Cosa ci si aspetta da me resta, per me, un mistero, anche se di quelli piccoli. Conoscendo i difetti e dubitando dei pregi so di non essere adeguato al ruolo pubblico che mi è assegnato: la trasgressione del punk, la banalità accattivante del rock, la rassicurazione del neoconvertito. Invertire l’ordine considerando trasgressivo il neoconvertito e rassicurante il punk, ferma restante l’accattivante banalità del rock[1].

 

Chi ha coscienza per comprendere, comprenda. Riconoscente taccia la parte di sé che continua a imporre un’immagine di Giovanni Lindo Ferretti ormai esausta, ammuffita, da lui mai denigrata ma valicata e superata in verticale: Magnificat anima mea Dominum.

Crescente eccitazione, fino ad abbandonare i rossi seggiolini del Teatro De Micheli. La tappa copparese del tour A cuor contento di Giovanni Lindo Ferretti è finita con decine di persone in piedi sotto il palco, a stringere pugni, scuotere teste, canticchiare e scattare foto. È iniziata con Ferretti sul palco dietro la pesante tenda che s’alza, mani immobili nelle tasche dei pantaloni, capelli rasati ai lati, nello sguardo un incontro tra furbizia e timidezza, infantile tristezza. Dolce e mite nel sorriso, ha occhi cavi, abissali, ostinati e seri. Negli occhi Roma eterna, urbe puttana e santa.

Ferretti mentre canta è come se pregasse, cavaliere orante, innato è il suo essere monaco e il suo sembrare milite. La sola voce per sua natura disconosce canzoni che lo costringono nella ripetizione di ciò che non è più. Voce dal maestoso calore liturgico, modulazione che crea tensione, non scivola, ma pesa.

Chissà se si è sentito usato come un idolo, ancora una volta, nonostante sia per lui maledizione massima questa. Vittima di sproloqui da chi si sente defraudato di un passato legittimamente abbandonato, ventenni sotto il palco col pugno chiuso, ignari del fatto che Jurij ha sparato a trecento civili sudcoreani più di trent’anni fa.

Foto di Andrea Bighi

Temevo che la fama di Ferretti potesse svanire dopo gli argini rotti, la sua professione di fede.

L’essere, il riconoscermi, parte della tradizione vivente della Chiesa cattolica è la sola risposta razionale, emotiva, fisica che io conosco; verità che illumina la condizione umana in rapporto a ciò che è stato, ciò che è, sarà. […] Dà senso al mio vivere […]. Il mistero dell’Incarnazione mi sovrasta ma mi inonda di gioia, mi fa genuflettere[2].

Ancor di più ora temo che i lacci che lo costringono a macchietta punk-sovietica siano molto ardui da sciogliere.

Creduto folle, una fede da molti derisa. Devo camminare la via Dolorosa. Tra la penombra e l’ombra della mia esistenza[3]. Mi sono sentito deluso dall’accoglienza e dalla scelta di alcuni brani. Grato, invece, oltre ogni limite a una personalità così profondamente antica, aliena nella sua purezza, nel suo contraddire quell’idolo stantio che ancora, purtroppo, lo scorta.

Cattolico romano con poco timore e tanta umiltà, figlio di pastore e di crinali abbandonati. Nostalgico e tradizionalista, paziente nel non veder morire un sé che non abita più in lui. La confidenza col sole e con la pioggia, lo sai, è sapienza sacra. Difendi, conserva, prega! La Repubblica è dentro, nel corpo della madre[4].

Grazie Giovanni Lindo.

 

[1] G. L. Ferretti, Barbarico, 2013.

[2] Ibid.

[3] G. L. Ferretti, Reduce, 2006.

[4] P. P. Pasolini, Saluto e augurio, 1974.

2 Commenti

  1. Feliciano C. scrive:

    Complimenti sinceri Musacci .Citando la nuova gioventù ci permette di volare alti … fino alla vertigine .
    Ancora qualche saltello tra le nuvole prima di atterrare :

    “Difendi i paletti di gelso… Muori d’amore per le vigne. Per i fichi negli orti. I ceppi, gli stecchi.”
    “È sufficiente che solo il sentimento della vita sia per tutti uguale: il resto non importa, giovane con in mano il Libro senza la Parola.”
    “E io camminerò leggero, andando avanti, scegliendo per sempre la vita, la gioventù”.
    P.P.Pasolini .

    Ed è un peccato scendere …
    Grazie
    saluti

  2. Andrea Musacci scrive:

    Grazie di cuore Signor Feliciano…

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