«Diceva Ezra Pound che “se un uomo non è disposto a lottare per le proprie idee, o le sue idee non valgono niente o non vale nulla lui”. Per questo da giovedì 12 febbraio riapro, perché credo nel valore della mia idea». Simone Bavia, che dal 1997 è gestore della Caffetteria di palazzo Schifanoia, ha deciso di riprendere in mano la situazione e di riaprire il locale da lui ideato e realizzato in 17 anni di attività.

Il 16 novembre scorso aveva preso la difficile decisione di chiudere, amareggiato e stanco di non riuscire a trovare un accordo col Comune, proprietario dell’immobile. «Dopo il terremoto – spiega Simone Bavia – la mia attività fu l’unica a rimanere chiusa, poiché collegata al museo Schifanoia, generando solo costi senza poter ottenere alcun guadagno in quel periodo. Ottenni da parte dell’amministrazione comunale uno sconto sul canone d’affitto, tuttavia non ancora sufficientemente sostenibile».

Cosa è cambiato ora? Da parte del Comune, nulla. «Entro il 3 aprile, l’amministrazione mi ha detto di sgomberare, portando via tutto quello che c’è. Questo vuol dire smantellare quello che ho fatto negli anni, che considero non solo un lavoro, ma una vera e propria missione di vita. Ho sognato e realizzato la Caffetteria come un posto unico dove tutti, cittadini e turisti, trovassero elementi di arricchimento, anche rispettando e dando integrità alla bellezza di palazzo Schifanoia. Un luogo che fosse per l’anima».

La Caffetteria Schifanoia segue infatti, dall’allestimento alla musica, un percorso atto a ‘svegliare’ l’uomo secondo quanto insegnato da Gurdjieff. Gli oggetti sedimentati dal tempo, voluti all’interno del locale, sono innumerevoli. Una scelta continua, infinita, immensa. Un progetto artigianale contro la serialità odierna, invasiva e disturbante.

Ad aprile, in vista della scadenza del contratto, ci sarà una gara pubblica per decidere a chi verrà affidata la prossima gestione. E gli oggetti, tutti gli oggetti, se non cambiano gli accordi col Comune, spariranno con Simone Bavia. Non ci saranno più abiti appesi alle pareti, né sabbia del mar Morto che ti invita a toccarla, né tantomeno vecchi scrittori che ti guardano dalle cartoline, accartocciate dal rincorrersi delle stagioni. Un’altra parte di quella Ferrara nostra che sparisce, inesorabile, davanti ai nostri occhi.

«Domenica 15 febbraio alle 15 farò un brindisi aperto a chiunque voglia passare – conclude Bavia -. Ora voglio solo rimettermi a lavorare, a crederci, per poter pagare i miei debiti. Vorrei avere dei rapporti più sereni col Comune e poter continuare col mio progetto, che è anche la mia ragione di vita».

 

Foto di Claudio Furin

1 Commento

  1. William scrive:

    E bravo il nostro Comune, un’altra attività con un progetto interessante costretta a chiudere per mancanza di disponibilità dell’Ente.

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