a tentare di isolare il suono di quel ronzio. Ci sono riuscito soltanto alla fine, quando Silvio Orlando, nei panni del professor Cozzolino, ha pronunciato l’ultima battuta dello spettacolo, pochi istanti prima che calasse il sipario. Ed è stato allora che il rumore si è fatto più intenso fino ad avvolgere tutto. Fino a quando il pubblico in sala non lo ha diluito nel fragore del suo applauso.

Il ronzio è il segno distintivo dell’alunno più nominato nel corso dell’opera. Quel Cardini, che nel film del 1995, non ha un nome e neppure un volto. Ma irrompe con la sua presenza negli aneddoti dei compagni di classe, nei giudizi degli insegnanti, nelle dinamiche dell’intero istituto scolastico. Il verso della mosca è il suo cavallo di battaglia. Ma la battaglia è una prova a cui si sottrae. Perché il ronzio è un’arma spuntata nel terreno minato dell’adolescenza. Cardini che sistematicamente marina la scuola. Cardini che, riferendosi all’insegnante di religione, scrive ‘Mattozzi verme’ sui muri dell’istituto. Cardini che durante la gita scolastica a Verona, si aggrega nel pullman dove viaggia una studentessa di un’altra scuola diretta ad Aosta, sospinto da un colpo di fulmine. Cardini il ripetente. Cardini il quasi ventenne. Cardini che ignora il latino, ma non la locuzione ‘Semel in anno licet insanire’. Malinconico ma impavido. Incasellato nei quadratini di un registro di classe, ma imprendibile nella sua sua perenne corsa. Che forse sarebbe più corretto definire volo. Nella pellicola del regista Luchetti, Sivio Orlando è il professor Vivaldi, e l’obiezione alla bocciatura dell’allievo ha il sapore dell’arringa difensiva. La passione con la quale lo difende sembra la celebrazione di un’utopia, di un modello di scuola ideale. Un modello seppellito dalle macerie, che a vent’anni di distanza dal film al cinema, ancora deve fare i conti con una ricostruzione. Ecco, le gesta di tal Cardini, gli sembrano scintille nel buio.

Alla radice dello spettacolo ci sono i libri di un insegnante autentico. ‘Ex cattedra’, ‘Fuori registro’, ‘Sottobanco’, sono alcuni dei titoli delle opere che Domenico Starnone ha scritto, probabilmente ispirato da anni d’esperienza trascorsi nelle scuole medie superiori. Da lì alla piéce teatrale ‘Sottobanco’, nel 1992. Poi, tre anni più tardi, il film ‘La scuola’, dove alle nevrosi dei professori fa da contraltare, comico e drammatico insieme, la ruvida presenza degli studenti. Tutti meno uno. Indovinate chi? Passano vent’anni e arriva ‘La scuola’ a teatro. La regia è ancora di Daniele Luchetti, mentre il cast, oltre a Orlando, comprende Vittorio Ciorcalo, Roberto Citran, Marina Massironi, Roberto Nobile, Antonio Petrocelli e Maria Laura Rondanini.

L’assenza di Cardini è inghiottita da quella degli altri compagni di classe. Gli viene perfino assegnato un nome, Mauro, che forse potrebbe amalgamarlo e omologarlo agli altri. Ma il suo guizzo ‘artistico’ risalta nel gruppo come disomogeneo. Il protagonista, ancora presente-assente, sembra più incattivito. Gli unici personaggi in scena, che rappresentano preside e professori, lo descrivono come autore di lettere minatorie, come dedito ad atti quasi delinquenziali. Un elemento, in fondo, irrecuperabile.

A nobilitarlo, c’è il solito insegnante di lettere. Alla fine dello scrutinio, nell’insperato tentativo di evitargli una seconda bocciatura, cerca di rendere poetica la sua figura. Con la vita legata a una corda e sospeso a mezz’aria, Cozzolino volteggia sull’arredo scenico della palestra, adibita a sala professori. Plana sulle teste degli altri colleghi e prova a immedesimarsi nel problematico allievo. Riproduce i suoi gesti, avvicinandosi alla professoressa di ragioneria e ricalcando un episodio avvenuto fra l’alunno e la sua compagna di banco. «Salvami, sono la mosca, è Cardini che ho dentro», ripete con disperata convinzione. Nel suo sguardo spaventato c’è tutta la paura di crescere. Nell’elemento grottesco della situazione, c’è il dramma dell’inversione dei ruoli. La mosca ha paura di trasformarsi in Cardini, e non viceversa. E quel ronzio del sogno adolescenziale che accende e terrorizza insieme, nessuno riesce a comprendere. L’impotenza della scuola non sta più nelle sue pareti fatiscenti, nei limiti della sua struttura, nelle ansie, quasi patologiche, dei suoi docenti. No, l’impotenza della scuola è avere smesso di leggere le richieste di aiuto degli ultimi che l’attraversano.

Perché Cardini non è solo l’anonimo cognome di un alunno di un istituto di periferia. Cardini è anche una metafora. Del potenziale presente in ciascun di noi che, se incompreso, banalizzato o respinto, finisce per dilapidarsi per strada, nella periferia della vita. L’idea che si possa salvare, lanciando un urlo sguaiato che rasenta il ronzio di una mosca, ha un effetto che oscilla fra il dramma e la comicità. E la poesia. Perché in fondo quelli che sembrano ultimi a scuola, magari in realtà stanno correndo da soli. E se sono rimasti indietro di qualche passo, vuol dire che forse prima ci hanno doppiati.

1 Commento

  1. vinny scrive:

    Bellissimo

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