Vivo lontano dalla mia Ferrara, ma vengo spesso a rivangare la mia gioventù in questo luogo stregato, attraente come un vortice. Percorro a piedi così le strade e inizio il mio viaggio nel tempo. Andiamo, venite con me, possiamo intanto fare due chiacchere? Ci facciamo compagnia e chissà che non ricordiate qualcosa pure voi. Magari mi potrete pure aiutare!

Ora, ad esempio, sono in corso Isonzo, all’incrocio con via Garibaldi e via Cassoli. Guardo a destra e a sinistra, ci sono i platani. In corso Isonzo ci sono sempre stati, ma quelli che esistevano prima di questi che vedete, (piantati e sorretti dai “caraz” nel 1946) erano non belli, ma meravigliosi. Erano collegati, sulle lunghe aiuole erbose che delimitano i controviali, da una foltissima siepe sempre tagliata a regola d’arte. Come mai, ci si può chiedere, quelli vecchi non ci sono più? Semplice, alcuni furono abbattuti dalle bombe, ma i rimanenti, quasi tutti, vennero segati a tarda sera da persone che non avevano nulla con cui scaldarsi (Inverno ‘44/45). Recuperarono quelli bombardati, più il resto, un poco alla volta tutte le sere. Prima i rami, poi sempre di più, poi finalmente il tronco. Qualcuno diceva che si poteva, ovviamente pagando, incaricare “qualcuno” per l’operazione legna, o addirittura comprarla già tagliata per la stufa! Mah!

Di fronte a via Montenero c’era la Zenith, con il suo portiere quasi sempre sull’uscio, a guardare, dall’alto del gradino, le signore che andavano a far spesa. Circa 50/55 anni, grigio, abbastanza alto, giacca marrone sbottonata, gilè e pantaloni alla cavallerizza beige, stivali a tromba rigida pure essi marrone e lucidissimi. In bocca la perenne sigaretta infilata nel bocchino di sughero, (quello da due soldi che diventava subito nero) che si comprava dal tabaccaio poco distante. Era una cafonata, vestito così avrebbe dovuto fumare la sigaretta tal quale, altrimenti con un bocchino come si deve, giusto?

Accanto alla Zenith, verso sud, c’era un grosso fabbricato rossastro che oltre le abitazioni ospitava numerosi negozi. Più precisamente una tabaccheria, una macelleria (sig. Beppino), una latteria (sig.Nino), una giornalaia (sig.ra Maria) e una frutta e verdura. Quest’ultima era della signora Lea, madre del partigiano ferrarese Alberto Zerbinati, caduto vicino a Treviso il 28/4/1945. Il giorno che le comunicarono la notizia la signora Lea, poveretta, sembrava impazzita! Aveva perduto anche il figlio oltre all’attività polverizzata dalle bombe. Provavo una pena indescrivibile per quella donna! Abitava sul mio stesso pianerottolo con la figlia, e purtroppo ho avuto modo di assistere ai suoi disperati pianti.

I fabbricati seguenti fino a via Garibaldi, furono ristrutturati, ma sono ancora quelli di quel tempo, cioè fino al Bar all’angolo. Proseguendo sempre a sinistra c’era l’osteria di Morisi, davanti alla quale vi erano due enormi lecci (ora c’è l’edicola dei giornali). L’ombra enorme che ne derivava era zona di ristoro per i cavalli attaccati ai carri, mentre i conducenti (i bruzant) andavano all’osteria a bere il “clinto”.

Proprio qui, (siamo nel 1940/41 anno più, anno meno) un giorno assistetti con gli amici ad una scena che potrebbe trovare spazio nelle comiche seppure reale. Verso mezzogiorno si ferma, non sotto gli alberi, ma sulla propria destra nel senso di marcia verso sud, quindi al sole, un carro colmo di paglia trainato da un asino. Il carrettiere, dopo aver inserito il classico bastone tra i raggi della ruota destra, infila il sacco del fieno nelle orecchie del somaro e, di buon passo, attraversa la strada e guadagna l’entrata di Morisi.

Di li a poco ne esce, giusto il tempo di bersi un bicchiere, sfila il sacco dalle orecchie dell’asino, monta sopra il carro e mentre fa sentire le redini sulla schiena dell’animale dice il famoso “dai, va là”. Il somaro non obbedisce. Il carrettiere ripete il comando, niente da fare. Scende, con la frusta e alcune bestemmie, impone all’asino di muoversi. Niente, anzi questo fa mezzo passo indietro. Allora incazzato come una furia si attacca alle briglie e comincia a tirargli in avanti il muso frustandogli le gambe. Niente da fare, il somaro non si muove. Noi ridiamo a crepapelle…

“Adess a tal fag vedar mi, cus’a ghe d’nov, bruta bastiaza, cat gnis un… a ti e a cl’a bruta… ad to madar, cat viena un…!” (nei puntini mettete quello che volete, ma ci va quello che avete pensato). Mentre impreca prende una manciata di paglia, la dispone sotto la pancia del somaro e gli da fuoco. Sul momento nessuna reazione, poi il calore si fa sentire. Sapete che fa il somaro? Tre o quattro passi e poi si ferma di nuovo. Le fiamme ora sono esattamente sotto il carro. Noi continuiamo a ridere e da Morisi si intasa la porta perché tutti vogliono vedere. Non c’è verso di far muovere l’animale. La cosa si fa urgente. Piano piano il carico del carro prende fuoco. Di colpo il somaro sentendo il calore nella sua parte posteriore si alza rampante come il cavallino delle Ferrari e parte al galoppo sfrenato per Corso Isonzo.

Al bruzant dietro, urlante e noi pure, per vedere come finirà. E’ finita davanti al mercato ortofrutticolo, con il somaro che tranquillamente brucava l’erba dell’aiuola con attaccato il carro semivuoto, fumante con una ruota sola. Il birocciante, seduto sul bordo dell’aiuola con la testa le mani continuava ad augurare… al somaro ed ai suoi ascendenti. E noi a ridere!

Disegno di Florio Piva

Disegno di Florio Piva, 1991

Nel disegno, Via Garibaldi con veduta da Corso Isonzo. All’angolo destro: Osteria Morisi. All’angolo sinistro (Cambiò nome numerose volte): Caffè Isonzo, Bar Corner, Angolo Bar, Bar Isonzo.
All’inizio di Via Garibaldi il secondo fabbricato è l’Albergo Bucelloni, poi una serie di negozi: Salumeria Calzoleria Sartoria Frutta e Verdura e Barbiere. Dopo la piazzetta Cortebella, dove si affaccia la chiesa di Santa Giustina, si vede la porta d’ingresso del convento suore di clausura.

3 Commenti

  1. Alessandra scrive:

    Buongiorno Florio articolo fantastico mi sono persa e mi sembrava di vivere in quei momenti cosi ben descritti da te. Complimenti…un caro saluto.

  2. Stefania Bagnaresi scrive:

    Buongiorno Signor Piva sto leggendo il suo libro “La Ferrara dimenticata” e vi ritrovo tutti i racconti che mi ricordano tantissimo la mia amata nonna che era del 1920 e che purtroppo ci ha lasciato nel 2018.
    Vivo in Scozia e sono stata a Ferrara quest’estate e nella mia breve visita ho riassaporato le mie radici.

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