Attenti al tempo attenti
Al ritmo della loro danza come a quello
Del loro vivere nelle viventi stagioni
Il tempo delle stagioni e delle costellazioni
Il tempo della mungitura e il tempo del raccolto
Il tempo della copula tra l’uomo e la donna
E quello delle bestie. Piedi che si alzano
E cadono. Mangiare
E bere. Letame
E morte.

Thomas Stearns Eliot

Sono stati alcuni compagni di lavoro napoletani di Alessandra Fabbri a rendere possibile, ormai qualche anno fa, l’incontro con l’autore e regista teatrale Davide Iodice. Il regista partenopeo – vincitore, tra i vari, del premio speciale Ubu per il suo lavoro “La Tempesta, dormiti gallina dormiti” – in questi giorni è a Ferrara per gli ultimi preparativi di “Mangiare e bere. Letame e morte”, spettacolo che ha costruito partendo dai racconti e dalla vita della danzatrice, coreografa e performer ferrarese Alessandra Fabbri, e che questa sera verrà proposto per la prima volta a Ferrara all’interno della rassegna Fuoristrada del teatro Comunale Abbado.

Li incontriamo durante le prove e Davide Iodice racconta come sono arrivati a questo lavoro. «La prima esperienza fatta con Alessandra è stata per La fabbrica dei sogni, un lungo processo di ricerca sui sogni che da un lato vedeva al lavoro gli specialisti di scena e dall’altro gli specialisti dell’esistenza, da un lato gli attori del mio gruppo e dall’altro gli ospiti del dormitorio pubblico di Napoli, persone che avevano perso tutto. Poi c’è stata una seconda collaborazione con lei con Un giorno tutto questo sarà tuo, un lavoro teatrale sui rapporti generazionali in cui attori e performer erano in scena con i propri veri genitori. Alessandra era con suo padre e da questo lavoro ho deciso di portare avanti un nuovo spettacolo che fosse un assolo su di lei, sulla sua vita e il suo modo di essere. Alessandra vive in campagna in mezzo agli animali, mi affascinava partire dalla sua storia».

Ci sono tre secchi e uno specchio a terra. Mentre prova, Alessandra Fabbri racconta del ritrovamento del suo pappagallino steso a terra, morto. La sua compagna è su un albero che lo aspetta, ignara. La veterinaria le consiglia di mettere uno specchio affinché, riflettendosi, la femmina possa vedere nella sua immagine il pappagallo che non c’è più. “Ma i pappagalli sono esseri estremamente intelligenti, non li puoi ingannare così”. Come nasce “Mangiare e bere. Letame e morte”?

«Alessandra era stata con me a Madrid come assistente per un lavoro e qui mi aveva raccontato la storia dei suoi pappagallini. Ogni volta che la raccontava piangeva con la stessa intensità. Mi colpì subito, volevo capire ciò che la faceva piangere. Ogni mio lavoro è un’indagine sulla crisi del contemporaneo e questo è un lavoro sulla fragilità. In questo spettacolo il nervo scoperto dell’aspetto sociale è l’animalità. In Alessandra ci sono molti demoni animali che la animano, e tutti loro parlano di una mancanza, parlano dei bisogni primari. Da qui inizia un gioco di allitterazioni, fino ad arrivare alla traslazione nell’animale da palcoscenico, in questo caso il performer».

Courtesy Valeria Tomasulo e Ivana Russo

“L’animale da palcoscenico cerca di creare lo straordinario, cerca di rendersi straordinario anche quando non lo è”, dice la voce registrata di Alessandra. «L’idea di mettere durante lo spettacolo una traccia audio nasce da un torcicollo. Ero immobilizzata col collo – spiega la performer – e Davide ha iniziato a farmi delle domande, senza averle preparate in precedenza. Mentre raccontavo lui registrava i miei discorsi con un registratore. Sono registrazioni grezze, le abbiamo volute tenere così. In sottofondo ogni tanto si sente anche il traffico di Napoli. Per me l’animale da palcoscenico ha in sé un esibizionismo simile a quello del bimbo che dice “mamma, guardami!”. Quella del performer è quindi un’attitudine infantile al gioco e, insieme, un bisogno di sfide, di mantenere una ricerca».

Registrate sono anche alcune voci di persone da lei incontrate, alle quali chiede perché si va a teatro. Le risposte più frequenti sono date da verbi riflessivi, come “sorprendersi”, o “riconoscersi”.

«Mangiare e bere. Letame e morte diventa infatti una sorta di pet therapy per il pubblico – spiega il regista -, in cui il performer si offre come animale da compagnia, colmando una serie di necessità e di mancanze. Come un cane antimine scova le bombe, come un San Bernardo porta soccorso ad alta quota, così l’animale da palcoscenico porta in scena la sua natura, fragile ed empatica. E rivelando i propri bisogni e i propri vuoti permette al pubblico una identificazione catartica. È quindi un riconoscersi, un odorarsi tra simili. Il tema di fondo diventa un pretesto che chiama allo scoperto, oltre alla fragilità del performer, anche la fragilità del pubblico».

“Dedico questa danza ai miei pappagalli, alle mie anatre mute che mi considerano parte della famiglia, al topo della mia maestra di canto, che la capiva meglio di chiunque altro, a tutti gli animali che fanno per noi le cose che noi non sappiamo fare”, dice Alessandra mentre prova le sue battute. Davide Iodice prima di diventare regista voleva fare l’etologo.

«Sono cresciuto nella periferia vesuviana orientale, una zona molto complicata. Il mondo naturale come il mondo artistico sono stati per me dei punti di fuga da un habitat nel quale non mi riconoscevo. Forse non ha tanto sbagliato un mio docente nel dire che non mi sono poi molto allontanato dal fare l’etologo. Il medium di questo spettacolo è l’animale, in altri lavori lo erano stati i compagni del dormitorio, o i pazienti dell’ospedale psichiatrico giudiziario. Alla fine mi ritrovo a percorrere strade diverse, ma sono tutte tappe nell’uomo. Ho passato 26 anni a ricercare e a mettermi in discussione, perché credo in un teatro visto come un grande viaggio di conoscenza».

Alessandra va a cambiarsi, si lava il viso dallo strato di cerone. Per oggi le prove sono terminate. Chiedo un’ultima cosa a Davide, ovvero che cosa lo affascini nell’uomo.

«Molte cose. La bellezza perduta, cosa accade dopo i disastri. Mi affascinano i reduci da una battaglia con la propria vita o la propria emotività, le persone che hanno un livello esistenziale forte, per vocazione o per casi della vita. Non riesco a lavorare con persone che non hanno un passato, con i sazi, gli accademici, non riesco a lavorare con chi non ha mai intrapreso almeno una battaglia nella sua vita».

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