Ho quarantasei occhi addosso che mi fissano seri.

Sono arrivata in questa classe con poche attese e tanti preconcetti.

Intervistare la quarta di un istituto tecnico sulla gita ai campi di concentramento per me significava diciassettenni fuori controllo che ne approfittavano per non fare la lezione di italiano, e la loro insegnante disperata che cercava di contenerli.

Il silenzio carico di attesa con cui mi ha accolta la IV A dell’Aleotti, mi ha decisamente spiazzata.

Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria perché esattamente settant’anni fa le truppe dell’Armata Rossa liberavano il campo di concentramento di Auschwitz.

I ragazzi che ho di fronte in quel campo ci sono stati e sono qui per farmelo raccontare.

“In prima – rompe il ghiaccio Giulio – abbiamo iniziato un percorso di studio della storia sulle tracce dei deportati ferraresi con l’obiettivo di una rappresentazione teatrale sul nazismo e la Shoah, che poi abbiamo messo in scena in terza. Io facevo il magazziniere tedesco che prendeva nota dei rifornimenti”.

“Io facevo la sua segretaria – aggiunge Martina – abbiamo recitato testi tratti da libri e lettere”.

“Io ero un ragazzo ferrarese deportato che poi morirà”, interviene Riccardo.

Con questo spettacolo i ragazzi hanno partecipato al concorso Tracce, parole, segni, ed hanno vinto un viaggio a Cracovia e ai vicini campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau che hanno fatto lo scorso ottobre.

“Abbiamo scelto di fare il viaggio in pullman anche per rifare la strada che hanno fatto i deportati”, spiega Paolo mentre si alza per mostrare le fotografie che hanno fatto. “E’ stato un viaggio molto lungo, che ci ha stancati nonostante fossimo comodamente seduti, avessimo di tutto da mangiare e abbiamo fatto tappa a Salisburgo. Abbiamo immaginato come dev’essere stato farlo in piedi, senza soste, al freddo con la paura”.

Poi l’arrivo ad Auschwitz.

“E’ stato pesante – spiega Martina – perché certe cose le avevamo viste solo nei film. Era come un paese, ma mentre camminavamo per le strade ci rendevamo conto che da lì erano passate centinaia di persone per andare a morire. C’erano le case, piene di scarpe e valige appartenute ai deportati, ed erano tantissime”.

“E faceva freddo – ricorda Paolo – noi avevamo il cappotto mentre loro stavano col pigiamino a righe”.

E poi la visita a Birkenau.

Foto degli studenti e degli insegnanti di Aleotti e Dosso Dossi

“Auschwitz era un campo di concentramento, mentre Birkenau era un campo di sterminio. L’avevano costruito per centomila persone – dice Matteo –  ma avevano in progetto di raddoppiarlo, e questo mi ha fatto venire i brividi. L’idea era quella di andare avanti, lo avrebbero fatto se non fossero stati fermati. La vita lì dentro non durava più di quaranta minuti, il tempo di passare dal treno alla camera a gas”.

“Le camere a gas erano interrate per non far sentire le urla dall’esterno”, aggiunge la professoressa Adriana Giacci.

“Lo spogliatoio – racconta Riccardo – era in un cunicolo che scendeva tre metri sottoterra. Lì le persone dovevano lasciare le loro cose. Dicevano loro di metterle in ordine che dopo sarebbero tornati a prenderle, li rassicuravano fino all’ultimo perché non reagissero”.

“Non c’era mai un momento di verità”, afferma con amarezza la professoressa.

“La cosa che fa rabbia – riflette Nicola – è che ci siano persone che negano queste cose, quando ci sono le prove, i documenti, perché i nazisti catalogavano tutto. Li abbiamo visti i nomi, l’oro, gli oggetti, persino i capelli che tagliavano e poi riusavano, ce n’era una stanza piena”.

“E non c’erano solo le camere a gas – aggiunge Riccardo – ma gli esperimenti medici che Josef Mengele conduceva sui bambini alterando il loro battito cardiaco, fino alla morte”.

“Paradossalmente il posto migliore dove essere mandati a lavorare erano le latrine – spiega Enrico – perché lì faceva caldo a causa della fermentazione degli escrementi”.

“Durante la visita nessuno di noi parlava – ricorda Simone – il silenzio era l’unica reazione possibile. E’ una visita che ci rimarrà dentro finché saremo in vita”.

Sono attonita. E’ stato un racconto collettivo, ininterrotto, spontaneo e sincero, ricco di molti altri contributi che per necessità di sintesi non ho riportato. Tutti ascoltavano i compagni parlare, intervenivano con calma e con ricordi precisi, considerazioni lucide, disarmanti. I racconti erano commoventi, ma lo erano ancor più i ragazzi, composti e consapevoli. Poi mi sono ripresa e ho pensato, va bene, sono una classe speciale, hanno avuto una brava insegnante, sono un’eccezione.

Così ho deciso di incontrarne altri che avevano vissuto la stessa esperienza, perché volevo trovare conferma allo scetticismo diffuso che vede una generazione di adolescenti indifferenti e senza speranza.

Ora sono di fronte alla V B del Dosso Dossi che ha fatto il viaggio assieme all’Aleotti, e cominciamo meglio.

“Quando ci hanno detto che avremmo fatto la gita di quinta ai campi di concentramento, invece che a Parigi o Barcellona, io non volevo andare. Per quattro anni abbiamo parlato di nazismo e di fascismo, basta!”. Esordisce con grande sincerità Denise.

Ecco, penso, finalmente l’insensibilità che mi aspettavo.

Invece poi Denise prosegue. “Credevo di rimanere delusa, invece non è stato così. Il mio ricordo si racchiude in un aneddoto. Nel Blocco 11 (il tristemente celebre blocco della morte, ndr) è esposta la foto di una ragazza della nostra età, rasata, che sorride. E’ stato uno schiaffo emotivo. Chissà cos’aveva passato, le avevano anche tagliato i capelli che sappiamo per una ragazza quanto siano importanti, ma lei trovava la forza di sorridere, e noi ci lamentiamo della vita”.

“Auschwitz ti appare come un posto normale – interviene Michele – se escludi il filo spinato, sono casette di mattoni a vista e strade. Non è il posto orribile che ti aspetti sapendo quello che ci facevano. Anche i nazisti erano persone normali, non è necessaria una straordinaria malvagità per fare quello che hanno fatto, ma una normale indifferenza”.

“E’ come quando un professore lavora male e a tanti non piace ma a te dà otto e allora ti va bene così” interviene Sofia, riportando a casa il ragionamento.

“Noi non siamo studenti con tutti dieci, ma dopo la gita mi sono ripromessa di finire la scuola e di non essere ignorante”, annuncia Giulia.

“Chi non studia la storia è destinato a ripeterla c’era scritto là dentro”, conclude Michele.

Foto degli studenti e degli insegnanti di Aleotti e Dosso Dossi

“Non li ho mai sentiti parlare così – dice commossa la professoressa Gianna Perinasso, quella che gli ha fatto studiare nazismo e fascismo per cinque anni – ai campi quando ho visto le loro facce sconvolte mi sono pentita di averli portati, ma ora capisco di aver fatto la cosa migliore”.

Ma può essere, mi dico, che davvero in una società individualista e gretta come quella che sento attorno, esista una speranza di salvezza, e che io ce l’abbia proprio davanti?

Gioco l’ultima carta del pessimismo e incontro Federico, studente al quarto anno del classico tradizionale all’Ariosto che un anno fa ha fatto parte di una delegazione ministeriale in visita ai campi.

“Non ci tornerò mai più – sentenzia – ma è un’esperienza che ritengo fondamentale per la cultura generale di ogni persona. Il freddo che ho sentito ad Auschwitz non l’ho sentito da nessun’altra parte, freddo dentro. Silenzio e freddo. Con noi c’era un ex deportato, Sami Modiano, gli ho chiesto se mi faceva vedere il numero sul braccio, non ci credevo, invece c’era, è tutto vero. I sopravvissuti ci hanno detto che ora affidano a noi la loro memoria, che siamo la loro ancora di salvezza, che dovremo per sempre tenere vivo il ricordo”.

Nelle mani di questi ragazzi il ricordo è al sicuro, mi concedo qualche riga di ottimismo alla fine di questo viaggio. Ma è chiaro che senza i loro insegnanti, le famiglie, le scuole, le istituzioni che hanno promosso il loro viaggio, le guide e i testimoni, non sarebbero diventati quello che sono ora. Allora nel giorno della memoria, non è che basta sospirare che il futuro è nelle nuove generazioni, il futuro è qui in chi lo costruisce con loro adesso.

5 Commenti

  1. Complimenti, bell’articolo.

  2. Alessia Bitti scrive:

    Complimenti anche da parte mia. Articolo davvero degno di nota, che ho voluto condividere sul mio profilo facebook.

  3. silvana onofri scrive:

    un articolo senza retorica che dimostra come la Scuola sia indispensabile per trasformare la “gita” in un’esperienza di vita indimenticabile

  4. Jessica scrive:

    Grazie per aver vissuto questa esperienza così forte e per avercela raccontata… soltanto in questo modo sarà possibile continuare a ricordare.
    Spero che altre scuole scelgano questo esempio, poichè conoscere è indispensabile .
    Parole semplici e sincere che si leggono venire dal cuore..

  5. Andrea Forlani scrive:

    Pezzo molto bello.

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